di Karashò
Da sempre sentiamo, magari ascoltando distrattamente il telegiornale, che c’è stato una morte sul lavoro. Ma perché avvengono? Ovviamente le cause sono molte, ma tutte riconducibili al rapporto tra produzione e sicurezza. Le realtà produttive sono molto spesso soggette a rigidissimi canoni in fatto di qualità, produzione e tempo. Queste tre variabili, quasi sempre, vengono anteposte a quella che è la corretta prevenzione di eventi avversi dovuti a cause lavorative. Ciò si traduce in un voluto disinteresse da parte della dirigenza aziendale verso tematiche che tutelano realmente la salute dei lavoratori, come ad esempio i programmi di informazione e formazione, l’adeguata scelta di procedure organizzative finalizzate alla tutela dei lavoratori, fino ad arrivare alla scelta dei Dispositivi di protezione Individuale adeguati al rischio che dovrebbero contenere. In Italia, nel 2016, ci sono stati più di 920 morti bianche sul lavoro (fonte Inail) e circa 46.000 nuovi casi di malattie professionali. Tali dati, se comparati al 2015 vedono un lieve abbassamento dei nuovi casi, ma va considerato anche che l’indice di disoccupazione è salito e che i dati ufficiali non comprendono quelli inerenti al lavoro a nero, inoltre va citata anche la ormai sempre più usuale tattica di non dichiarare gli infortuni avvenuti in azienda come tali, ma invece di dire che ci si è infortunati durante le ore libere dal lavoro, per non coinvolgere l’azienda. Ciò, sicuramente è dovuto al sopracitato disinteresse dei padroni, verso le condizioni di lavoro dei proletari, e sicuramente all’ormai sempre crescente collusione tra la dirigenza e gli organismi di controllo. Non a caso, nelle aziende private, molto spesso la scelta della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nonché del suo staff, viene affidata a ditte esterne di consulenza, che sono facilmente gestibili e, nel caso, sostituibili. Annualmente, ogni azienda è obbligatoriamente tenuta a creare un fondo per la sicurezza, che, allo stato pratico delle cose, è il primo che viene utilizzato per necessità produttive. Puntualmente accade spesso che i macchinari vengano modificati in modo tale da garantire una più veloce modalità di esecuzione, a scapito della sicurezza dell’operatore, magari escludendo i circuiti di sicurezza obbligatori per legge. Appare chiaro che, chiunque abbia lavorato in una fabbrica abbia visto che la produzione viene sempre anteposta alla sicurezza, tutto in nome del profitto dei padroni, e quindi nel nome dell’estorsione di plusvalore dagli operai.
Molto spesso i lavoratori stessi siano esclusi e marginalizzati da quelle che sono le decisioni in fatto di sicurezza in azienda, sebbene la legge preveda l’elezione di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, quest’ultima figura in aziende di grandi dimensioni è eletto tra i rappresentanti sindacali, e molto spesso i lavoratori non vi trovano una vera e propria interfaccia per esprimere le proprie perplessità sul processo produttivo, o semplicemente rendersi protagonisti nella scelta e nella progettazione di misure preventive e protettive verso se stessi. Ulteriore elemento a sostegno di questa tesi, è il fatto che dal punto di vista legislativo, gli organi preposti alla sicurezza nei luoghi di lavoro non siano obbligati a mostrare il DVR (documento di valutazione dei rischi) ai sensi del D.Lgs. 81/2008 ( ex 626/1994) che obbligatoriamente dev’essere redatto e presente in qualunque attività lavorativa, e deve contenere un’analisi dei dati inerenti ai rischi aziendali ed alle procedure messe in campo per ridurli, nonché la successiva valutazione in merito. Va da sé, che nel momento in cui i lavoratori, in quanto soggetti protagonisti della produzione, comparino il dispositivo su carta, a quello che effettivamente viene fatto in azienda, potrebbe risultare scomodo. Tale esclusione, è finalizzata anch’essa all’esclusione dei lavoratori dalla sicurezza, dipingendoli come soggetti passivi nella tutela delle loro stesse vite. Nel mix di tali raccapriccianti realtà, spunta fuori un ulteriore elemento: le malattie professionali.
Le malattie professionali sono patologie che vedono come causa una particolare lavorazione, un tipico esempio può essere il cancro al polmone dovuto all’esposizione all’amianto. I programmi di sorveglianza sanitaria, effettuati dal medico competente, almeno su carta dovrebbero garantire un controllo sugli effetti dovuti all’esposizione a sostanze nocive o a processi produttivi particolari. Questo non viene fatto, molto spesso i lavoratori sono soggetti ad una visita superficiale, finalizzata solo ed esclusivamente per mettere agli atti che l’azienda tutela i suoi lavoratori, rispettando le normative in fatto di salute e sicurezza e che quindi adempie ai suoi obblighi legislativi. Il problema fondamentale, oltre all’esposizione, è che molto spesso anche malattie professionali chiaramente legate al lavoro, non vengano riconosciute come tali dall’Inail, e che quindi il lavoratore venga lasciato solo con la sua patologia, spesso mortale senza un sussidio economico.
Nel quadro complessivo di tali tematiche, nonostante le massive campagne di sensibilizzazione verso le morti bianche, tutto è riconducibile alla volontà dei padroni e dello stato di non salvaguardare la vita dei lavoratori, per non ledere il profitto, la produzione o l’immagine delle aziende. Dal punto di vista normativo, il datore di lavoro sia direttamente coinvolto nella scelta delle figure della sicurezza e dei mezzi necessari ad attuare le misure necessarie in tal senso, ciò gli conferisce pieno potere sui lavoratori. Quest’ultimi, detenendo le conoscenze dei processi produttivi, devono imporsi per rendersi partecipi nella stesura, nella scelta e nell’espletamento della sicurezza, affinché la realtà lavorativa sia salubre e gli vengano riconosciuti quei diritti, che gli garantiscano la sicurezza di poter ritornare a casa tutti d’un pezzo. Purtroppo con gli ultimi attacchi al mondo del lavoro, i lavoratori sono diventati molto più ricattabili, tuttavia una spinta propulsiva compatta all’interno dei sindacati o direttamente verso il padrone, garantirebbe la conquista di diritti alla salubrità nei luoghi di lavoro. Il diritto alla vita va tutelato.
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