Dalla recente vittoria alle elezioni presidenziali serbe del premier Aleksandar Vučić, avvenuta al primo turno con il 55%, Belgrado è quasi quotidianamente teatro di manifestazioni di protesta. Da ogni parte si è denunciato i brogli e la condotta antidemocratica e i serbi sono subito scesi sulle strade, ma la loro rabbia non viene dalla svolta autoritaria. I serbi gridano basta contro un costante declino nelle condizioni di vita cominciato con la crisi economica globale.

La crisi arrivò in Serbia nel 2010, e contribuì alla sconfitta, avvenuta due anni dopo, del Partito Democratico (DS) per mano del Partito Progressista Serbo (SNS), l’attuale partito di governo. La nuova forza politica, fatta di reduci del governo di solidarietà nazionale formatosi durante i bombardamenti NATO nel ’99 (che allora vestivano i panni dell’ultranazionalismo), si apprestava a governare un paese instabile, e nel fare ciò doveva sicuramente essere ben cosciente di non poter sperare in un miglioramento della condizione economica di un paese periferico in difficoltà e pieno di debiti.

Per mantenersi saldamente al potere, l’SNS ha cercato di creare una sempre più ampia rete di rapporti clientelari. A livello politico ha concluso alleanze con i più disparati partiti, un calderone a cui appartengono i socialdemocratici, ex-comunisti e gli eredi di Milošević. Questi spartiscono, assieme al SPS (nazional-conservatore), i 16 ministeri dell’ultimo governo di coalizione, in una situazione che non può non ricordare i vecchi governi della DC in Italia. Ci sono poi gli appoggi esterni di partiti reazionari che addirittura si professano monarchici, fatto che rende ovvia l’assoluta incompatibilità ideologica tra i partecipanti alla direzione del paese e che di riflesso prova l’esistenza di legami di tipo clientelari tra le parti in causa.

Se al livello politico il sistema di alleanze assicura una stabilità che è impensabile infrangere, esiste una rete di rapporti clientelari che è altrettanto solida. Questa è stata sviluppata nel tempo dal SNS, e allo stato attuale riesce ad abbracciare i grandi, i medi e i piccoli imprenditori, ma anche i lavoratori delle aziende private e quelli dei (un tempo grandi) complessi industriali in mano statale; inutile dire che vi è   una egemonia totale sull’intera burocrazia statale. Chiunque sia disposto (si legga: costretto) a vendere il proprio appoggio o che abbia qualcosa per cui ve
nire ricattato non può che essere inserito all’interno del sistema della creazione del consenso.

La presa che il SNS ha sulla società serba risulta essere quasi totale, è giusto quindi parlare di un Golia. Si tratta però di un Golia al fanatico servizio dei diktat imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Unione Europea, e della loro dottrina dell’austerity che stringe la cinghia (ma si tratta soltanto di quella dei lavoratori, dei pensionati e degli studenti appartenenti alle classi popolari). Dovevano essere i piccoli Davide a sfidare questo gigante, ed è così che è andata. In migliaia si sono riversati sulle strade di Belgrado a seguito di un evento su Facebook creato da un rapper apolitico e relativamente sconosciuto. Seguirono iniziative su base quotidiana, e l’8 aprile si registrò una partecipazione di 80 mila persone in un corteo che unì la contestazione studentesca ad una manifestazione indetta dai sindacati dei poliziotti e degli appartenenti all’esercito.

Si registrò allora un tentativo da parte di alcuni gruppetti violenti ed aggressivi della destra radicale di dettar legge, decidendo ad esempio chi dovesse trovarsi tra le prime file. Hanno continuato per tre giorni, salvo poi venire ricacciati da militanti di movimento e di sinistra, sotto lo slogan “non vogliamo leader”. In quella occasione una giovane sinistra radicale, composta da una parte autenticamente rivoluzionaria, ha dimostrato di possedere la capacità di influenzare i movimenti di massa, riportando una importante vittoria.

Le proteste si sono poi rapidamente estese oltre la capitale, raggiungendo quasi ogni grande città della Serbia, e naturalmente le condizioni in cui si svolgono le manifestazioni sono diverse. Se a Belgrado la polizia che accompagna il corteo è poca e apparentemente disinteressata, nelle altre città non è per nulla così. Uno dei tanti esempi è quanto successo a Leskovac, dove due lavoratori di un’impresa privata sono stati licenziati poiché i loro figli hanno preso parte alle manifestazioni. Fatti del genere accadono ovunque, ma non hanno nessun risalto mediatico, e non potrebbe essere altrimenti quando la quasi totalità delle reti televisive è in mano al governo o a chi lo appoggia. Oltre a questo, il lavoro di disinformazione dei media consiste anche nel fornire dati di partecipazione ai cortei sbagliati, spesso inferiore di dieci volte il numero reale, nel tentativo di far passare il messaggio che si tratti di qualche migliaio di studenti aizzati dai politici dell’opposizione parlamentare a Vučić. Ancora peggio, i manifestanti vengono additati come ubriachi e/o drogati, o appartenenti alla “elité borghese ben vestita”.

Le richieste avanzate da alcuni settori del movimento (quello più radicale degli studenti) non hanno mai avuto a che fare con la destituzione di Vučić o la richiesta di elezioni “più libere.” I temi toccati sono quelli sociali, le richieste sono di tipo estremamente progressista e denotano una avanzata coscienza di classe da parte dei manifestanti che generalmente accettano e fanno proprie queste richieste. Al momento, la priorità del movimento rimane quella di costruire una piattaforma che unifichi il fronte operaio e dei lavoratori per rilanciare una battaglia generale ai padroni di Serbia. Fin’ora si è prodotta una lista di otto richieste, che potrebbero essere considerate astratte ed “indirette”: decentralizzazione dello Stato, educazione gratuita, assistenza sanitaria per tutti, e così via. Rivendicazioni democratiche elementari, ma che non passano ancora su un piano di carattere anticapitalista.

Diventa quindi chiaro come il movimento sia concentrato sul trovare una propria identità e sulla mobilitazione di grandi numeri di persone comuni attorno alle questioni che queste persone considerano importanti, piuttosto che incominciare possibili negoziati con il governo e le altre istituzioni. Una tendenza estremamente interessante che sta emergendo è quella a formare fronti unitari tra lavoratori e studenti, ed alcuni sindacati hanno cominciato ad appoggiare il movimento ed a ponderare una eventuale partecipazione in esso.

Questa tendenza trova il suo esempio più lampante nella manifestazione organizzata dagli studenti, dal sindacato Sloga e dai lavoratori autorganizzati dello IMT (un fu gigante dell’industria avviato alla strada della privatizzazione). Questo corteo si è fuso con il movimento giovanile martedì 11 aprile. Anche se siamo lontani dallo stabilirsi di una fiducia reciproca tra le varie forze extra-parlamentari, gli impulsi settari sembrano essere stati vinti.

La reazione di governo e opposizione allo svilupparsi del movimento è stata praticamente la stessa: ignorare la parte di richieste che più sono scomode. Parallelamente e a ciò, l’opposizione approva le richieste dei manifestanti, ma soltanto quelle che più le vanno a genio, mentre il governo polemizza contro richieste che il movimento non ha mai avanzato. Il movimento ha mostrato di non avere preferenze tra maggioranza e opposizione, dimostrando notevole coerenza.

Come già detto, non è mai stata intenzione dei manifestanti annullare l’esito del voto: gli studenti vogliono un cambiamento nel sistema. L’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione della democrazia operaia è l’unica svolta possibile per migliorare le vite di milioni di proletari nella ex Jugoslavia.

 

Gabriele Bertoncelli

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