Il 4 maggio i minatori della provincia ucraina del Dnipropetrovsk hanno cominciato un lungo sciopero sciopero di massa, quando tutti i lavoratori del turno turno di notte di cinque miniere si sono rifiutati di risalire in superficie senza che prima vengano soddisfatte le loro richieste. Lo sciopero è supportato dal Sindacato Indipendente dei Minatori dell’Ucraina (NGPU) e la richiesta iniziale era di un aumento sullo stipendio almeno del 50%.

I minatori denunciano la mancanza di alcun investimento recente nello sviluppo del settore. Secondo loro nei complessi minerari a compartecipati dallo Stato ucraino si è registrato un unico spostamento di risorse, che di fatto è una vera e propria razzia di tutto il razziabile da parte degli oligarchi del paese, ovvero i grandi capitalisti il cui potere è incontrastato e che siedono direttamente nel governo ucraino.

In questa condizione di corruzione istituzionalizzata e di continuo abuso, i minatori hanno trovato un’unica soluzione: la lotta. Barricati sotto il livello del suolo hanno organizzato la propria resistenza, supportata anche dalla Confederazione. Il giorno dopo si sono presentati ai negoziati con i dirigenti del complesso minerario, ribadendo le propria richiesta di aumento di stipendio, riuscendo ad ottenere la promessa di non agire con ricatti sui lavoratori in sciopero. La richiesta avanzata dal NGPU è stata quella di arrivare all’equivalente di mille dollari di stipendio.

Il 6 maggio altri dieci lavoratori di un diverso sito di estrazione si sono uniti allo sciopero, rifiutando anch’essi di ritornare in superficie.
Dalla direzione del complesso minerario è giusta la promessa di risolvere il problema entro l’11 maggio, ma i sindacati non hanno abbassato la guardia, e i minatori di alcune miniere hanno continuato a rimanere sotto il livello del suolo.

La sera del 10 maggio i rappresentanti dell’azienda hanno incontrato i minatori presentando la proposta un aumento del 12% a partire dal mese di maggio, ma i lavoratori hanno detto di poter acconsentire unicamente a un aumento immediato del 20% che gradualmente diventi del 30% per agosto.

È così che circa 300 operai sono rimasti ad una profondità di circa 1300 metri, senza cibo, poiché la direzione non ha permesso che fosse loro consegnati i viveri.

La solidarietà agli operai barricati nelle miniere è stata espressa il giorno dopo, quando si sono tenute manifestazioni che hanno bloccato il traffico di accesso agli uffici dell’azienda. Nei pressi dello stesso edificio si è poi tenuto un presidio partecipato da un migliaio di dipendenti. Le loro richieste sono state chiare: aumenti di stipendio, stop a licenziamenti e trasferimenti, rinnovo dei programmi che forniscono l’alloggio ai dipendenti, miglioramenti nella sanità, e una “scala mobile” che corrisponda aumenti di stipendio per l’inflazione. Dopo aver richiesto un incontro con i manager, che non è però stato accontentato, sono stati occupati quattro piani dell’edificio.

La produzione mineraria ucraina raggiunse l’apice durante gli anni ’80 per calare drammaticamente con la caduta dei regimi stalinisti est-europei. La guerra civile scoppiata tra il governo di Kiev (membro della NATO, foraggiato dall’Unione Europea e sostenuto da settori neonazisti) e i separatisti filorussi della regione orientale del Donbass non ha fatto altro che aggravare la situazione di crisi del settore, che in certe regioni ucraine è il fondamento stesso dell’economia. Alcuni tra i minatori e gli operai ucraini hanno conosciuto la fame più nera, rimanendo per mesi e mesi senza stipendio, o con uno stipendio del tutto insufficiente a garantire l’acquisto dei beni di prima necessità. La situazione è resa critica anche dal ristagnare degli stipendi a fronte di una continua inflazione.

 

Gabriele Bertoncelli

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