Il Movimento 5 Stelle prosegue sulla strada della normalizzazione. Non che fosse un partito antisistema, ma le dichiarazioni degli ultimi 6 mesi stanno gettando via ogni possibile dubbio – e sono molti, a dire il vero, nella sinistra più o meno militante ad averne – sulla natura di questo partito xenofobo e antioperaio.

Le elezioni nazionali si avvicinano e il partito della Casaleggio Associati va delineando un profilo “realista” al fine di presentarsi alla Confindustria come alternativa credibile per un governo pienamente padronale.
E’ in questo senso che si spiegano le dichiarazioni di apertura all’europeismo – quando fino a poco tempo fa i politici del M5S giuravano eterno odio contro l’UE – e la promessa di una rivisitazione del programma originario.

“Siamo pronti a trattare, siamo una forza matura”, afferma, pertanto, Toninelli, esperto di riforme istituzionali del M5S. Verrebbe da pensare che finalmente abbiano smesso di sbraitare senza costrutto e che parlino più concretamente di cosa vogliono fare. Il problema è proprio questo. Il programma del M5S, come più volte abbiamo denunciato, è la cancellazione del sindacato, la schedatura degli immigrati, il finanziamento e la detassazione delle piccole e medie imprese. Per i lavoratori un misero reddito di cittadinanza, briciole, senza distinzione, date ai figli dei lavoratori così come ai figli degli imprenditori, ma presi dal salario indiretto (con le tasse), cioè da chi già fatica ad arrivare a fine mese e non da chi ha tanti di quei soldi da non sapere che farsene. E’ il programma delle destre e della piccola borghesia. Di per sè non è bastevole per governare. La grande borghesia potrebbe anche concedere al M5S di vincere le elezioni – le elezioni le vince chi detiene i mezzi di produzione, se non lo vuole la Confindustria, non vincerà -, ma pretende un programma per Confindustria e i suoi istituti di credito.

Le aperture recenti del M5S a rivisitare il proprio programma sono frutto di questo ragionamento. I parlamentari grillini sanno che – almeno per ora – la borghesia italiana sta rilanciando i suoi affari proprio con l’export (i dati economici delle industrie del nord ci dicono chiaramente che la crisi per i padroni è alle spalle e che tutto ciò è stato possibile – oltre che con lo sfruttamento aumentato dei lavoratori – grazie all’export, arrivato a rappresentare quasi il 40% dei ricavi delle industrie italiane). Se non fosse per l’economia moribonda del Sud Italia, l’Italia viaggerebbe già a oltre l’1%. La ripresa che i padroni vogliono è per forza di cose europeista. Una Italexit – più volte rivendicata e sbandierata dal M5S – è “utopia” per i padroni italiani, che si troverebbero con un’economia incerta, un modello di contratti unico nel mondo (il diritto del lavoro italiano prevede una miriade di contratti che persino i padroni vogliono semplificare) e una domanda interna debole a causa dell’abbassamento progressivo dei salari. Senza considerare i tassi di cambio, che sarebbero totalmente sfavorevoli per una moneta nazionale e ciò comporterebbe un generale innalzamento dei prezzi, soprattutto quelli dei servizi energetici (importiamo dall’estero la quasi totalità dell’energia che accende la luce nelle nostre case). Ciò causerebbe una nuova picchiata del potere d’acquisto dei salari, una conseguente caduta dei consumi, abbassamento della domanda interna, che la borghesia dovrebbe finanziarie con nuova moneta nel mercato e ciò comporterebbe una deflazione, che farebbe perdere ulteriormente profitti ai padroni.

Insomma. Le condizioni per politiche similfasciste non ci sono e, almeno per ora, la Confindustria sta facendo ottimi affari coi partner europei in tutti i settori dell’economia. Una politica protezionista, come rivendicato originariamente dal M5S, non sarebbe sostenuta, almeno dalla stragrande maggioranza dell’Associazione padronale italiana. E’ tutta da verificare anche nella potente economica d’oltremanica – gli effetti reali si faranno sentire nei prossimi anni e saranno drastici per i lavoratori di tutta la Gran Bretagna -, figuriamoci nel capitalismo straccione italiano.

Per questo, il M5S ha bisogno di presentare qualcosa di “credibile” agli occhi dei padroni se vuole veramente governare. Le parole di Toninelli sono eloquenti e chiarificatrici in tal senso.

Con l’apertura sulla modifica il proprio programma, il nodo centrale resta quello di come diventare una forza di governo, per i politici di Grillo. Il M5S è un partito piccolo, non ha molta militanza reale nelle grandi città (non considerando gli iscritti via web, che sono impalpabili nella vita reale) e i suoi attivisti sono perlopiù esponenti di comitati civici locali e/o ex politici raccattati da tutti gli schieramenti. Ha si un’influenza elettorale di massa, che, però, non è influenza di mobilitazione. Questo aspetto non gli permette d’imporre ai partiti attuali referenti di confindustria un vero rapporto di forza e, d’altronde, non è intenzione del M5S innescare una mobilitazione sociale, sia essa anche reazionaria, che metterebbe in pericolo i già precari equilibri politici del paese.

Il Movimento sà che pur risultando nei sondaggi il partito con più voti potenziali, non avrà una maggioranza necessaria per il voto di fiducia utile a formare un governo dopo le elezioni. Allearsi con la sinistra di Democratici Progressisti e Sinistra Italiana significherebbe perdere una parte del proprio elettorato e dei propri gruppi dirigenti. Significherebbe, inoltre, compromettersi con “la vecchia politica” screditata agli occhi delle masse e indigesta persino a Confindustria. Allearsi con la destra significherebbe perdere i voti dell’elettorato scontento di sinistra, formando una coalizione con mafiosi, ex fascisti, fascisti, ex democristiani e leghisti.
Deve presentarsi come una forza “nuova”, campagna sulla quale ha costruito tutta la sua attività propagandistica.

Per diventare partito di “governo” ha, quindi, necessità di una nuova legge elettorale. E per farlo deve scendere a un compromesso con PD e Forza Italia. Dal canto suo confindustria ha il terrore di tornare in una situazione d’impasse in cui versavano i governi antecedenti a quello Renzi o, peggio, di fare la fine di Podemos in Spagna.

Per questo i vertici del M5S e del PD sono in queste ore in continuo contatto per elaborare una riforma che possa spartire la torta più o meno in parti uguali e garantire a tutti i propri interessi. L’apertura di Berlusconi e di Renzi al M5S è la forma esplicitata degli interessi capitalistici che difendono. Una riforma che piace, dunque, anche a Finanza e Confindustria; che prevede lo sbarramento al 5%, impedendo, così, ai partiti più piccoli – cioè con meno risorse finanziarie – di poter rappresentare istanze diverse da quelle dominanti negli attuali organi istituzionali e che non solo non prevede il proporzionale puro – rivendicazione democratica basilare persino per la borghesia -, ma che prende spunto dal modello tedesco, con metà proporzionale e metà maggioritario.
Una legge, dunque, reazionaria, che non solo non fa scegliere agli elettori i rappresentanti, ma che lascia sostanzialmente immutati gli attuali assetti antidemocratici delle istituzioni borghesi.

Marx pensava che il parlamento non fosse altro che “il comitato d’affari di tutta la classe borghese”. Valutazione ancor più valida oggi, fase di piena crisi organica del capitalismo. Chi avrà più soldi, avrà il potere di muovere più voti. Chi avrà più voti avrà da un lato il proporzionale, ma dall’altro, soprattutto, il maggioritario. Di conseguenza: continueranno a vincere e governare i partiti che potranno contare su una schiera di titolari di attività economiche, con alle loro dipendenze decine, centinaia, migliaia e milioni di lavoratori (elettori). Chi governerà, quindi, lo farà per conto di Confindustria. Laddove questa rete non riuscisse a ottenere i voti delle classi sociali oppresse, ci penseranno i mafiosi a portare loro voti e i giornali faranno la propaganda con tanto di professionisti laureati.

Lo sbarramento al 5% serve a evitare che rappresentanti della classe dei lavoratori, dei tribuni rivoluzionari, possano portare le istanze e un programma realmente antisistema in una cassa di risonanza ampia, qual è il parlamento. Uno sbarramento discriminatorio che erode ulteriormente gli spazi democratici di rappresentanza, in un paese dove il 50% della popolazione non va a votare (per lo più operai, giovani, studenti, senza contare gli immigrati, che non hanno questo diritto).

La legge elettorale che M5S, PD e Forza italia si apprestano a concordare è nemica dei lavoratori. Per quanto le elezioni siano soltanto un gioco di burattini e il vero potere risieda nelle mani delle banche, dei trust e dei cartelli, rappresentano un momento durante il quale le masse auspicano un “cambiamento”. Sono un termometro della coscienza di classe nel paese e degli equilibri interni alla borghesia.

Per questo il proporzionale puro è l’unica formula che può garantire un elementare carattere democratico di rappresentanza. Ma potrà esserlo pienamente solo se gli eletti saranno revocabili in qualsiasi momento; se percepiranno uno stipendio pari al salario medio di un operaio; se saranno espressione di assemblee popolari territoriali di operai, lavoratori, studenti, donne, immigrati poveri, e se tutte le leggi, comprese le manovre economiche, saranno discusse e votate in queste assemblee territoriali.

In questo modo non solo il parlamento sarebbe veramente “aperto come una scatoletta”, come diceva Grillo durante i suoi VaffaDay, ma addirittura perderebbe il senso politico che ha avuto fino ad oggi e diventerebbe una grande assemblea democratica di delegati, reale espressione della volontà del “popolo” (dei lavoratori).

Il Movimento 5 Stelle, con l’accordo sulla nuova legge elettorale, getta l’ennesima delle tante maschere sui suoi reali progetti, inchinandosi dinanzi a sua maestà capitalismo e probabilmente finendo col diventare più realista del Re. Le illusioni che il M5S semina tra la gioventù e tra gli operai non riempiranno le pance di quest’ultimi.

Sta a noi! Sta al movimento operaio, al movimento sindacale, alle organizzazioni dei giovani, agli studenti, alle organizzazioni delle donne, dei migranti e di tutti gli oppressi, organizzare un grande fronte di battaglia, unendo le parti più combattive in una mobilitazione che punti a rovesciare gli attuali rapporti di forza coi capitalisti, che rompa con la politica in giacca e cravatta, delle mazzette, dei corrotti e degli sfruttatori, e sviluppi nelle sue proprie assemblee i germogli della futura democrazia, quella operaia, socialista, quella di tutti coloro che nell’attuale società non hanno futuro alcuno e al massimo possono vendere parte del proprio tempo in cambio di un salario col quale sopravvivere. Soltanto costruendo un ponte tra le rivendicazioni democratiche, economiche, civili degli operai e delle masse oppresse, e un’alternativa antisistema e socialista, sarà possibile far si che il progetto di una società diversa e giusta possa realizzarsi.

di Douglas Mortimer

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.