La letteratura ufficiale dei partiti della III Internazionale sul movimento operaio nel corso del Novecento ha presentato Gramsci come il fondatore di quello che fu il grande PCI. Non esiste, però, alcuna correlazione tra quel che fu il Partito Comunista d’Italia di Gramsci, Bordiga e Tresso, e quel che poi fu il Partito Comunista Italiano. Quest’ultimo nacque proprio dall’affossamento del partito del ’21.
I dirigenti formatisi sotto la guida di Palmiro Togliatti, infatti, hanno costruito un’immagine politicamente esile del comunista sardo, con l’intento di svuotare il significato politico della sua vita di militante rivoluzionario. È stato più volte raffigurato come il fondatore del “comunismo italiano”, termine politico teso a rimarcare in qualche modo la differenza tra la tradizione del bolscevismo e quella del comunismo in Italia. Una costruzione teorica che tanto piace agli intellettuali della borghesia, tant’è vero che non è raro trovare servizi documentaristici, dove la tesi espressa è che Gramsci fu, in realtà, un comunista italiano contro il Capitale (di Marx).

In genere quando si vuole rendere innocuo un personaggio si estrapolano solo parti del suo pensiero e della sua opera di vita. Una sorte toccata a Marx, così come a Gramsci e Ché Guevara.
Il pensiero di Gramsci – al contrario – ci parla di un abbandono dell’iniziale idealismo di matrice crociana e un progressivo e consolidato approccio al marxismo e al metodo bolscevico. Per quanto la borghesia esponga le sue effigi addirittura nelle sedi dei suoi partiti, la storia non può essere cancellata, così come il contributo dato da Gramsci per la costruzione del partito rivoluzionario in Italia e la conquista del potere da parte della classe operaia.

Il contributo d’analisi e di militanza dato da questo enorme dirigente obbliga i rivoluzionari a far nuova luce sulla sua figura. La necessità di riprendere il filo rosso della sua opera e dimostrare quanto fosse indissolubilmente legata alla tradizione bolscevica – contro ogni caricaturale raffigurazione di un Gramsci nazionalpopolare data dal togliattismo e “accademico” data dagli intellettuali piccolo borghesi – nasce dal problema di dare al proletariato gli strumenti per il superamento dell’attuale sistema economico-sociale.
Studiare i classici serve a tendere a questo obiettivo. È il solo modo per far si che i rivoluzionari si approprino della teoria – cioè dell’esperienza di 150 anni di lotte di classe – in modo che la teoria si appropri delle masse e viceversa.

Antonio Gramsci viene spesso tirato per il collo da diverse correnti. Quella che più è riuscita a mistificarne la storia è il togliattismo, ovvero la ricetta italiana dello stalinismo. Ma Gramsci fu veramente tale?
Ciò che ci preme innanzitutto fare è – dunque – liberare Gramsci da questo ignobile marchio e dimostrare la netta demarcazione che c’è tra il rivoluzionario sardo e Palmiro Togliatti.

Cominceremo col dimostrare che Gramsci non fu mai stalinista e che, al contrario, quest’ultimi lo reputasse scomodo nel processo di epurazione dei rivoluzionari dalla III Internazionale, in particolar modo per alcune sue condanne ai metodi utilizzati da Stalin e Bucharin contro l’opposizione di Trotskij, Zinov’ev e Kamenev.
Gramsci, infatti, non è d’accordo coi metodi utilizzati dagli stalinisti. Lo esprime in forma ufficiale inviando un documento approvato dall’Ufficio Politico del PCd’I al Comitato Centrale del PCUS, dove Trotskij è definito “un maestro” e la direzione del partito russo è accusata di star mettendo in pericolo la rivoluzione. Questo documento viene letto da Togliatti – nel frattempo diventato responsabile dell’ufficio esteri del Comintern -, che decide di tenerlo nascosto. Questi risponde con una lettera dallo scarso valore politico, senza argomentazioni, dove afferma che bisogna accettare la linea del CC del PCUS, contestando pezzi presi separati gli uni dagli altri della lettera dell’Ufficio Politico del PCd’I, strumentalizzandoli a proprio piacimento e accusando Gramsci di favorire l’opposizione trotskista. Dinanzi a questo atteggiamento Gramsci accusa Togliatti di << burocratismo >>.


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In realtà la lettera non ha un intento esplicito di sostegno agli oppositori. È di per sè molto “al centro” e limitata a difendere il gruppo dirigente che aveva fatto la rivoluzione d’ottobre. Non si esprime esplicitamente in difesa delle ragioni politiche dell’opposizione, ma chiama all’unità del partito e al pericolo di una scissione nel PCUS. D’altronde il filtro di notizie in una fase tanto magmatica non permise a Gramsci e al gruppo dirigente del PCd’I di sviluppare un’analisi più netta contro la stalinizzazione. Forse, più semplicemente, la repressione fascista non glie ne diede tempo e modo.

Dopo circa 20 giorni dall’invio della lettera di risposta a Togliatti, Gramsci è arrestato. La notte dell’8 novembre 1926 viene prelevato a Roma da un’appartamento dove alloggiava. Viene accusato di essere capo del partito e di svolgere attività sovversiva. Ancora nel febbraio 1928 sono in corso le indagini, Gramsci è detenuto in carcere e vi sono diversi tentativi di trattativa per scarcerarlo portati avanti dal governo sovietico con esponenti del Vaticano a fare da intermediari (questa “collaborazione” non deve sorprendere, esistono momenti diplomatici in politica che possono portare beneficio alla causa rivoluzionaria, in questo caso una possibile scarcerazione di Gramsci). Mentre è in galera, però, riceve una lettera da Ruggero Grieco, militante togliattiano, dove si esplica il ruolo di Gramsci nel Partito chiedendo direttive.
Una lettera strana sia per com’è scritta sia per la tempistica con cui arriva. Pur sapendo che la corrispondenza venisse letta dai giudici e dai fascisti, i toni sono espliciti e compromettono la situazione processuale di Gramsci. Lo stesso giudice delle indagini dice al rivoluzionario sardo:

Onorevole, ci sono suoi amici che desiderano lei rimanga in galera per un pezzo.

Un palese boicottaggio che lascia ben capire quale fosse la mente che aveva indotto Grieco a scrivere. Gramsci stesso. affermò che Grieco potesse aver agito per scelleratezza, ma che chi gli aveva indicato di farlo non era di certo uno sprovveduto.
Tatiana Schucht, sorella della moglie di Gramsci, andò, dopo la morte del rivoluzionario sardo,
in URSS per chiedere un’inchiesta sul caso da parte del PCUS. In seguito, Togliatti fu formalmente rimosso dall’Esecutivo, grazie a un’inchiesta diretta da Stella Blagoeva. Un atto che servì a ripulirsi la coscienza dal tradimento. Per Togliatti e il suo apparato Gramsci faceva più comodo in carcere che fuori. L’immagine di un comunismo italianonazional popolare ha avuto bisogno anche di comunisti prigionieri, assassinati in Francia e Spagna dalle Brigate Garibaldi (Tresso e Guido Picelli), di espulsioni ed epurazioni negli anni ’30 (Bordiga, Ravazzoli e lo stesso Tresso).
Senza questa controrivoluzione – liquidare la rivoluzione d’ottobre dando il movimento operaio nelle braccia della borghesia di sinistra (fronte popolare) – sarebbe stato più difficile per lo stalinismo.

Mussolini pensava di Gramsci:

Dobbiamo impedire a quel cervello di pensare

Non ci sono riusciti a fermare la sua attività nonostante il carcere, la cagionevole salute. Non ci sono riusciti neanche gli stalinisti tradendolo e boicottando le trattative per la sua scarcerazione. La sua opera è giunta nonostante tutto e anche grazie ad Antonio Gramsci, rivoluzionario comunista, oggi la strada per la costruzione del partito rivoluzionario e per la rivoluzione proletaria ha meno zone grige.

Douglas Mortimer

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.