La cosiddetta Industria 4.0 rappresenta l’ultima novità nel continuo rinnovamento metodologico e tecnologico della produzione di merci, come segnala il collettivo Marxpedia:

Il 2017 è iniziato all’insegna della parola Industria 4.0, ovvero l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, presentata come un cambiamento epocale paragonabile alla rivoluzione industriale. […] Siamo di fronte a un cambio qualitativo? E’ da quando esiste il capitalismo che le linee di produzione si dotano di macchine per svolgere compiti un tempo di competenza umana. All’inizio si trattava di macchine a vapore, oggi si parla di robot e intelligenze artificiali. La sostanza nei fatti non cambia. Il capitalismo rivoluziona in ogni istante i suoi modi di produzione, come scriveva Marx nel Manifesto: “ la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione”.

Se c’è un esempio di come si presenti in concreto l’Industria 4.0, quello è sicuramente la Tesla Motors, un’azienda americana produttrice di veicoli elettrici, leader nel suo settore. La sua fabbrica in Fremont, in California, è quanto più vicino a quel che possiamo definire come il “futuro dell’industria manifatturiera”. In un ambiente di un bianco immacolato «robot all’avanguardia aiutano a sollevare, girare, saldare e assemblare la cellula passeggero in alluminio e la carrozzeria».

Gli azionisti della Tesla si trovano in una situazione idilliaca. Incentivi di miliardi di dollari, una concorrenza quasi inesistente e un mercato che non fa che chiedere altri veicoli elettrici. L’obiettivo che si è posta l’azienda è quello di produrre mezzo milione di autovetture nel 2018, un obiettivo da raggiungere ad ogni costo… e a pagarlo devono essere i circa 10 mila lavoratori dell’impianto.

Stando ad un rapporto sugli incidenti sul lavoro ottenuto dal Guardian, dal 2014 ad oggi si sono registrate più di cento chiamate al pronto soccorso, questo a causa di svenimenti, vertigini, convulsioni, dolori al torace. Un altro centinaio sono le chiamate per lesioni e problematiche varie. La situazione di estremo disagio con cui i lavoratori hanno a che fare è riconosciuta dallo stesso Amministratore Delegato della Tesla, Elon Musk, che ammette il problema rappresentato da orari di lavoro molto lunghi e dall’alta difficoltà posta dalle mansioni. Giura però che i dirigenti non sono solamente “avidi capitalisti che risparmiano sulla sicurezza sul lavoro per ottenere profitti più alti.”

Sarà, ma la sua dichiarazione contraddice in toto la testimonianza di 15 lavoratori dell’impianto (attuali e precedenti), che raccontano di turni di lavoro massacranti, a volte trascorsi tra dolori e infortuni, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di produzione posti dall’azienda. I lavoratori affermano che, prima che nell’ottobre del 2016 la giornata lavorativa media fosse ridotta, fosse normale lavorare in turni di 12 ore per sei giorni la settimana.

Jonathan Galescu, tecnico della produzione, per esempio dice: «Ho visto alcune persone svenire, cadere a terra come un pancake e sbattere la faccia sul pavimento. Quando questo succede, semplicemente ci mandano a lavorare attorno al corpo svenuto. » Simile è ciò che racconta Mikey Catura: «C’era un mio collega sulla mia linea produttiva che stava lavorando senza sosta. Lavorava, lavorava, lavorava. All’improvviso cade a terra, svenuto».

Richard Ortiz, un altro lavoratore impiegato nella produzione, pieno di ammirazione ha definito la fabbrica come «il paradiso dei lavoratori dell’industria automobilistica. » Ha però aggiunto: «Qui tutto sembra proiettato nel futuro, tranne noi». I lavoratori continuano a conservare l’orgoglio di lavorare in un’azienda come la Tesla. Ortiz è convinto di star “cambiando il mondo” e non vede l’ora che i suoi nipoti possano dire “mio nonno era lì”. Ma non nasconde la “delusione di massa” tra i lavoratori, avvenuta a causa delle condizioni di lavoro e della miriade di infortuni evitabili. A preoccuparlo personalmente è poi l’indebolimento del suo braccio destro, di cui potrebbe rischiare di perdere il funzionamento.

Michael Sanchez un tempo aveva due sogni: diventare un artista e un tecnico automobilisitico. Fu “estasiato” quando venne assunto alla Tesla, cinque anni fa, un’azienda che credeva essere “parte del futuro”. Adesso ha due due ernie al disco e un congedo per disabilità; non è più in grado di afferrare una matita senza provare un dolore lancinante. Per la Tesla, il suo infortunio avvenne mentre stava montando una ruota, ma Sanchez dice che la causa sono gli anni che ha passato alla catena di assemblaggio. I veicoli su cui lavorava erano sospesi per aria, e per lavorare doveva tenere costantemente lo sguardo in alto, con le mani sopra l’altezza della testa.

Sanchez e altri credono che la maggior parte degli infortuni accadesse perché per anni l’azienda non si è curata più di tanto della sicurezza sul luogo di lavoro, alcuni dirigenti sminuivano le lamentele dei lavoratori, addirittura incoraggiando a farsi forza e lavorare nonostante il dolore. Secondo Alan Ochoa, altro lavoratore della Tesla in congedo per infortunio, ai suoi superiori «importano più i dati della produzione che la sicurezza e il benessere dei dipendenti».

Secondo alcuni lavoratori, l’azienda haun modo di trattare i lavoratori infortunati che scoraggia quest’ultimi dal riportare gli incidenti. A un lavoratore infortunato viene assegnato una “mansione leggera” dove però si hanno stipendi assai più bassi. Un lavoratore, infortunatosi alla schiena lavorando alla schiena lavorando alla Tesla, ha detto: «Sono passato da uno stipendio di 22$ all’ora a 10$. È un sistema che in pratica ti costringe a tornare al lavoro». Nessuno vuole questi tagli, quindi tutti si sforzano di andare avanti seppur infortunati.

La storia della Tesla è la storia di un’azienda che cerca in un anno di quintuplicare la propria produzione. Lo fa investendo in macchinari sempre all’avanguardia, in termini di velocità ed efficienza. Ma lo fa soprattutto costringendo la forza lavoro a ritmi sempre più serrati e a orari di lavoro insopportabilmente lunghi. La storia della Tesla è comune a molte altre aziende del settore, e i lavoratori della Tesla vivono esperienze assai simili a quelle degli operai degli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco, che abbiamo documentato su La Voce Delle Lotte.

A Pomigliano regna sovrana l’arroganza padronale, complice delle burocrazie sindacali. Nella fabbrica di Fremont manca una qualsiasi forma di organizzazione dei lavoratori, e questi non hanno modo di sperare in un miglioramento delle proprie condizioni se non per magnanimità dei dirigenti. La lotta è diventata per loro una necessità vitale. A febbraio di quest’anno, Jose Moran, lavoratore della Tesla, ha pubblicato un post in cui denuncia gli straordinari obbligati, gli alti tassi di infortunio e i bassi stipendi. Ma soprattutto ha rivelato l’intenzione dei lavoratori di sindacalizzarsi con la United Auto Workers. Il post di Moran ha gettato nuova luce su una forza lavoro quasi totalmente assente dalle immagini ufficiali della fabbrica di Fremont.

Non possiamo che augurarci che i lavoratori della Tesla riescano nel loro obiettivo, per riuscire a condurre una lotta che li porti a migliorare nell’immediato le proprie condizioni, e in futuro a liberarsi dei vari Elon Musk.

Gabriele Bertoncelli

 

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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