È di meno di dieci giorni fa la notizia che Amazon, colosso della logistica (ma ormai non solo più di questa, come vedremo), ha acquistato la catena di supermercati di prodotti biologici “Whole Foods Market ” molto nota negli USA, sborsando il più alto prezzo nella storia per acquisire una catena di supermercati: oltre 13 miliardi di dollari. Alla fine del 2016, con la piattaforma Amazon Prime, l’azienda si è imposta anche fra i servizi in streaming, in oltre 200 paesi, sfruttando la grande popolarità ottenuta dalle serie tv da qualche anno a questa parte.

Insomma il proprietario Jeff Bezos non sembra passarsela affatto male espandendo il proprio impero in diversi settori di mercato. Ma come nostro solito noi non ci accontentiamo delle chiacchiere sul paradiso capitalista descritto spesso dai padroni per giustificare il proprio successo, la vulgata, che prende tutti, dai magnati più enormi alle medie imprese dedicate al “piccolo è bello”, che dipingono un mondo meraviglioso e armonioso nelle loro aziende (in questo caso, prima di tutto, magazzini), sulla felicità e tranquillità dei dipendenti -definiti in questo caso, amazonians- e quindi ci addentriamo, e anche solo ad una ricerca superficiale vengono fuori le magagne, e non in casi isolati e circoscritti ad un magazzino (o ad una nazione!).

Nel 2013 la BBC e nel 2015 il New York Times, con esaustive inchieste, descrivevano le condizioni inumane a cui erano costretti i lavoratori e le lavoratrici: guidati da una lista di 14 regole aziendali i lavoratori vengono spinti al limite delle proprie capacità fisiche e mentali. I tempi devono essere accorciati, le prestazioni migliorate, in continuazione. Sì ma finché la cosa rimane un regolamento che pare scritto da un personal trainer con qualche disturbo psicologico la cosa non colpisce particolarmente, piuttosto, cosa significa questo per i magazzinieri, nella realtà quotidiana? Ce lo spiegano diverse testimonianze di lavoratori e lavoratrici: lavorare anche più di 80 ore a settimana, ridurre le pause al minimo (o non farne proprio, nemmeno per andare in bagno), correre tra i corridoi per raggiungere un certo numero di pacchi in minor tempo possibile, con tutto il portato di rischi di infortunio, non a caso fuori da alcuni magazzini sostano le ambulanze per chi dovesse sentirsi male, soprattutto quando le temperature sono più alte. Uno sfruttamento tanto selvaggio e deregolamentato porta ovviamente allo stremo anche psicologicamente ed ex lavoratori della catena sostengono di aver visto piangere almeno una volta tutti i propri colleghi, costantemente controllati attraverso l’apparecchiatura per riconoscere e marcare i pacchi da spedire -che è legata al nome del lavoratore che la utilizza, in maniera che i capi possano controllare singolarmente quanto lavoro ha svolto e in quali tempi-, con un allarme sonoro che scatta ogni volta che ci si mette “troppo” a raggiungere uno scaffale. E i contratti? Si parla di contratti interinali rinnovabili solo se si seguono le regole ferree, non si fiata e si accetta a testa bassa lo sfruttamento. E le paghe? Cifre ridicole, se si pensa allo stress fisico e mentale ai quali sono sottoposti i lavoratori e alla continua minaccia di non veder “prorogata” la propria assunzione.

Anche in Europa le stesse pratiche sono assolutamente presenti e toccano punte di violenza scandalose ma non inedite nel panorama del settore logistico e commerciale. Un esempio su tutti? In Germania, nel 2013, un’inchiesta televisiva del canale ARD denunciava l’utilizzo di guardie private per controllare i lavoratori e che in alcuni casi sembra abbiano anche usato violenza e intimidazione degna dei peggiori caporali mafiosi, addirittura andando a casa dei lavoratori stessi per intimorirli e umiliarli. Non è certo un caso che sia nella logistica e nei trasporti merce che la lotta di classe stia faticosamente riprendendo piede con forme di lotta radicali e abbandonate da tempo da parte della classe operaia, forme di lotta che prenderanno sempre più piede, perché nonostante la favola del capitalismo buono dove la lotta non è più necessaria, la realtà è sempre la stessa: lasciati liberi di fare ciò che vogliono i padroni lottano incessantemente per aumentare lo sfruttamento e i profitti ad esso legati e certo non saranno giornalisti o organi statali o sovrastatali a fermarli, ma solo i lavoratori organizzati, armati della consapevolezza e del coraggio necessari per difendersi ed attaccare con scioperi, campagne di informazione, picchetti, in una parola : con la lotta di classe.

Infine è importante notare che, come sempre (un altro esempio di cui abbiamo parlato riguardava ricapitolizzazioni multimiliardarie di Apple), ad aziende e padroni ricchi o ricchissimi, non corrispondono benefici per i dipendenti, parrebbe invece tutto il contrario, più un’azienda multinazionale si espande più diviene prepotente, massacra i lavoratori e elude le fragili regolamentazioni del mercato.

La parola d’ordine di questi decenni, a partire dalla produzione e movimentazione merci dovrà essere necessariamente una: guerra allo sfruttamento, guerra ai padroni, pena l’abbandono di ogni tipo di conquista e diritto dato per scontato fino a una generazione fa.

Di CM