“Le lacrime amare di Petra Von Kant” nasce come storia d’amore, ma cela altro. Nasconde temi più oscuri, argomenti di cui nessuno vorrebbe sentir parlare.
Petra Von Kant è una stilista di successo. Vive in un lussuoso appartamento con la muta assistente, Marlene, segretamente innamorata di lei. Petra appare come una donna sofisticata, di cultura, forte, di successo: in realtà, le ferite lasciate da due matrimoni falliti e dalla lontananza dalla propria famiglia, l’hanno resa arida. Non è casuale la scelta della scenografia. L’intero film è un Kammerspiel, svolgendosi interamente in una stanza. Una camera piena di manichini, piena di gioielli. Una camera con dei personaggi che, oserei dire, paiono usciti da un dipinto di Gustav Klimt. Un pomeriggio Petra incontro la giovane Karin di cui si innamora o, meglio, crede di innamorarsi. Karin, di origini semi proletarie, separata dal marito e con una drammatica storia familiare alle spalle, desidera molto inserirsi nel mondo della moda. Petra ne rimane totalmente ammaliata e le offre attenzioni, denaro e fama, vedendo in lei la bellezza e la giovinezza perduta; non solo: in lei vede anche la possibilità di quell’amore romantico e tragico di cui la letteratura tedesca è piena. Ben presto, le attenzioni di Petra verso Karin diventano opprimenti: scenate di gelosia, necessità di possesso. Giunta al limite, Karin decide di tornare dall’ex marito. Petra resta, ancora una volta, sola e depressa. Al suo fianco ci sarà solo la timida Marlene. Nel giorno del suo compleanno, Petra avrà accanto sua madre, la sua migliore amica e sua figlia, ma non le sarà sufficiente. Petra soffre perché attende una telefonata dell’amata Karin. La madre riesce a tranquillizzarla, tanto che, una volta ricevuta la telefonata della giovane donna, la Von Kant sarà in grado di non ricadere in quell’amore malato. Petra rinasce, chiede scusa a Marlene, ammettendo di averla sempre trascurata in tutti quegli anni. Sfortunatamente, sarà troppo tardi. Marlene, fatta la valigia, andrà via. Petra resterà davvero sola.
Quale verità rivela questa pellicola? Oggi più che mai, il senso di solitudine ed inquietudine ci porta ad evitare (o ad instaurare di continuo) relazioni “d’amore”. Accettiamo tutto pur di non restare soli, possiamo accettare bugie, insulti, falsi sentimenti. C’è sempre uno scopo, una seconda ragione che ci porta ad “innamorarci”. L’amore disinteressato,è diventato un concetto astratto, utopico. Il film di Fassbinder risale al 1972. Cosa è cambiato in 40 anni? Nulla. Le relazioni umane restano ancora imprigionate in quel legame sadomasochista che implica la comparsa di un padrone e di un servo. C’è ancora una parte attiva che opprime quella passiva. Si ama per non essere soli (come Petra). Petra non ama davvero Karin: in una scena arriverà persino a chiederle di mentirle, pur di restarle accanto. Così, oggi, ci fingiamo struggenti eroi romantici sui social, quando usiamo Facebook per decantare il nostro amore, la nostra sofferenza ma, in realtà, restiamo soli. L’uomo, da sempre, ha avuto l’arte dalla sua parte, ma l’arte non vende e, in conclusione, è quello il nostro scopo: venderci continuamente. Venderci come Karin con Petra, succhiare il sangue della persona che ci scegliamo come la donna vampira di Munch. La solitudine della modernità ci ha reso tali: vampiri che vagano nell’oscurità dei social network, alla ricerca di quello che, in questa rivoluzione digital-informatica, è diventato amore.
Sabrina Monno
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.