Negli ultimi anni le istituzioni hanno fatto largo uso, contro attivisti politici e sindacali soprattutto, del cosiddetto reato di pericolosità sociale, un tipo di provvedimento che individua un soggetto come pericoloso in quanto, avendo commesso un illecito, è probabile che commetta nuovi reati. Tralasciando la discrezionalità incredibile concessa al giudice o persino , in caso di misure orali e fogli di via, al questore, ci soffermiamo invece brevemente sul testo, preso direttamente dal diritto penale, che configura la pericolosità sociale:

Pericolosità sociale (d. pen.)

Agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che ha commesso un reato o un quasi-reato (artt. 49 e 115 c.p.), quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati (art. 203 c.p.).

La (—) è quindi un modo di essere del soggetto, da cui si deduce la probabilità che egli commetta nuovi reati.

Per quanto riguarda il rapporto fra capacità a delinquere e (—), la prevalente dottrina ritiene che la capacità a delinquere si concreti in un giudizio sulla possibilità che l’individuo commetta in avvenire fatti delittuosi, mentre la (—) andrebbe intesa come una forma intensa di capacità a delinquere, ossia come una rilevante attitudine di una persona a commettere un reato: la (—), dunque, starebbe alla capacità a delinquere come la probabilità sta alla possibilità.

La (—) si distingue dal reato, perché mentre quest’ultimo costituisce un accadimento storicamente circoscritto, la (—) implica invece una situazione soggettiva durevole. Salvo le ipotesi espressamente previste dalla legge (i cd. quasi-reati), il reato costituisce comunque il necessario presupposto del giudizio di (—). La (—) deve essere accertata dal gudice di volta in volta, avendo, la L. 663/86 soppresso le ipotesi di pericolosità presunta.

Il giudizio sulla pericolosità consta dell’accertamento delle qualità indizianti, da cui si desume la probabile commissione di nuovi reati, e della c.d. prognosi criminale, quale giudizio sul futuro criminale del soggetto, fondato su tali qualità.

Il codice disciplina quattro forme specifiche di (—): la recidiva, l’abitualità criminosa, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere.

Il concetto di (—) riveste particolare importanza nella commisurazione della pena, influendo sulla misura e qualità di essa ed è presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza.

Ebbene, il testo è piuttosto chiaro ed è relativamente facile osservare come possa essere utilizzato in maniera alquanto “spregiudicata” per colpire in particolare operatori sindacali che organizzano picchetti e scioperi di fronte a luoghi di lavoro. È evidente che un compagno individuato come organizzatore di un picchetto o uno sciopero rientra perfettamente nel quadro di chi “è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati” in quanto il “reato” in questione è quello di cui si occupa effettivamente il soggetto interessato tutti i giorni della propria vita, soprattutto se si parla di sindacalismo combattivo. Qui ovviamente entra in campo un’altra riflessione, data l’arbitrarietà di quello che può essere giudicato come reato o quasi reato nel caso che prendiamo in considerazione è evidente che il reato di cui si parla è l’organizzazione e il sostegno ad uno sciopero, un “diritto” che dovrebbe essere costituzionalmente garantito viene quindi messo sotto accusa, ma visto che questo non si può attaccare direttamente e frontalmente (almeno non ancora, ma non facciamoci dei dubbi sul fatto che le cose potrebbero cambiare a settembre o ottobre con la nuova legge anti-sciopero) viene attaccata la recidività dei singoli operatori sindacali combattivi che diventano socialmente pericolosi e passibili di fogli di via, avvisi orali, obblighi di dimora o altri provvedimenti restrittivi.

Ci soffermiamo infine sul concetto stesso di “pericolosità sociale” applicata a compagni e compagne che si occupano e sostengono le lotte dei lavoratori. La stessa definizione fa supporre che essi siano pericolosi per la società, eppure non si parla di criminali, essi non derubano altri individui, non lanciano bombe e non avvelenano l’ambiente (si potrebbe dire, non sbagliando, che questo lo fanno i padroni), no, essi sono un pericolo in quanto attentano alla proprietà privata. La “società” presa in considerazione dal codice penale è evidentemente la società costruita dai padroni per i padroni. Si è pericolosi non in quanto si agisce contro altri esseri umani ma in quanto pericoloso per l’ordine borghese che reputa assolutamente accettabile lo sfruttamento (anche selvaggio e privo di qualsiasi rispetto per la dignità umana) di uomini e donne in un magazzino, in un cantiere o in una fabbrica, ma reputa “pericoloso” qualcuno che prova a porre rimedio ad una situazione di ingiustizia.

Sì, il reato di pericolosità sociale è utilizzato contro operatori sindacali e organizzatori politici ma la realtà è che l’unico pericolo per la società (intesa genericamente come un insieme organizzato d’individui che vive e coopera a stretto contatto) sono i capitalisti che affamano, sfruttano, inquinano e uccidono, non certo uomini e donne che, senza ricavare nulla per se stessi, guidano altri lavoratori alla lotta di classe.

Di CM