Riprendiamo, con questa quarta stesura di appunti, la riflessione sul libro “Materialismo ed empiriocriticismo”, di cui abbiamo già pubblicato la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta parte.

In questa opera Lenin smaschera progressivamente il carattere idealista dell’empiriocriticismo, cioè del machismo (dal fondatore di questa dottrina, Ernst Mach).


‘“La cosa in sé” ovvero Cernov confuta Friederich Engels

Sulla cosa in sé i machisti hanno scritto tanto, in quanto risulta essere la bestia nera di Bogdanov, Valentinov, Bazaroc, Cernov, Berman e di Iusckevic. Tutti questi machisti, che vorrebbero essere marxisti, combattono contro la cosa in sé di Plechanov. Il machista Cernov entra in campo per la cosa in sé direttamente contro Engels.

Visto che si vuole mostrare il carattere reazionario del machismo, ci rivolgeremo direttamente ad Engels confutando l’empiriocriticismo di Cernov. Quest’ultimo negli “Studi filosofici e sociologici” tenta di opporre Marx ad Engels, accusando Engels di “materialismo ingenuamente dogmatico” e “rozzo dogmatismo materialistico”. Cernov dichiara “sufficiente” il ragionamento di Engels contro la cosa in sé kantiana e i lineamenti della filosofia di Hume.

Nel “Ludwing Feuerbach” Engels dichiara che le correnti fondamentali della filosofia sono due: il materialismo e l’idealismo. Il materialismo ritiene la natura primordiale e lo spirito come elemento secondario. L’idealismo è l’esatto opposto. Engels sostiene che “il problema fondamentale di tutta la filosofia…è quello del rapporto del pensiero con l’essere, dello spirito con la natura”. E accusa di confusione chi usa in senso diverso le espressioni idealismo e materialismo, in quanto ritiene fondamentali le differenze delle due correnti.

Engels poi, dopo aver diviso i filosofi i due grandi campi, indica che c’è un altro aspetto fondamentale: “quale relazione passa fra le nostre idee sul mondo che ci circonda e questo mondo stesso? […] possiamo noi avere un’immagine fedele della realtà?”

La maggioranza dei filosofi, non soltanto materialisti, ma anche gli idealisti più conseguenti, rispondono affermativamente a questa domanda. Anche Hegel era di questa idea, ritenendo che il mondo reale fosse la realizzazione di quale idea assoluta precostituita ab aeterno, per cui lo spirito umano (allorché concepisce il mondo reale) concepisce l’”idea assoluta”.

Engels inoltre afferma ulteriormente che “esiste una schiera di altri filosofi i quali contestano la possibilità di una conoscenza del mondo […] tra i moderni appartengono a questa schiera Hume e Kant […]”. A questo punto Cernov si lancia nella polemica: “nel 1888 era piuttosto singolare dare il nome di moderni a filosofi come Kant e Hume. In quell’epoca sarebbe stato più naturale sentire i nomi di Cohen, Lange, Riehl, Lass, Liebmann, Goring…”.

Il guaio per Cernov è che tutte le autorità citate sono neokantiani che lo stesso Engels definisce teorici reazionari. Cernov non ha capito che Engels confuta proprio questi professori confusionari autorevoli per il machismo.

Engels inoltre continua affermando “La confutazione più decisiva […] è data dalla pratica particolarmente dell’esperimento e dall’industria…L’inafferrabile cosa in sé di Kant è finita. Le sostanza chimiche restarono cosa in sé fino a che la chimica organica non si mise a prepararle l’una dopo l’altra […] la cosa in sé si trasformò in una cosa per noi, come per esempio l’alizarina […] che non ricaviamo più dalle radici della robbia […] ma dal catrame di carbone”

Cernov citando questo ragionamento afferma “Che sia possibile ottenere l’alizarina dal catrame di carbone […] nessun neokantiano si stupirebbe […] Engels avendo appreso che, secondo Kant, la cosa in sé è inconoscibile, trasformò questo teorema nel suo inverso e concluse che tutto ciò che è ignoto è cosa in sé”.

Cernov ha evidentemente travisato:

1)perché è inesatto dire che Engels ricavi la confutazione della cosa in sé. Engels confuta la cosa in sé inafferrabile di Kant. Cernov imbroglia sulla concezione materialistica di Engels sull’esistenza delle cose indipendentemente dalla nostra coscienza;

2)perché se il teorema di Kant dice che la cosa in sé è inconoscibile, il teorema inverso sarà: l’inconoscibile è cosa in sé, ma qui Cernov ha sostituito l’inconoscibile con l’ignoto.

Engels si oppone sia a Hume che a Kant. Ma Hume non parla di cose in sé inconoscibili, addirittura ritiene filosoficamente inammissibile perfino di pensarla, la ritiene metafisica. Kant ammette l’esistenza della cosa in sé, ma dichiara che sia inconoscibile, diversa in linea di principio dai fenomeni, appartenente al campo del trascendente inaccessibile alla conoscenza quindi aperto alla “fede”.

La cosa che li rende comuni quindi è che essi separano in linea di principio i fenomeni da ciò che si manifesta in questi fenomeni(la sensazione dal sentito, la cosa per noi dalla cosa in sé).

In che cosa consistono le obiezioni di Engels? Ieri non sapevamo, oggi lo sappiamo. Ci si chiede: esisteva anche ieri l’alizarina? Certamente. Ogni dubbio in proposito sarebbe uno scherno alle scienze naturali. Pertanto ne conseguono tre conclusioni gnoseologiche:

  1. Le cose esistono indipendentemente dalla nostra coscienza, indipendentemente dalla nostra sensazione;

  2. Non vi è né vi può essere differenza di principio tra il fenomeno e la cosa in sé: la differenza è tra ciò che è noto e ciò che non lo è ancora : è tutto vuoto nonsenso che la cosa in sé si trova al di là dei fenomeni (Kant) o che si debba erigere una barriera filosofica che separi dal problema del mondo ancora ignoto (Hume);

  3. Nella teoria della conoscenza bisogna ragionare dialetticamente: non presupporre che la nostra coscienza sia bell’e fatta e invariabile, ma esaminare in qual modo dalla non conoscenza si passa alla conoscenza, in qual modo una conoscenza incompleta imprecisa diventa più completa e più precisa.

Se vi mettete dal punto di vista che lo sviluppo della conoscenza umana muove dalla non conoscenza, vedrete che milioni di esempi (la scoperta dell’alizarina) dimostrano all’uomo la trasformazione delle “cose in sé” in “cose per noi”: la comparsa dei fenomeni allorché i nostri organi avvertono un urto proveniente dall’esterno e la scomparsa dei fenomeni allorché l’ostacolo elimina la possibilità dell’azione di un oggetto, del quale tuttavia conosciamo l’esistenza.

L’unica ed inevitabile conclusione è che il materialismo mette consapevolmente a base della sua gnoseologia, è che fuori di noi e indipendentemente da noi esistono oggetti, cose, corpi e che le nostre sensazioni sono immagini del mondo esterno. L’opposta teoria di Mach (i corpi come complessi di sensazioni) è un assurdo idealistico.

Cernov riprende la polemica su una traduzione di Plechanov della parola “Diesseitigkeit” nella seconda tesi su Feuerbach di Marx. Ecco la traduzione corretta: “la questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà […] il carattere terreno del suo pensiero. […] La disputa tra realtà e non realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente ideale”.

Plechanov traduce invece di “dimostrare il carattere terreno del pensiero” in “dimostrare che il pensiero non si ferma al di qua dei fenomeni”. Su questo gioco di parole Cernov grida “la contraddizione tra Marx ed Engels è eliminata […] ne risulta che Marx affermerebbe la conoscibilità delle cose in sé e la trascendenza del pensiero”.

Un sotterfugio, un abisso di confusione! Cernov non sa che i materialisti sono per la conoscibilità delle cose in sé; non conosce la prima parte delle tesi su Feuerbach in cui Marx scrive che “verità oggettiva” del pensiero non significa altro che l’esistenza di oggetti (cose in sé) veracemente riflessi dal pensiero; Cernov quindi afferma che Marx avrebbe difeso la trascendenza del pensiero solo grazie alla diversa traduzione di Plechanov. Per tutti i materialisti infatti i fenomeni sono cose per noi o copie degli stessi oggetti in sé e non come affermano i kantiani e Hume che fermano al di qua dei fenomeni il pensiero umano.

E’ interessante notare come in soggetti che si definiscono socialisti non afferrino l’esatto significato delle tesi di Marx, mentre i filosofi borghesi dimostrino uno scrupolo maggiore.

Albert Levy ad esempio scrive: “Marx ammette da una parte che alle nostre rappresentazioni delle cose corrispondano oggetti reali e distinti fuori di noi”. Levy ha chiara la posizione del materialismo marxista : il riconoscimento di oggetti reali fuori di noi. Levy prosegue: “ … Marx si rammarica che il materialismo abbia lasciato all’idealismo la cura di apprezzare l’importanza delle forze attive (cioè della pratica umana). Secondo Marx…bisogna strapparle all’idealismo per ricondurle nel sistema materialistico…il pensiero di Marx è il seguente: come alle nostre rappresentazioni corrispondono oggetti reali fuori di noi, così alla nostra attività fenomenica corrisponde un’attività reale fuori di noi, un’attività delle cose: l’umanità partecipa non solo per mezzo della conoscenza teorica, ma anche per mezzo dell’attività pratica….l’attività rivoluzionaria acquista da ora in poi un significato metafisico…”.

Levy ha ragione quando dice che per Marx l’attività fenomenica dell’umanità corrisponde un’attività delle cose, che cioè la pratica dell’umanità ha un significato non soltanto fenomenico ma obiettivamente reale. La pratica umana, fornendo la prova della giustezza delle nostre rappresentazioni, conferma in esse ciò che corrisponde alla verità assoluta.

Levy prosegue “Marx ha ammesso l’esistenza delle cose in sé […] ma non può sottrarsi alla consueta obiezione: che cosa vi garantisce la fedeltà della traduzione? Che cosa prova che il pensiero umano vi dia una verità obiettiva? A questa obiezione Marx risponde nella seconda tesi.”

È interessante notare come ai giorni d’oggi le masse (non solo i proletari) siano completamente avulsi da una qualunque visione ben che minima di classe, tanto meno materialista. Si aggiunge inoltre la completa crisi della guida del movimento operaio, se non intenta a de-ideologizzare la propria azione politica. Ne consegue in parte anche lo scetticismo, che colpisce settori anche coscienti della classe che oramai si abbandonano ad un anticapitalismo d’accatto che produce congetture complottiste nei più svariati campi, da quello medico a quello scientifico e politico.

Il materialismo ci insegna che possiamo avere un’immagine fedele della realtà, solo se forniamo una prova pratica della giustezza delle nostre teorie. Lasciandosi alle spalle narrazioni e dogmatismi, è nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà, o meglio, il carattere terreno del suo pensiero.

Sirio Stivalegna

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.