Chiunque abbia avuto a che fare con la Svezia sa che il fenomeno della crisi abitativa, specialmente per studenti (stranieri e non) e migranti, è diventato un’emergenza nazionale, non limitata alla sola città di Stoccolma, ma alle maggiori città e persino a quelle più modeste. I dati del Boverket (l’Agenzia nazionale per il controllo dell’edilizia e delle costruzioni) riportano che 255 delle 290 municipalità svedesi hanno problemi di carenza di alloggi (il numero più alto di sempre).
Questa crisi, come tutte le crisi, non appare da un giorno all’altro né per pura fatalità. Il The Local a tal proposito ha intervistato un giovane studioso di Malmö che afferma come l’origine di questa crisi sia da rintracciare nel declino dell’intervento statale nella questione abitativa, cominciato negli anni ’90. I cambiamenti che si sono verificati da quel momento in poi in termini di leggi, politiche e sviluppo hanno reso più conveniente la “casa di proprietà” e hanno incoraggiato i costruttori ad investire su un determinato tipo di abitazioni: le ville e gli appartamenti condominiali per famiglie (bostadsrätter). L’edilizia, insomma, attraverso precise scelte, è stata orientata verso la costruzione di alloggi più costosi e tendenzialmente “da acquistare” più che da affittare. Anche quegli alloggi concepiti per essere affittati sono appartamenti di lusso diretti a classi sociali più elevate.

Gli alloggi sono dunque insufficienti perché il mercato non può essere regolato e non è in grado di soddisfare i bisogni della maggioranza.
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.