Da Bruxelles è arrivato sul finire della scorsa settimana, il monito al governo italiano di non fare “passi indietro” riguardo le pensioni e di fare attenzione, visto che a dire della Commissione si ravvisano gli estremi perchè l’Italia rientri tra i 5 paesi non in grado di “onorare” il debito pubblico. Un segnale forte lanciato a Palazzo Chigi perchè non attenui, seppur minimamente, l’austerità, che si abbatte in modo sempre più infausto su lavoratori, giovani e pensionati. D’altronde il Pd è il partito che ha sempre garantito al meglio i desideri della Bce e della Commissione europea. Piuttosto questo messaggio serve a fare nuovo terrorismo psicologico “sull’ineluttabilità” del continuo taglio delle risorse, da destinare al pagamento di un debito impagabile contratto con banche e grandi “investitori”.

Un fulmine non certo a ciel sereno, visto il potere immenso nelle mani della bisca finanziaria chiamata “mercato”, che non si accontenta di togliere persino i diritti più elementari alle masse lavoratrici ed espropriarle di gran parte delle loro giù basse entrate attraverso una pressione fiscale opprimente, ma vuole prosciugare anche i loro conti correnti come già avvenuto coi “salvataggi” e coi “fallimenti” bancari. Conti correnti che potrebbero essere più a rischio di quanto sappiamo e possiamo immaginare. A metterlo nero su bianco è stata niente di meno che la BCE, chiamata da Consiglio d’Europa ed Europarlamento, nel febbraio scorso, ad esprimere un parere sulla direttiva comunitaria sul cosiddetto “bail-in”, la nuova disciplina sui “salvataggi” bancari, entrata in vigore a gennaio dello scorso anno e oggetto di forti critiche persino da parte degli stessi governi che pure l’approvarono senza battere ciglio. La direttiva prevede che nel caso delle “sofferenze” bancarie, debbano intervenire gli azionisti in primis, in secondo luogo gli obbligazionisti subordinati, dopo ancora gli obbligazionisti senior, infine i correntisti e depositi al di sopra di 100.000 euro. Una linea molto teorica visto che in realtà a pagare per i guai commessi dai dirigenti delle banche e dagli azionisti, sono sempre stati i piccoli risparmiatori, in un modo o nell’altro. Ma come se ciò non bastasse, in futuro le cose potrebbero peggiorare ulteriormente, se fosse accolto il parere della BCE, secondo cui bisognerebbe introdurre una sorta di “pre-risoluzione” della durata di 5 giorni, nel corso dei quali i conti bancari verrebbero bloccati, consentendo l’accesso ai titolari solo per spese giornaliere e dietro autorizzazione della banca con debito preavviso. Inoltre, l’istituto dovrebbe essere in grado di mettere mano anche ai depositi inferiori ai 100.000 euro, in nome di quella “flessibilità” di intervento, necessaria per affrontare i casi di difficoltà.

La stessa BCE, però, si mostra consapevole che la misura, se approvata, rischierebbe di provocare una sfiducia generalizzata tra i piccoli risparmiatori, i quali si ritroverebbero la benchè minima garanzia anche se solo sulla carta. Tuttavia, il membro esecutivo della banca delle banche, la tedesca Sabine Lautenschlaeger, è apparsa colpita dalle critiche, sostenendo di non comprendere le ragioni della paura, perchè a suo dire i risparmiatori sarebbero incentivati a diversificare i loro investimenti, anziché parcheggiare il denaro solo sui conti correnti. Draghi invece da tempo fa pressioni sui governi tedeschi, affinché avallino l’Unione bancaria, così da non dover più contrattare quel minimo, coi vari esecutivi nazionali.

Lo stesso Draghi ha dovuto ammettere che l’Euro non è più un destino ineluttabile, mentre fino a poco tempo fa annunciava tronfio che l’euro fosse una gabbia chiusa a doppia mandata e che lui e i suoi amici avrebbero dato tutto per difenderlo visto hanno costruito le loro carriere su di esso. Questi ha infatti ammesso a seguito di un’interrogazione presentata all’Europarlamento, che i paesi che lo volessero possono rescindere da questo progett. Ma ha minacciato che bisognerà pagare il prezzo dell’ uscita e che come sempre dovranno essere i lavoratori a farlo.

Quanto costerebbe uscire dall’Euro e ridenominare il debito pubblico?
I conti li ha fatti Marcello Minenna, docente di economia a Londra. La Lex Monetae, principio universalmente riconosciuto, conferisce a uno Stato la facoltà di ridenominare i propri debiti in moneta nazionale (nella fattispecie, la nuova lira) purché governati dal diritto domestico. In Italia, su 1882 miliardi di BTP, appena 48 sono di diritto estero e andrebbero dunque rimborsati in euro, rappresentando quindi un implicito costo per i contribuenti nella nuova moneta. In teoria ciò vorrebbe dire rimborsare i restanti 1834 miliardi di BTP in nuova lira, consentendo dunque un beneficio per i contribuenti. Il problema è che a partire dal 2013 grazie ad un decreto del governo Monti, i BTP di nuova emissione hanno dovuto incorporare le cosiddette CAC, ossia clausole di azione collettiva che dopo lo swap sul debito greco del marzo 2012, i Paesi dell’area euro hanno introdotto progressivamente nelle nuove emissioni di titoli di Stato. Tali clausole consentono oggi ai detentori di almeno il 25%+1 di ogni emissione di BTP, di bloccare la ridenominazione di tale debito.
Ipotizzando una svalutazione del 30% della nuova lira (aggiustamento necessario per non svalutare più i salari) e assumendo che i 210 miliardi di BTP comprati dalla Banca d’Italia nel programma di QE, siano per metà ridenominabili e per metà no, Minenna conclude che l’Italia abbia benefici per circa 200 miliardi dalla ridenominazione sulla componente domestica grazie alla Lex Monetae e altrettante perdite sui BTP non ridenominabili a causa delle CAC. Situazione destinata a peggiorare esponenzialmente man mano che il passaggio verso i BTP con CAC sarà completata nel 2022: da adesso in poi, rinviare l’uscita dall’Euro e la ridenominazione del debito, costerà ai lavoratori italiani circa 70 miliardi l’anno, metà in perdite e metà in minori guadagni.

Il 1° gennaio 2018 inoltre entrerà a regime il Fiscal Compact, il che significa dover tagliare circa 50 miliardi l’anno di spesa sociale per i prossimi vent’anni, per portare il debito al 60% del Pil, come sancito dal trattato di Maastricht. Cosa che in realtà non si verificherà, visto che il pagamento degli interessi fa costantemente salire il debito, oltre al fatto che le misure d’austerità e deflattive stanno portando sempre più al collasso la produzione, quindi sempre meno lavoratori potranno sostenere questa pressione fiscale, che si farà sempre più asfissiante ma comporterà per forza di cose, minori entrate al ministero del Tesoro. E col Fiscal Compact tutto ciò verrà accentuato ancora di più. Un ulteriore regalo da parte dei politici borghesi chiamati a fare solo gli interessi della grande finanza.

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