Nonostante siano passati anni dalla Golden Age della famosa Hollywood, ancora oggi registi e sceneggiatori decidono di dedicare tributi a Star del passato, a registi, ad un determinato stile di vita, ad un tempo perso che resterà solo impresso su celluloide. Da questa “malinconia” nasce “Feud – Bette and Joan” incentrato sull’incontro\scontro tra le due star hollywoodiane Bette Davis e Joan Crawford. Entrambe attrici di punta della Warner Brothers nel primo e nel secondo dopo guerra, sono oggi ricordate come icone, come vere Dive del cinema classico hollywoodiano. Com’era quel cinema? Libri e miti ci hanno dato varie versioni di quell’epoca. Il regista Ryan Murphy, dal canto suo, non è interessato al mito. L’unico interesse del regista è mostrare la verità. Mostrare quel famoso “vaso di pandora” che, con falso stupore di tutti noi, si sta scoperchiando sotto i nostri occhi.


La serie tv (composta da 8 episodi per la durata di 40 minuti ad episodio) catapulta lo spettatore non nella Golden Age, ma all’inizio degli anni ’60, cioè quel determinato periodo storico in cui il cinema classico passava il testimone a quello che conosciamo come cinema della modernità. Non c’è più spazio per vecchie glorie, il mondo vuole Marilyn Monroe, non più Joan Crawford. La stessa Crawford (interpretata da un’immensa Jessica Lang) scova un libro dal titolo “Che fine ha fatto Baby Jane?” la cui trama si concentra sul rapporto d’odio tra due sorelle, entrambe star del cinema ormai dimenticate dal pubblico. Ingaggiato il regista Robert Aldrich, il passo successivo, sarà scovare la perfetta “Baby Jane”. La scelta cadrà sull’attrice due volte premio Oscar, Bette Davis (Susan Sarandon) nemesi della Crawford e, quindi, perfetta per il ruolo. Apparentemente messi da parte i rancori tra le due attrici, inizia la produzione di “Che fine ha fatto Baby Jane?”
I giornalisti (e lo stesso produttore Jack Warner) altro non volevano che la faida tra “le due vecchie arpie”. Hollywood voleva mostrare lo scempio, la ridicola situazione che queste due donne dimenticate dal pubblico vivevano quotidianamente. Questa pressione mediatica altro non ha fatto (anche prima della produzione della pellicola in questione) che alimentare un odio tra due persone che, fondamentalmente, altro non sono che la faccia della stessa medaglia. Sono i due aspetti che Hollywood (o la società dei consumi in genere) mostra a tutti noi che, con occhi lucidi e pieni d’ammirazione, guardiamo e ammiriamo il glamour e quel tenore di vita apparentemente da favola. Due facciate: la prima è quella di Bette Davis. Non bella ma dotata di un talento che ha sempre fatto inchinare critica e pubblico. La seconda facciata, quella di Joan Crawford. La donna più bella di Hollywood, colei che Scott Fitzgerald definì “flapper girl”. Sempre vittima della propria bellezza che le ha fatto implorare ruoli drammatici (solitamente dati alla Davis).

Quindi Hollywood ha creato una donna troppo brava ed un’altra troppo bella. Ma Joan voleva essere brava e Bette voleva essere bella. Questa società schiaccia le persone sotto la massiccia sensazione di “non avere mai abbastanza”, anche quando sei un’attrice premio Oscar, anche quando hai ammiratori, denaro e uomini. Tuttavia hai uomini che vanno a letto con Margot Channing (il personaggio interpretato da Bette Davis in “Eva contro Eva”) e il mattino seguente, si svegliano con Bette. Hai amici (e amanti) che fremono dalla voglia di conoscere Joan Crawford, quando, nella vita reale, il tuo nome è Lucille Le Sueur. La serie prosegue, non si ferma a Baby Jane. La storia di Bette e Joan continua fino alla morte della Crawford, perché la loro faida non si concluse con l’ultimo ciak del film girato assieme. Baby Jane, o meglio la spinta pubblicitaria necessaria per promuovere Baby Jane, è letale: distrugge completamente un rapporto che sembra più volte sbocciare (in brevi momenti in cui le due attrici si confrontano su temi come “l’essere madre” o “l’essere figlia”) perché il marketing richiede l’odio, la sfrenata competizione, perché nulla è mai abbastanza.

Finita la serie, ci troviamo davanti a due donne profondamente sole, profondamente incapaci di essere altro oltre che Bette Davis e Joan Crawford. Incapaci di mettere da parte queste loro “maschere” cinematografiche anche, se non soprattutto, nel momento del bisogno. Nel momento in cui entrambe non avevano più lavoro (perché troppo vecchie per i canoni hollywoodiani) nel momento in cui entrambi i loro figli le abbandonavano, nel momento in cui Joan scopre di star per morire di cancro. Alla fine, resta solo l’amarezza e la “consolazione” di essere ricordati in eterno, di essere diventate leggende di un mondo (o di un sistema) che non ti vuole “troppo umano”. Nemmeno la scelta del cast è casuale: Susan Sarandon e Jessica Lang sono entrambe attrici che raramente vediamo sul grande schermo, perché “troppo vecchie”, perché Hollywood non ha più ruoli per loro, perché il nuovo deve sempre prevaricare sul vecchio, le due cose non possono coesistere nel bosco d’agrifogli. Murphy critica il passato per criticare il presente. Nulla è cambiato dal 1962.

 

Sabrina Monno

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.