Il tavolo tra Governo e sindacati (CGIL, CISL e UIL), dopo la ripresa e conclusione del confronto, non ha portato ad alcun cambiamento nelle prospettive: confermata in tutti i suoi contenuti la riforma Fornero. Il Governo ha provato a buttare il solito fumo negli occhi: estensione delle esenzioni delle categorie definite gravose anche alle pensioni di anzianità (e non solo alle pensioni di vecchiaia) e l’istituzione di un fondo per i potenziali risparmi di spesa con l’obiettivo di consentire la proroga e la messa a regime dell’Ape sociale.
La solita elemosina sociale della borghesia per sminuire il cuore della questione ovvero l’aumento dell’età di uscita legato all’aspettativa di vita che dal 2019 porterà l’asticella a 67 anni, con il proposito (quasi del tutto esaudito) di non determinare una nuova stagione di mobilitazioni che coinvolga le masse sindacalizzate e non. Nel dare avvio alla discussione il presidente del Consiglio ha fatto notare come il pacchetto di proposte fatte alle parti sociali sia «molto rilevante» per accompagnare questa decisione dell’adeguamento pensionistico con una serie di interventi mirati. Uno sforzo significativo che l’esecutivo ha chiesto ai sindacati di condividere perché il pacchetto «noi lo vareremo nella sua interezza se voi lo sosterrete», ha detto il premier. Per andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia (l’ex pensione di anzianità contributiva) dal 2019 saranno necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne (questo lo scatto conseguente all’adeguamento dell’aspettativa di vita, cresciuta di 5 mesi). Al momento per l’uscita anticipata verso la pensione ci vogliono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. E naturalmente questo solo per il 2019, perché in prospettiva il provvedimento prevede un’aspettativa di vita che arriverà ai 70 anni.
Piuttosto contraddittorio quest’ultimo aspetto considerata la privatizzazione della sanità con accesso alle cure solo per i ricchi, l’assenza di lavoro, la disoccupazione crescente, la mancanza di salario, di un reddito e quindi di una concreta possibilità di alimentarsi bene, curarsi adeguatamente. Per non parlare della privatizzazione dei servizi pubblici con conseguente disagio e stress per le masse povere che non possono accedere in alternativa al possesso di mezzi adibiti alla mobilità perché eccessivamente costosi ed onerosi in virtù di un sistema architettato ad arte dalla borghesia nell’ambito del regime della proprietà privata. Insomma un insieme di fattori che fanno presagire tutt’altro che un aumento delle aspettative di vita: forse il Governo Gentiloni intendeva rappresentare le aspettative della sua classe di riferimento, quella borghese, eppure neanche tali ipotesi sembra plausibile considerato che Gentiloni, Renzi & Company hanno altri problemi, non di certo quello di maturare una pensione considerato che già l’hanno maturata tra vitalizi e privilegi vari. Quello che rimane in tutto questo è un timido accenno alla mobilitazione da parte della CGIL, una promessa di intenti già troppe volte disattesa dalla burocrazia dirigenziale agli occhi di milioni di lavoratori disillusi e traditi come non mai negli ultimi 40 anni di politiche del lavoro scellerate e reazionarie, e che cercano solamente un partito-guida, un sindacato, un’organizzazione di lavoratori e lavoratrici, per una prospettiva anticapitalista e rivoluzionaria, unica in grado di portare la classe maggioritaria, quella operaia, al potere.

 

Paolo Prudente

 

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