A quattro anni dalla fondazione di Podemos, Pablo Iglesias risponde al punteggio elettorale in Catalogna con un’autocritica e con la promessa di tornare a puntare su un programma per il sociale. Nonostante ciò, tuttavia, continua con una strategia gradualista che può condurre solo alla disillusione.
“L’anno non è finito bene; in Catalogna abbiamo ottenuto uno scarso risultato elettorale. Se quello di due anni fa fu cattivo e lo definimmo come altamente deludente, quello del 21 dicembre è stato ancora peggio. Avremmo potuto far di meglio”. Così Pablo Iglesias ha parlato della forte caduta elettorale di Podemos in Catalogna, che nelle ultime elezioni è sceso di 2 punti e ha perso 3 deputati rispetto al 2015.
Così, con tono autocritico, Pablo Iglesias riapparse nel Consiglio Cittadino di Podemos questa settimana dopo essere rimasto in silenzio per quasi un mese, proponendo di recuperare il piano sociale per riconquistare parte del terreno perduto.
La politica dell’“ambiguità calcolata” durante la crisi catalana, dove Podemos difese un impossibile “referendum concordato” con il regime del ’78 che impose il 155 (1) e la repressione verso il movimento indipendentista, lo portò a perdere voti sia a destra che a sinistra. Ciò fu un vero trauma per un partito (e un leader) nel quale sondaggi e voti sono stati una vera ossessione.
Ciò spiega questa nuova deviazione di Iglesias, che intende ridurre al minimo (per non dire completamente liquidare) l’esposizione in pubblico di Podemos di fronte alla questione catalana. Tanto che, dopo non essersi per niente pronunciato dal 19 febbraio, la riapparizione di Iglesias è stata piena di “autocritica”, ma non ha espresso una sola parola in merito alla situazione dei prigionieri politici catalani (questa settimana si sono compiuti tre mesi dall’incarcerazione dei Jordis).
Quando la posizione elementare dei principi per un partito che si dice di sinistra condurrebbe ad una grande mobilitazione per la libertà di tutti i prigionieri politici e contro la repressione del regime, Podemos al contrario ripudia qualsiasi posizione minimamente democratica su questo tema. Evidentemente, la paura di continuare a perdere voti a destra è una forza possente nel momento in cui si negoziano i principi.
Insieme al trauma catalano, il discorso di Iglesias fece riferimento all’altro grande fallimento della sua strategia: il suo rapporto con il PSOE. Dopo aver iniziato l’anno mettendo tutte le energie nella ricerca di un “governo del cambiamento” con Pedro Sanchez, il leader viola non ha avuto altra scelta che lasciare incompiuto questo progetto.
Di fronte alla grandezza dell’affronto catalano contro il regime monarchico, il PSOE si è mostrato per quella che era la sua vera natura: il braccio destro della monarchia e un fedele pilastro chiave del regime del ’78. Una mossa che non sorprese nessuno. Non a caso le giustificazioni del politologo Pablo Iglesias per spiegare il fallimento del suo impegno per un accordo con Sanchez sono, nel migliore dei casi, ridicole: “Alcuni ci dicono che siamo stati degli ingenui, ma Sanchez è invecchiato molto presto”. In realtà il problema non è che Sanchez sia “invecchiato molto presto”, ma l’accelerato “invecchiamento di Podemos, che è passato dal presentarsi come una forza della “nuova politica” al legare il suo destino, e in senso stretto la sua sostenibilità politica, alla possibilità di un governo con i social liberali del PSOE.
Un percorso in cui, deve essere riconosciuto, Podemos ha compiuto grandi sforzi per adattarsi ai meccanismi politici, legali e costituzionali del regime del ’78. E tutto ciò al punto di negare di fatto il diritto all’autodeterminazione alla Catalogna o addirittura di giustificare il colpo di stato istituzionale del 155 ed incolpare, durante il processo catalano, prigionieri politici come Juan Carlos Monedero.
Più in generale, Iglesias nella sua ultima dichiarazione ha affermato che con la crisi catalana si è prodotto un “giro reazionario di stile monarchico”, che ha avuto come seria conseguenza che il PSOE “ha rinunciato ed essere il suo partner preferito, e questa non è una buona notizia visto il cambiamento politico”.
In effetti il risultato preliminare del movimento indipendentista catalano, che è stato il maggiore affronto al regime del ’78 dal 15-M (2) e il periodo di lotte di resistenza che questo ha aperto nel 2011, ha portato ad un rafforzamento del conservatorismo spagnolo e del regime monarchico, sia in Spagna che negli ampi settori della popolazione catalana, come dimostrano anche le persone scese in piazza a manifestare.
Ma una forza politica come quella di Podemos, che insieme a IU e ai Mareas ha 67 deputati al Congresso e governa nelle principali città spagnole, possibile che non si interroghi sulle responsabilità che essa ha nella “svolta reazionaria in stile monarchico” della situazione? I rapporti di forza sfavorevoli non cadono dal cielo. Sono il prodotto di sconfitte, o ancora peggio, di battaglie non combattute.
Dalla sua fondazione di quattro anni fa, Podemos ha seguito una strategia di moderazione e rinunce, adeguando permanentemente a destra il suo programma politico per raggiungere uno spazio politico elettorale da cui trasformare il regime. Il risultato fu che ogni “concessione” di Podemos dinnanzi ai poteri stabiliti con l’obiettivo di conquistare “il senso comune” del centro politico provocò nient’altro che un rafforzamento del regime. E questo, fondamentalmente, è stato espresso nella sua politica nei confronti del PSOE.
Del fatto di aver riposto così tante aspettative in una possibile “svolta a sinistra” del PSOE per costruire un governo di cambiamento, l’unico a beneficiare è stato lo stesso PSOE, che è riuscito a frenare la sua caduta elettorale. L’accordo di Podemos con il PSOE nel governo di Castilla La Mancha, che Iglesias continua a mostrare come “esempio” di come il PP potrebbe essere lanciato, non fa altro rafforzare il regime stesso.
I fallimenti di Unidos Podemos sono stati espressi all’interno della coalizione, provocata questa settimana da forti critiche del leader dell’IU (SU – Sinistra Unita) Alberto Garzòn, il quale ha affermato che: “è preoccupante che, secondo tutti i sondaggi, le percentuali di fedeltà a Unidos Podemos siano cadute fino a porlo come il peggiore di tutte le grandi forze politiche in campo”. Nella sua critica Garzòn ha fatto riferimento anche alla questione catalana dove, secondo la sua visione, come prodotto dell’”ambiguità riguardante la questione territoriale” si perderanno voti. In questo campo, il leader dell’IU avrebbe sicuramente preferito una posizione più chiara nel controllo del diritto all’autodeterminazione, in linea con le posizioni storiche del PCE.
Garzòn ha fatto un po’ di capricci dopo essere stati uno “zero” virtuale a sinistra mentre voleva ricalcolare i rapporti con Podemos e negoziare in condizioni migliori le candidature comunali e gli spazi di potere verso il futuro. Ma la verità è che l’IU, sebbene più degradata e meno brillante di Podemos, è ugualmente corresponsabile di aver appoggiato la strategia del podemismo. Il comune denominatore che unisce entrambe le formazioni è il loro scetticismo sulla lotta di classe o su ogni possibilità di affrontare il regime capitalista in modo rivoluzionario. La strategia politica ridotta a zero.
Iglesias ora dice che Podemos deve riprendere la storia dell’agenda sociale e della “mobilitazione sulla strada”. Però ora come ora non genera nemmeno un pizzico di illusione rispetto a quattro anni fa. I suoi zig zag continui e il suo addomesticamento generale fondano il sospetto che questo non sia altro che un nuovo discorso funzionale alla loro unica strategia: iniziare la campagna elettorale per le comunali del 2019 e quelle generali del 2020.
Proprio a tale fine, Iglesias presenta i “consigli di cambiamento” come un grande esempio di politica efficiente e ha già assicurato Manuela Carmena, che sarà sostenuta per una rielezione a Madrid. Nientemeno che dopo aver accettato i tagli di Montoro e della PP, ecco la capitolazione che costituisce la vera fine della storia dei “consigli del cambiamento”.
Dopo tre anni di governi comunali, quali sono stati i cambiamenti nella vita reale di milioni di lavoratori, disoccupati, precari, giovani, immigrati o movimenti sociali? I “consigli di cambiamento” non hanno cercato di rimuovere le privatizzazioni del ciclo precedente, né hanno annullato l’assegnazione di servizi pubblici alle grandi società di costruzioni. Hanno accettato, senza metterla in discussione, la dittatura delle banche che ha lasciato migliaia di famiglie senza case e non hanno pronunciato parola contro il lavoro precario e contro la disoccupazione giovanile. Come si è visto a Madrid alla fine dell’anno, con l’accettazione del piano di Montoro, hanno finito per accettare tagli e aggiustamenti a scapito del pagamento del debito, ripetendo così politiche neoliberali con l’argomento che non c’è margine per fare qualcos’altro.
L’autocritica di Pablo Iglesias e la sua nuova svolta discorsiva sono superficiali come le precedenti. Non han comportato nessun cambiamento strategico. L’obiettivo rimane sempre la conquista di riforme graduali attraverso la via elettorale. Solo da parte di un apparato elettorale allergico alla lotta di classe, senza posizioni organiche nelle organizzazioni della classe operaia e giovanile, con meno forza rispetto a tre anni fa e molti sintomi di esaurimento è possibile tutto ciò. Il neoriformismo è un riformismo senza riforme. Pura impotenza.
Oggi, a 99 anni dall’assassinio Rosa Luxemburg e Karl Liebcknecht per mano dei Freikorps con la complicità della socialdemocrazia tedesca, sono ancora molto attuali le parole del grande rivoluzionario polacco quando affermava che chi parla “a favore del metodo della riforma legislativa invece che della conquista del potere politico e della rivoluzione sociale in opposizione a questi, in effetti, non opta affatto per una via più tranquilla, più calma e più lenta verso lo stesso obiettivo, ma in realtà opta per un obiettivo diverso. Invece di schierarsi per la costruzione di una nuova società, pensano di poter modificare superficialmente quella vecchia”. E ha aggiunto: “Poiché le riforme sociali possono offrire solo promesse prive di contenuto, la conseguenza logica di un tale programma sarà necessariamente una profonda delusione.
Preparati contro questa disillusione, dobbiamo aprire il dibattito sulla necessità di costruire una sinistra rivoluzionaria e anticapitalista la cui strategia sia centrata sulla lotta di classe. Questo è il nostro compito.
Diego Lotito per Izquierda Diario.es
Traduzione di Azimuth
Note:
(1) Si intende l’articolo 155 della Costituzione spagnola.
(2) Ci si riferisce al Movimiento 15-M, anche noto comemovimento degli Indignados.
È nato nella provincia di Neuquén, Argentina, nel 1978. È giornalista e redattore della sezione politica di Izquierdadiario.es. Co-autore di "Cien años de historia obrera en la Argentina 1870-1969". Attualmente risiede a Madrid ed è membro della Corriente Revolucionaria de Trabajadores y Trabajadoras (CRT) dello Stato spagnolo.