In questi giorni è facile notare come i media borghesi continuino a discorrere sull’affermazione nettamente razzista del candidato alla presidenza della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Nonostante siano trascorse due settimane, le parole rilasciate in una sua breve intervista radiofonica continuano a risuonare nel web. Per chi non lo sapesse, come insegna la tradizione destrorsa, il leghista lombardo ha richiamato tutti al dovere di difendere la «nostra etnia, la nostra società, la nostra razza bianca» dal pericolo di essere cancellata dal numero crescente di migranti africani. Il suo obiettivo, l’espulsione di centomila clandestini che vivono in Lombardia, è fortunatamente irrealizzabile ma, sfortunatamente, persuasivo nei confronti di quelle persone che continuano a credere che esistano davvero delle identità razziali ascrivibili all’uomo.

 

È stato ormai dimostrato dall’antropologia molecolare, tramite confronti genetici, che un asiatico, con una certa probabilità, può essere più simile ad un europeo di quanto lo siano tra loro due europei. Evidentemente le conferme scientifiche dell’impossibilità di una classificazione in razze di Homo sapiens non vengono diffuse adeguatamente, restando circoscritte ad ambienti accademici e in libri che un cittadino medio difficilmente leggerà. La cosa che stupisce maggiormente è, però, il fatto che nel 2018 questi dati vengono ignorati completamente da molti componenti della comunità medico-scientifica internazionale.

 

Applicazioni delle teorie razziali ai giorni nostri

In questi ultimi anni, si fa spesso riferimento alla farmacogenetica: lo studio di come le variazioni genetiche ereditate influenzano le capacità delle persone di rispondere a un farmaco, e l’uso di tale conoscenza nella scoperta e nello sviluppo dei farmaci (Friedrich Vogel, 1959). La presenza di determinati modelli in genetica può spiegare perché una persona può beneficiare di un farmaco mentre un’altra può soffrire effetti tossici dallo stesso dosaggio del medesimo farmaco. I ricercatori hanno identificato variazioni genetiche (o polimorfismi genetici), presenti negli alleli di un gene che si riproduce in un’espressione più o meno elevata di determinate proteine, associate all’assorbimento di farmaci. Gli strumenti della biologia computazionale e il miglioramento della biologia molecolare trarranno beneficio dal modo in cui i ricercatori prevedono la funzione genica in relazione alla farmacologia, ma ad oggi ci sarebbe molto da ridire sulle recenti applicazioni di cui è stata protagonista questa branca della scienza e le implicazioni che hanno a livello salutare, ed economico sugli individui.

 

Basta poco per rendersi conto dell’attualità di tali tematiche. Facendo una rapida ricerca sul sito ufficiale della FDA (U.S. Food & Drugs Administration), si può scoprire con facilità che formalmente, nel 2018, il mondo della medicina (e ovviamente non è l’unico) è suddiviso in razze. È scritto chiaramente nella guida “Collection of Race and Ethnicity Data in Clinical Trials” (Raccolta di dati relativi alla razza e all’etnia in Test clinici), dell’ottore 2016 e citata anche in altre pubblicazioni di fine 2017, che l’umanità è suddivisa in cinque fondamentali razze (Indiani d’America o Nativi d’Alaska, Asiatici, Neri o Afro-Americani, Nativi Hawaiiani o delle isole del Pacifico e Bianchi) e che i pazienti possono identificarsi autonomamente sia in una categoria etnica che raziale tramite dei semplici test che pongono domande di questo tipo:

 

  • “Domanda 1: Consideri te stesso Ispanico/Latino o non Ispanico/Latino?
  • Domanda 2: Quale delle seguenti cinque categorie razziali ti descrive nel modo migliore? Si accetta più di una risposta.”

Dunque, sembra ovvio che con la genetica, e quindi con una cura presunta più adatta, questi test hanno davvero poco a che fare visto l’alto grado di generalizzazione.

 

Il caso BiDil: spacciato come medicinale ad hoc per afroamericani

Un dato interessante a riguardo emerge da una revisione retrospettiva dei protocolli di sperimentazione clinica ed approvazione del prodotto per 185 nuovi farmaci, approvati tra il 1995 e il 1999, riporta che l’etichettatura per il 45% (84/185) dei prodotti conteneva alcune affermazioni circa la razza, e nell’8% (15/185) dei casi sono state specificate le differenze di somministrazione legate alla razza.

 

Inoltre, nel 2005 la FDA ha approvato BiDil dichiaratamente “per il trattamento dello scompenso cardiaco in pazienti neri autoidentificati“. Quindi, da una prospettiva farmacologica, le razze umane sono ancora trattate come “vere” categorie biologiche. BiDil è un farmaco antipertensivo che aiuta chi ha un cuore affaticato dilatando le arterie, che nonostante sia stato largamente criticato da scienziati esperti, è ancora in commercio. La NitroMed, azienda che ne detiene il brevetto, si avvarrà dei suoi diritti commerciali fino al 2020.

 

I punti fondamentali su cui è stato criticato sono i seguenti:

 

  • Non è una nuova molecola, ma semplicemente la combinazione in un’unica pillola di due farmaci generici già esistenti usati per trattare l’insufficienza cardiaca indifferentemente dalla razza (isosorbide dinitrato e idralazina);
  • Test clinici fatti su un numero troppo ristretto di soggetti afroamericani per fare affermazioni specifiche sulla “razza”, e lo studio non ha incluso alcun soggetto di prova non afroamericano;
  • Identificazioni razziali auto-identificate dai pazienti non sono un metodo di categorizzazione sufficiente (le razze sono costruzioni sociali senza alcuna connessione biologica con i dati genomici);
  • La maggior parte dei farmaci sul mercato sono testati quasi esclusivamente su maschi bianchi. Eppure, non si dice che siano specifici per “bianchi”.

Questa distinzione tra Bianchi e Neri, già di per sé appare ridicola. È un fatto inconfutabile che il continente africano racchiude un repertorio più vasto delle nostre differenze genetiche, mentre gli altri continenti possono essere considerati dei sottoinsiemi della diversità africana (l’Homo sapiens ha trascorso più della metà della sua storia evolutiva in Africa prima di espandersi in piccoli gruppi che a mano a mano hanno colonizzato l’intero pianeta).

 

Ma oltre a questo: chi si deve includere negli Afro-Americani? E quanto Afro-Americani bisogna essere per essere considerati candidati al BiDil? Per un terzo o per un quarto o un ottavo? Si dovevano considerare comprese anche le persone con la pelle scura sud-asiatiche o gli aborigeni australiani? La sperimentazione, e l’etichetta sulla confezione “Black”, si basano su un’auto-identificazione con la categoria dei Neri. Che a sua volta si basava su una valutazione sociale di tipo soggettivo. Nulla a che vedere con i fenomeni biologici del metabolismo e della risposta al farmaco.

 

Nella realtà dei fatti esistono già i presupposti per una farmacogenomica personalizzata. Il medico un giorno potrebbe basarsi sul profilo genetico del singolo paziente, in relazione al quale sarà prescritta la terapia più adatta. Ma questo tipo di medicina, la medicina razziale, non serve a niente, è basata su presupposti che non stanno in piedi scientificamente e continuerà ad essere un grande spreco per l’industria farmaceutica come per la ricerca medica. Soprattutto finché le case farmaceutiche continueranno ad ignorare i progressi della genetica nel nome del profitto.

 

Si noti bene, quindi, che non è per una questione di principio secondo la quale tutti dovremmo essere trattati allo stesso modo e con gli stessi farmaci, ma al contrario, trattare tutti i membri di una popolazione come se fossero geneticamente la stessa cosa, perché tutti scuri dai capelli neri o perché bianchi e biondi, è un pessimo errore. All’interno di ogni popolazione ci sono individui che metabolizzano i farmaci nei modi più diversi. Ma purtroppo, viviamo in una realtà in cui le case farmaceutiche hanno un ovvio interesse nello sviluppare farmaci a dosaggi diversi per diversi mercati. Il problema è che, in questo contesto, il contesto capitalistico, mercato vuol dire razza.

 

Bierre

 

Fonti:

Barbujani, G. and Colonna, V. (2013). Human Populations: Origins and Evolution. eLS.

Barbujani, G. (2016). Gli africani siamo noi. 1st ed. Editori Laterza.

Maglo, K., Rubinstein, J., Huang, B. and Ittenbach, R. (2014). BiDil in the Clinic: An Interdisciplinary Investigation of Physicians’ Prescription Patterns of a Race-Based Therapy. AJOB Empirical Bioethics, 5(4), pp.37-52.

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