Introduzione

La crisi che ha attraversato il regime del ’78 nei mesi passati con l’irruzione del movimento democratico catalano ha rappresentato la più grande sfida per lo Stato erede della dittatura dell’ultimo periodo. Nonostante l’imposizione del 155 e la sconfitta del tentativo indipendentista (una responsabilità che ricadde non solo sull’offensiva repressiva dello Stato, ma anche sulla capitolazione della leadership borghese e piccolo borghese dell’intero processo) le ragioni di fondo che hanno dato origine a questa crisi si sollevano ancora. Da una parte, la cosiddetta “ripresa economica” trova i suoi limiti in un quadro internazionale di ripresa ma senza prospettive, dall’altro lato continua invece ad appoggiarsi sulle spalle della classe operaia e dei settori popolari, sotto forma di disoccupazione di massa, precarietà, deflazione salariale e smantellamento dei servizi pubblici e di altri diritti come le pensioni. Un acuimento della miseria che colpisce soprattutto i giovani, le donne e gli immigrati. Dall’altra parte, sono anche ancora attuali le grandi rivendicazioni democratiche che sono state sollevate dal movimento del 15M (gli Indignados), come il rifiuto della “casta politica” e la sua corruzione, rivolte alla Corona e in generale a questa democrazia per i ricchi. 

In questo contesto, la sinistra neoriformista (Unidos Pomedos in Spagna, CUP in Catalogna) ha mostrato tutta la sua incapacità di costruire una politica di indipendenza di classe in contrapposizione alle distinte fazioni della borghesia, che unifichi le richieste democratiche con un programma che al dia una via d’uscita alle sofferenze delle maggioranze lavoratrici e popolari. Un fallimento che ha come precedenti altre esperienze della sinistra europea come Syriza (Grecia), diventata oggi un servo fedele della Troika, e che non può considerarsi un processo separato dall’ascesa dell’estrema destra in diversi paesi del continente europeo o dal trionfo di Trump negli USA. E questo fallimento al tempo stesso ha risollevato il problema di che tipo di sinistra sia necessario costruire.

Come CRT e Izquierda Diario ci assumiamo la responsabilità di “muovere le fila” e aprire il dibattito. Il nostro obiettivo? Avanzare nella costruzione di una sinistra forte, anticapitalista, rivoluzionaria, internazionalista e operaia in Spagna, che intenda immediatamente affrontare l’offensiva reazionaria che sta attraversando tutto lo Stato, ma che allo stesso tempo prepari anche l’irruzione di nuovi fenomeni di lotta di classe.

L’intento del blocco monarchico di imporre una restaurazione reazionaria del Regime del ‘78

La risposta repressiva della Corona, dei partiti monarchici e della magistratura per liquidare il movimento indipendentista catalano nasconde dietro di sé un obiettivo più ampio: l’intento di chiudere la questione catalana e la crisi del Regime del ’78 per via reazionaria.

La copertura ideologica dello «spagnolismo», attizzato dalla  crisi catalana, non è che una copertura per l’intento di ridare prestigio alla monarchia e alla Costituzione del ’78 e di consolidare un modello territoriale più centralizzato. Allo stesso tempo, si cerca anche di dare più potere al “partito giudiziario” che oggi si pone alla testa di una “nuova inquisizione” minacciando le libertà democratiche con decisioni aberranti come imprigionare i leader dei processi catalani per “ribellione”, processare i giornalisti, gli artisti o i giovani Altsasu, Alfon, o col tentativo del governo di impedire la rielezione di Charles Puigdemont. In questo modo, il regime intende recuperare la stabilità necessaria per continuare l’agenda di tagli e controriforme richiesta dal capitale spagnolo, dall’UE e dai creditori del debito, iniziando con la liquidazione del sistema pensionistico pubblico, con nuovi aggiustamenti fiscali e con un’altra riforma del lavoro in chiave precarizzatrice.

Ma non è ancora detto che questo progetto riesca ad imporsi. In primo luogo, ci sono un buon numero di contraddizioni interne per raggiungerlo. Non esiste unanimità sul grado di riorganizzazione che il PP e Ciudadanos vogliono imporre tramite il 155 e sugli interventi dei conti alle comunità autonome e ai consigli comunali. Al tempo stesso, la lotta aperta per l’egemonia della destra dopo l’affondo del PP e l’ascesa di Ciudadanos in Catalogna ha posto dei limiti all’unità dei propositi all’interno del blocco monarchico alle porte di un nuovo periodo elettorale.

In secondo luogo, sebbene in Spagna sia stata raggiunta una stabilizzazione conservatrice e una paralisi del movimento catalano, questo progetto può ancora tornare ad incontrarsi con la mobilitazione sociale (1), nonostante le sue direzioni, e con una riapertura dl basso della crisi del regime, come abbiamo visto nel ciclo di lotte del 2011-2014 o negli ultimi mesi in Catalogna

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Questo perché, sebbene l’offensiva della destra impegni lo scenario politico, le tendenze alla “crisi organica” (secondo Antonio Gramsci, “una crisi di egemonia della classe dominante, una crisi di autorità dello Stato nel suo complesso”, prodotto della separazione tra le masse e le loro rappresentazioni tradizionali) sono mantenute in pieno vigore. Ed è proprio nella crepa aperta da questa crisi che la lotta di classe può intrufolarsi, meglio presto prima che tardi.

Dall’illusione politica ad essere la gamba sinistra del regime: la sinistra neoriformista non ha superato la prova

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L’emergere del nuovo riformismo, incarnato da Podemos, la convergenza e l’alleanza con il riformismo tradizionale della Sinistra Unita hanno avuto luogo nel quadro dell’esaurimento del ciclo del 2011-2012. Questo riflusso del “sociale” è stato favorito dal ruolo delle dirigenze burocratiche dei grandi sindacati che si sono tirati indietro ed hanno boicottato ogni possibilità di entrare in scena per la classe operaia. I leader di CCOO e UGT sono scomparsi dopo il secondo giorno di sciopero di 24 ore del 14 novembre 2012, dopo aver isolato e portato alla sconfitta il più grande sciopero minerario in quello stesso anno. In questo contesto, la sinistra sindacale non è stata in grado (in parte a causa della sua debolezza, ma anche a causa dei propri errori settari) di utilizzare le sue posizioni per mostrarsi come alternativa o controtendenza alla politica della burocrazia sindacale. E in uno scenario di frammentazione della classe operaia, anche quei settori sindacali che si dichiarano anti-burocratici e combattivi non sono stati in grado di proporre una prospettiva che superasse l’atomizzazione delle stesse organizzazioni della classe operaia.

Podemos del resto è stato presentato come l’espressione politica del malcontento sociale, vendendo l’illusione che l’unico cambiamento possibile verrebbe dal percorso di conquistare posizioni di governo attraverso la via elettorale. Con un programma riformista, inizialmente parte delle rivendicazioni del 15M, è emerso nei governi europei e municipali che hanno raggiunto le prime posizioni governative nelle principali città dello Stato. Tuttavia, quello che hanno costruito è un nuovo tipo di organizzazione di “sinistra” confinata agli estremi limiti istituzionali consentiti dal regime, in cui assolutamente nulla può essere trasformato se si resta nel punto di vista del dominio capitalista. Così, dalle idee più “radicali” dei suoi inizi, Podemos è andato addomesticandosi, svalutando il suo programma fino ad arrivare alla mera riforma costituzionale e a cogovernare con il PSOE.

Scarseggiando di influenza organica nella classe lavoratrice (a differenza del riformismo classico), Podemos ha rafforzato il “lavoro” della burocrazia sindacale di CCOO e UGT per calmare la strada, collaborando completamente al mantenimento della divisione e alla frammentazione sociale e materiale della classe lavoratrice. Parallelamente, il cogoverno con il PSOE è stato ripreso a Barcellona con il patto estinto con il PSC, con l’ingresso di Podemos nel governo di Castilla la Mancha e con il sostegno parlamentare a questo partito in Aragona e in altre comunità. Infine, la sua posizione di fronte alla questione catalana ha finito per confermare l’integrazione nel regime del ’78 come sua nuova gamba sinistra, rifiutando di riconoscere il risultato dell’1-0 e il diritto all’autodeterminazione della Catalogna e tantomeno di promuovere anche la più minima mobilitazione nel resto dello Stato contro l’offensiva repressiva dello Stato e della monarchia.

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La sinistra indipendentista e la sua impotente subordinazione alla direzione borghese e piccolo borghese del processo

L’altro grande obiettivo su cui una buona parte della sinistra ha scommesso in questi ultimi anni, in particolare in Catalogna, fu quella di fare riferimento al CUP e alla sua politica nel processo catalano. L’idea era che la rottura territoriale della Spagna avrebbe potuto, di per sé, scatenare il collasso del Regime del ’78 e la concatenazione di processi di rottura nel resto dello Stato. E questo, inoltre, indipendentemente da chi fosse impegnato in prima linea nella lotta per l’indipendenza della Catalogna e del progetto sociale che avrebbe costituito la futura Repubblica catalana.

I risultati del processo catalano hanno dimostrato che altro non si trattava che di un’“illusione”, secondo cui l’alleanza con i rappresentanti politici della borghesia e della piccola borghesia catalana era la via per cui la lotta per i diritti democratici in Catalogna avrebbe potuto scatenare un processo di “rottura” o “rivoluzione democratica” […] senza nessuna provocare in realtà nessun vero distaccamento dallo Stato spagnolo. La profondità del movimento catalano e soprattutto la grande mobilitazione sociale e gli elementi di auto-organizzazione messi in atto dalle settimane precedenti l’1 ottobre, che ha avuto la sua continuità con gli scioperi generali del 3 ottobre e dell’8 novembre, li ha portati oltre quello che loro stessi volevano. Il referendum ha avuto luogo e il 27 ottobre c’è stata anche una proclamazione di indipendenza. Tuttavia, come previsto, le forze politiche hanno immediatamente optato per una linea moderata che continuasse ad avallare un ritorno alle negoziazioni. Per conquistare il diritto all’autodeterminazione fino alla vittoria sarebbe stato invece necessario mettere in moto grandi forze sociali, con la classe operaia alla testa. Tuttavia questo scenario è stato respinto dal PDeCAT, dall’ERC e dalle entità sovrane, fedeli alla loro composizione di classe.

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Una dinamica che ha contribuito insieme alla politica nefasta del nuovo riformismo e della burocrazia sindacale, voltando le spalle al movimento democratico catalano; d’altra parte la stessa sinistra indipendentista non ha preso alcuna iniziativa per unire la lotta del popolo catalano con la classe operaia e i settori popolari del resto della Spagna.

Se la strategia di Podemos è fallita a causa della sua sottomissione ai limiti imposti dal Regime del ’78, quella del CUP è naufragata nella sua subordinazione ai rappresentanti storici della borghesia e della piccola borghesia della Catalogna. La politica di entrambe le formazioni, tuttavia, ha un comune denominatore: la fiducia che qualsiasi processo di trasformazione politica possa essere conquistato dall’alto o, al massimo, con posizioni nel regime sociale e nel movimento che spinge dall’esterno, ma in nessun caso attraverso la lotta di classe indipendente.

 

Traduzione di Azimuth da Izquierdadiario.es

Note del redattore

(1) Pensiamo in particolare delle donne, che stanno guidando un movimento che il prossimo 8 marzo invaderà le strade di tutto lo Stato alla guida dello sciopero femminista, dei giovani e dei lavoratori, soprattutto quelli precari.

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