Pubblichiamo, separato in tre parti, un articolo sulla campagna fascista che nel 1921 sgominò il movimento operaio fiorentino, preparando la salda presa del potere politico da parte dei fascisti, che salirono al governo nazionale l’anno seguente, chiamati dal re d’Italia in persona. Qui in versione Pdf l’articolo intero.


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(nella foto la squadraccia fascista fiorentina “La Disperata”)

Scatta la trappola

Nel novembre 1920 i socialisti non riescono a conquistare il comune di Firenze alle amministrative. Il Nuovo Giornale titola l’8 novembre: “Il pericolo bolscevico scongiurato, il blocco democratico ha vinto a Firenze”. L’amministrazione comunale può quindi fungere da nuovo centro legale attorno a cui dispiegare l’azione fascista. L’escalation può cominciare: 26 gennaio 1921 viene incendiata la redazione del giornale socialista fiorentino La Difesa, il 28 si tenta di bruciare la casa del popolo di Rifredi ed il 22 febbraio i fascisti assaltano il Consiglio Provinciale.

I fascisti sono bene armati. Da agosto 1920 le loro corrispondenze non accennano più a problemi di rifornimento delle armi. Tuttavia non hanno alcuna speranza di battere in campo aperto un’insurrezione popolare. Il loro scopo non è del resto questo. Il loro scopo è creare una insurrezione prematura che giustifichi lo stato d’assedio.

Il 27 febbraio 1921 si tiene un corteo di liberali: non più di 200 persone scortate da 60 carabinieri. Lungo il percorso, viene lanciata una bomba sul corteo. Provoca la morte immediata di un carabiniere e quasi 20 feriti. Uno di questi, uno studente, morirà dopo in ospedale e sarà considerato per anni dai fascisti un proprio martire.

Un altro carabiniere ferito alla testa viene caricato su una camionetta e portato verso l’ospedale. Lungo il percorso gruppi di fascisti iniziano ad aizzare la folla: “Fate largo! Passa una vittima del dovere!”. Un carabiniere spara su un ragazzo nella folla perché “credette di vederlo che agitava il giornale in segno di ribellione”. La caccia all’uomo è ormai cominciata ed è stranamente scientifica. Un dirigente sindacale dei ferrovieri, Giuseppe Mugnai, è freddato di fronte a centinaia di persone in Piazza del Duomo.

Alle 17.30 dello stesso giorno 30 fascisti raggiungono la sede del neo-costituito Partito Comunista d’Italia. Nello stesso edificio si trova anche la direzione del sindacato dei ferrovieri e la redazione dell’Azione Comunista. Entrano e sparano a Spartaco Lavagnini, segretario del sindacato e direttore del menzionato giornale. Due colpi in pieno volto. Sbeffeggiano il cadavere: l’assassino si toglie la sigaretta e la appoggia nella bocca di Lavagnini.

Il 28 la Firenze proletaria insorge. Viene dichiarato sciopero generale e si formano barricate nei quartieri popolari. Il timore è che la rappresaglia fascista continui:

Nei quartieri d’Oltrarno, nelle vicine campagne, un po’ tutt’attorno alla città (…) le voci della sommossa, dei morti e dei feriti (…) avevano seminato il terrore. Senza un piano preordinato (dopo anni di massimalismo parolaio e inconcludente), senza armi, senza danaro, senza dirigenti all’altezza della situazione, a un mese appena dalla scissione di Livorno, ci si disponeva in più luoghi alla resistenza, una resistenza cieca, assurda, disperata.xii

Ma le barricate alzate nei quartieri popolari non dovettero fronteggiare nessun assalto fascista. E’ direttamente l’esercito a marciare sulla città con l’artiglieria. Vengono cannoneggiate Scandicci e San Frediano. La cavalleria carica a ripetizione. La Nazione intanto dedica tutte le sue pagine ai martiri fascisti. Essi non esistono e per questo devono essere inventati. Un certo Berta pretende di passare ad un posto di blocco operaio fatto sul ponte per andare al vecchio Pignone. Rimane coinvolto in una zuffa e precipita dal ponte in Arno. Non è da escludersi che sia precipitato addirittura da solo nel tentativo di scappare. Secondo le cronache ufficiali Berta è un giovane fascista, il quale è stato spinto apposta dai “rossi” in Arno. Le cronache raccontano che il giovane virgulto sarebbe rimasto a lungo attaccato al ponte con i sovversivi a schiacciarli le mani per divertimento. Per anni i fascisti celebreranno Berta come un proprio martire. Nelle elezioni del 1924 producono un manifesto che mostra Berta appeso al ponte mentre gli vengono schiacciate le mani. Nel 1934 la Nazione ricorderà l’episodio nel libro L’Olocausto di Firenze. I documenti dell’autopsia ritrovati anni dopo negano qualsiasi escoriazione alle mani.

Il fascio fiorentino, come già detto, era un nucleo di sbandati. Quando nell’ottobre del 1922 si verificherà la marcia su Roma partiranno in ordine sparso, senza attendere il segnale convenuto. Il gerarca Balbo sarà costretto a correre a Firenze per capire cosa stava succedendo. Appena arrivato in città non va al quartiere generale del Fascio, ma alla redazione de La Nazione spiegando:

Appena giunto a Firenze mi dirigo alla Nazione. (…) E’ un giornale amico e il suo direttore è un camerata. Là saprò notizie sicure della Toscana e potrò vedere i capi fiorentini.xiii

Gli stessi protagonisti delle giornate di Firenze, il gruppo fascista di Dumini, costituiranno poi il comando che nel giugno 1924 preleverà e ucciderà Matteotti.

L’uccisione di Lavagnini fa entrare naturalmente i ferrovieri in sciopero. Per evitare la paralisi della linea ferroviaria, da La Spezia vengono fatti partire 46 marinai per sostituire gli scioperanti. Arrivano a Livorno dove vengono presi in consegna dai Carabinieri. La linea ferroviaria non viene riattivata però stranamente da Livorno verso Firenze. La logica suggerirebbe che Firenze fosse raggiunta direttamente in treno. I marinai vengono invece caricati su camion. Per di più li si fa viaggiare in borghese e non in divisa. I fascisti erano soliti fare le proprie spedizioni punitive su camion. Impossibile quindi che i marinai non venissero scambiati per fascisti. Man mano che si avvicinano a Firenze, cresce l’allarme. Empoli è allertata e decide di resistere. Arrivati in città i camion vengono accolti a colpi di fucile.

Muoiono 9 marinai. L’incidente è preparato ad arte. I giornali nazionalisti accorrono sul posto dove inventano addirittura casi di cannibalismo ai danni delle vittime. Per anni nella zona si tramanderà la leggenda delle donne empolesi che uccidono a morsi i poveri marinai. Ecco cosa scrive il Nuovo Giornale il 4 marzo:

Da un pezzo la cronaca del cannibalismo taceva (…). Bisogna risalire ormai molto in su nella storia del martirologio scientifico o religioso per rintracciare esempi veramente classici di eccidi commessi con raffinatezze di crudeltà: bisogna forse tornare addietro di secoli xiv

La Nazione invoca “il rastrellamento dei delinquenti”. Gli episodi di Empoli sono solo funzionali ad estendere lo stato d’assedio al resto della provincia. Dopo aver domato Firenze, spedizioni fasciste e forze dell’ordine allargano la propria azione in maniera concentrica. Nella notte tra l’1 e il 2 marzo Empoli è occupata dall’esercito. Vengono bruciati circoli operai, chiuse le sezioni socialiste. Dalla zona di Empoli e Montelupo è di fatto deportata tutta la militanza rivoluzionaria. Vengono arrestate più di 500 persone che attenderanno per tre anni in prigione un giudizio sui fatti di Empoli. Le amministrazioni socialiste della zona sono tutte sciolte e commissariate dallo Stato il quale risponde così con un po’ di ritardo a tutti gli ordini del giorno di solidarietà all’Unione Sovietica ricevuti da tali consigli. Il dirigente socialista aveva dichiarato guerra allo Stato a suon di incartamenti, questo ora rispondeva con i fucili.

Nella zona il partito fascista non esiste. Tutte le sezioni vengono create direttamente dopo l’occupazione militare. Da quel momento i commissari prefettizi che sostituiranno i sindaci inizieranno a lavorare attivamente al radicamento del fascismo. Il colpo è durissimo. Nell’estate successiva la resistenza al fascismo proverà a riorganizzarsi attorno al movimento degli Arditi del Popolo che avranno proprio nelle zone citate una forte presenza. Ma gli Arditi si riveleranno appena un sussulto, stretti tra la miopia settaria del neonato Partito Comunista e da quella opportunista dei dirigenti socialisti che firmano proprio in quel periodo un patto di pacificazione con i fascisti.

Nel luglio del 1921 questo sarà il monito di Gramsci rispetto all’inconcludenza di tali dirigenti e alle loro illusioni nella difesa della “legalità democratica”: nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921 circa 1500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata del fascista, circa 40mila liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti; circa 20mila altri liberissimi cittadini della democraticissima Italia sono stati esiliati con bandi regolari, o costretti a fuggire con le minacce dalle loro sedi di lavoro (…); circa 300 amministrazioni comunali elette con il suffragio universale sono state costrette a dimettersi (…). Tutto questo è stato permesso dalle autorità ufficiali, è stato o taciuto o esaltato dai giornali . (…) Le più assurde leggende saranno create contro il popolo barbaro, inumano, formato di cannibali (…). guai a quei partiti politici che non sapranno prendere una decisione, che dall’esperienza storica non sapranno trarre un indirizzo alla propria azione.xv

Note

xii Roberto Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino, Vallecchi, Firenze, p. 161.

xiii Italo Balbo, Diario.

xiv A.G. BANTI, I caraibi di Empoli, Il Nuovo Giornale, 4 marzo 1921.

xvOrdine Nuovo, 23 luglio 1921.

 

Articolo apparso originalmente su Cortocircuito.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.