Ahed Tamimi, giovane diventata simbolo della resistenza palestinese, è stata condannata a 8 mesi di prigione da un tribunale militare israeliano. Tamimi è stata arrestata a dicembre per aver schiaffeggiato un soldato, che si trovava nel cortile di casa sua, dopo aver scoperto che militari israepiani avevano sparato in testa a suo cugino.
Nonostante sia ancora minorenne, come molti altri giovani palestinesi Ahed Tamimi fu arrestata e posta a processo di fronte a una corte militare israeliana. Per lungo tempo il tribunale ha continuato a posticipare la data del processo, decidendo infine di tenerlo a porte chiuse. La decisione è stata presa per evitare di creare uno scandalo di proporzioni internazionali, tenendo conto delle ripercussioni che ha avuto il caso e la crescita della campagna mondiale per la liberazione di Ahed.
Durante il processo sono stati presentati niente di meno che dodici capi d’accusa, come istigazione alla violenza, lancio di pietre contro pattuglie militari e violenza aggravata contro militari. Prima dello schiaffo, il cugino di Ahed Tamimi aveva ricevuto nel cranio una pallottola di gomma sparata a bruciapelo da un soldato israeliano. Mentre i soldati israeliani che reprimono e assassinano palestinesi girano a piede libero, Tamimi stava per essere condannata a sette anni di prigione per uno schiaffo.
Essere condotti davanti a un tribunale militare rappresenta per un palestinese la certezza di essere condannati. E nel 99,7% dei casi sottoposti a giudizio la condanna comprende il carcere. Allo stesso modo dei più di 350 minori palestinesi portati a giudizio prima di lei, anche Ahed Tamimi è stata condannata all’incarceramento.
I motivi per cui la giovane diciasettenne non è potuta essere condannata a sette anni di prigione, come proponeva originariamente il tribunale, sono da ritrovarsi nell’enorme campagna internazionale di solidarietà seguita all’incarceramento e alla richiesta di libertà immediata che ha risuonato in tutto il mondo. Ahed Tamimi ha finito col diventare un simbolo della resistenza palestinese agli oltraggi dello Stato coloniale di Israele. Ciò ha obbligato il tribunale a trovare un compromesso.
Secondo la sua avvocatessa Gaby Lasky, la giovane attivista palestinese ha si è “accordata” per dichiararsi colpevole di quattro dei dodici capi d’accusa nei suoi confronti. Tenendo conto che si trova in prigione da dicembre, Tamimi tornerà in libertà a luglio, dopo aver pagato una multa di 1168 euro.
Il patteggiamento riguarda anche la madre Narima, condannata ad altri otto mesi di prigione e a una multa di 6 mila shekel (1400 euro), e sua cugina, Nour, tornata in libertà con una sospensione della pena per i prossimi tre anni.
“Non c’è giustizia sotto l’occupazione israeliana”, è quanto detto da Tamimi di fronte alla Corte riguardo al verdetto finale del giudizio. Le rivendicazioni di libertà immediata si sono subito moltiplicate sui social network.
Il processo a Tamimi ha smascherato agli occhi di tutto il mondo il modo in cui sono trattati giovani e giovanissimi palestinesi nelle carceri e nei tribunali palestinesi. Ma ha anche dimostrato che la ragione sta dalla parte della resistenza palestinese, che è anche una resistenza contro uno Stato che ha trasformato la striscia di Gaza in una prigione a cielo aperto, mentre continua l’occupazione coloniale delle terre in Cisgiordania. Quello che lo storico israeliano Ilan Pappe ha definito come uno Stato dell’apartheid che ha trasformato la Palestina nel più grande carcere del mondo.
Di La Izquierda Diario, tradotto da Gabriele Bertoncelli
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.