Il giornalista di Repubblica Michele Serra ho sollevato nei giorni scorsi un polverone con la sua ultima “uscita” sull’Amaca (una rubrica di opinioni “flash” sull’attualità).
Scriverò forse una cosa impopolare, ma il discorso affrontato è secondo me importante. Tuttavia Serra lo prende per il verso sbagliato dando così adito a una interpretazione classista del suo pensiero. Non intendo difendere un giornalista di Repubblica, ma solo dire che ciò che ha scritto non è totalmente falso, ma piuttosto una verità assolutamente parziale, espressa nel modo sbagliato e per di più con un tono pericoloso: un conto è infatti partire dall’osservazione di certi reati (perlopiù “criminalità spicciola”, per esempio rubare un portafogli a un turista o fingersi invalido per percepire una pensione) per ricondurli a condizioni economiche e sociali disagiate, un altro è stabilire un collegamento diretto tra queste condizioni economiche e comportamenti criminali. Questo secondo terreno è più che mai scivoloso perché porta dritto alla criminalizzazione dei poveri e delle classi proletarie (uno snobismo strumentale alla classe dominante, e uno dei principali cardini dell’intera morale borghese, per altro recentemente rispolverato dal decreto Minniti).
In un articolo successivo Serra è più chiaro. Il discorso da lui denunciato circa lo sdoganamento dell’ignoranza come vanto contro la “cultura” è interessante. Molti compagni però, giustamente, percepiscono del classismo in quelle parole (e probabilmente hanno ragione), ma credo che il classismo stia nel modo in cui Serra ha affrontato il discorso: una simile critica infatti avanzata da un non-marxista con i toni e gli occhi di un non-marxista finisce, non per diventare una potente leva di denuncia destinata ad incitare il cambiamento e la sollevazione delle masse stesse da quella condizione e miseria denunciata, bensì un fastidioso remainder delle differenze di classe che, per definizione, esistono nella società divisa in classi. Quel senso di fastidio, però, non dimentichiamolo, si sviluppa solo nella convinzione, fortemente introiettata, che le differenze sociali denunciate siano immutabili e cioè destinate a rimanere tali. Chiunque (come noi marxisti) creda il contrario e lotti ogni giorno per spingere nella direzione dell’abolizione di quelle differenze, perché mai dovrebbe avere prurito di fronte alla denuncia della miseria economica (così come morale e culturale) delle classi lavoratrici? (Dove la parola “miseria” è ovviamente da intendere in modo diverso rispetto a quando si denuncia invece la “miseria borghese”, la sua ipocrisia, la sua giustificazione dello sfruttamento etc…).
Un motivo valido, l’unico motivo valido (ed è il motivo per il quale la denuncia di Serra turba e ha, giustamente, turbato molti compagni) è il caso nel quale questa denuncia venga da un non-marxista (come Serra) e soprattutto quando suoni come quella di un borghese “evoluto” che voglia fare la morale alla massa informe di proletari trogloditi: la denuncia di Serra implica che le classi dominanti siano un modello virtuoso a cui le classi subalterne (non la classe, ma i singoli individui che la compongono nella visione di Serra), quando e nella misura in cui si “emanciperanno” si dovranno conformare (il singolo operaio che vuole e magari ottiene il figlio dottore, e la rivoluzione finisce lì! In questo senso Serra ha certamente ragione quando dice che in un altro tempo gli avrebbero detto di aver fatto facile “sociologismo di sinistra”, certo della sinistra riformista PCIna però).
Il pregio di quell’Amaca di Serra, allora, è quello di aver segnalato un problema che esiste tra le classi subalterne (lo sdoganamento dell’ignoranza, il sospetto per la cultura etc…), il suo grande e imperdonabile difetto (e ciò che rende quel pezzo “classista”) è l’implicazione della morale borghese come modello virtuoso da un lato, e il tipo di emancipazione che Serra ha in mente per “correggere” i “vizi” del proletariato dall’altro.
Matteo Iammarrone
Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.