Nel corso del 2017 ben 12 ragazzi e giovani (dai 10 ai 21 anni) hanno commesso suicidio in Svezia e 126 hanno tentato il suicidio. Secondo una ricerca del Karolinska Institutet di Stoccolma, è una cifra destinata ad aumentare. A scanso di equivoci, una premessa è decisiva: sebbene il Paese scandinavo sia solitamente visto come una terra di depressi-suicìdi, i numeri in questione si riferiscono all’aumento di casi di suicidi tra giovani migranti a cui è stato negato il permesso di soggiorno. Queste persone hanno passato traumi difficili da immaginare (spostarsi verso un nuovo Paese, con una nuova lingua, sradicati dal loro ambiente e spesso senza genitori). Diversi studi europei hanno mostrato come i problemi psichici sono molto più comuni tra i giovani migranti non accompagnati che tra quelli accompagnati da un genitore o da un tutore. Nella “progressista” e “umana” Svezia sono ancora tanti coloro che vengono lasciati soli in un centro migranti, privi di grandi possibilità di integrarsi nella società.

Gli episodi di autolesionismo sono piuttosto comuni (813 contati nel 2017), ma a volte la situazione è così insostenibile da portare al suicidio come unica via uscita. 

Senza contare che molti rifugiati sono privi di personnummer (un codice identificativo posseduto da ogni cittadino svedese, paragonabile alla carta di identità, ma estremamente più utile in Svezia di quanto la prima lo sia in Italia: è ad esempio necessario per l’accesso al sistema sanitario). L’assenza del personnummer rende ovviamente queste statistiche inaccurate, ed è perciò ragionevole immaginare che i casi non riportati siano molto più numerosi.

Nel 2016 la Svezia era nona al mondo per esportazione di armi. Lo stesso anno la Svezia ha venduto armi per un valore di 11 miliardi di corone, un aumento del 45% rispetto al 2015. Gli acquirenti sono i più svariati: dalle “democrazie” occidentali (Usa & co) alle più feroci dittature (Arabia Saudita).  

La politica piange lacrime di coccodrillo e blatera delle responsabilità che la Svezia dovrebbe assumersi nella crisi dei migranti. Contemporaneamente, introduce controlli alle frontiere, esacerba una situazione già insopportabile per i rifugiati e guadagni miliardi dalle esportazioni di materiali bellici.

Nonostante le ingenti risorse spese per i centri migranti, diversi reporter hanno dimostrato come le condizioni di queste strutture rimangono pessime.

Questo, anche in Svezia, è ciò a cui il capitalismo conduce: un sistema globalmente e “schizofrenicamente” inetto a gestire i problemi che produce, incapace di garantire un futuro accettabile a tutti come di gestire la crisi dei migranti e perciò responsabile della loro sofferenza così come della sofferenza di tutti gli sfruttati (nativi e non). 

La nostra lotta è quella per un mondo senza frontiere, sappiamo che ciò è possibile senza i limiti che il capitalismo impone e grazie alle risorse che attraverso la fine di questo sistema socio-economico saranno liberate e poste al servizio della società intera, senza più bisogno di confini nazionali, di nazionalismi per sostenerli e senza più le condizioni che hanno condotto quei giovani a togliersi la vita.

 

Matteo Iammarrone

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.