Quando la RAI Radiotelevisione Italiana iniziò la sua programmazione (esattamente il 3 gennaio 1954)  lo scopo primario del mezzo televisivo pareva essere “istruire”. Nel secondo Dopoguerra, in Italia, la maggior parte della popolazione era analfabeta. Un paese pronto al boom economico, alla società dei consumi e all’industrializzazione sfrenata, non poteva essere composto da un popolo del genere. Per “salvare” gli italiani, Mamma Rai propose una serie di programmi educativi. Il più noto è “Non è mai troppo tardi” condotto da Alberto Manzi.  Dal 1954 fino al 1975 l’ente pubblico è sotto il dominio diretto del Governo, e dunque dei ministri della Democrazia Cristiana in primis. Il 14 aprile 1975 viene firmata la nota “Riforma Rai” che avrebbe dovuto concedere maggiore libertà. Quali sono i cambiamenti principali? La norma decisiva è il passaggio del controllo del servizio pubblico dal Governo Italiano al Parlamento per un pluralismo dell’informazione e la disponibilità, all’interno dei programmi RAI, di spazi dedicati ai sindacati, movimenti politici e differenti gruppi etnici-linguistici. Sfortunatamente questa fantomatica libertà non ha mai preso davvero piede negli Studios di Mamma RAI. Le cause possono essere ricercate in svariati fattori: la concorrenza tra canali della stesso emittente, lo scontro con la privata Fininvest (oggi Mediaset) di Berlusconi, la corruzione politica, l’esercizio di un controllo ideologico e di potere stretto da parte del Governo e dello Stato in generale su un potentissimo mezzo di comunicazione che rischiava di diventare troppo “aperto”.

 

Il fenomeno “Raccontami”

Nel 2006, in pieno governo Prodi, arriva in prima serata su Rai 1 una fiction dal titolo “Raccontami”. Questa fiction, che inizialmente si presenta come un classico prodotto per famiglie adatto alla visione in prima serata, rivela da subito la propria natura quasi cronistica. La storia narrata, parte proprio da quel 3 gennaio 1954, con la nascita del piccolo protagonista: Carlo. Lo spettatore scopre l’infanzia del piccolo tramite la voce dello stesso in età adulta. Alla voce del narratore, con cui descrive la vita famigliare, si contrappongono gli avvenimenti di un’Italia che passa dal Boom economico alla crisi del 1963, fino all’alluvione di Firenze nel 1966. Molti potrebbero paragonarlo al film di Marco Tullio Giordana “La meglio gioventù”. In realtà, i due prodotti sono decisamente distanti e la differenza tra i due sta proprio in una presa di posizione. “La meglio gioventù” ha un forte timbro da popolo della sinistra, al contrario “Raccontami”, come del resto si evince dallo stesso titolo, si limita solo a narrare senza mai essere di parte. Racconta, per l’appunto, la Storia come l’apprenderemmo durante una lezione scolastica. L’imparzialità del racconto vien fuori soprattutto grazie alla scelta dei personaggi: i genitori Luciano ed Elena (Massimo Ghini e Lunetta Savino) sopravvissuti ai bombardamenti nella capitale (Elena) e alla campagna militare in Grecia (Luciano), nonna Innocenza (Mariolina De Fano) donna pugliese, fortemente credente ed analfabeta,  Andrea e Titti (Edoardo Natoli e Carlotta Tesconi) adolescenti in piena Dolce vita, zia Anna (Giorgia Cardaci) che sogna l’America e si concentra sui beni materiali. Questo è il nucleo famigliare iniziale: tutti loro hanno un vissuto ed una visione del mondo differente. Fin dal primo episodio, appaiono personaggi secondari pronti ad influenzare la visione (politica e non) della famiglia Ferrucci.

 

La prima stagione (1960 – 1963)

La serie si apre con l’arrivo di una ragazza madre, di nome Maddalena, la quale cerca un lavoro per poter mantenere il proprio figlio, avuto fuori dal sacro vincolo del matrimonio. Nel quartiere Maddalena è da subito indicata come un’appestata, una donna dai facili costumi o, peggio una mangiatrice di uomini. Luciano Ferrucci, un padre di famiglia che lavora come manovale in un cantiere, decide di aiutare la giovane donna, contando anche sull’aiuto di Elena, sua moglie. L’episodio mostra da subito una narrazione che spezza in due le vicende, come del resto, era a sua volta spezzata a metà l’Italia in quell’utopico Boom Economico. Carlo, il figlio minore di Luciano ed Elena, osserva pieno di domande tutto ciò che accade nella città di Roma e, di conseguenza, anche nella propria casa. In quella casa tutti gli equilibri dettati dalla società, paiono venir meno: Luciano decide di riprendere gli studi per ottenere il diploma di geometra, per poter diventare socio del suo capo cantiere (Livio Sartori), Andrea (il fratello maggiore) decide di lasciare l’università per fare il meccanico, Titti (la sorella) rifiuta di sposarsi per poter intraprendere gli studi di giurisprudenza, nonna Innocenza impara a scrivere. L’intera situazione iniziale, viene capovolta da una grande scossa di adrenalina, creata dall’onda d’urto di un mutamento dei costumi che stava prendendo piede in tutto il mondo. Tuttavia i primi anni ’60  restano sempre gli anni della Dolce vita. La pellicola di Fellini, per quanto oggi sia diventata un vero e proprio cult, ritenuta anche “spassosa”, in realtà mostra un mondo (Roma) non pronto al cambiamento, o semplicemente non disposto a cambiare. A metà serie, scopriamo che Livio Sartori ha sempre ingannato Luciano, utilizzando l’ingenuità di un improvvisato geometra per gestire un giro di mazzette, pronte per essere consegnate al ministero per vincere appalti pubblici.

 

La seconda stagione (1963 – 1966)

Luciano riesce a vincere la causa contro Sartori, pensando di essersi così liberato dell’ex socio. Con una grande voglia di tramandare il proprio sapere, apre una piccola società con il figlio Andrea, ora anche lui padre di famiglia. Titti è prossima alla laurea ed esprime la volontà di continuare gli studi per diventare magistrato, causando l’ira di molti docenti della facoltà. Elena, sempre stata una casalinga pronta ad accudire figli e marito, trova lavoro in una sartoria, riuscendo anche a diventare costumista per alcuni film. Carlo sta per finire le elementari e inizia a scoprire il fenomeno della beat-generation, innamorandosi di Beatles e Rolling Stones. L’equilibrio verrà spezzato dall’arrivo di Rocco e di sua sorella Maria, due ragazzi greci, i quali troveranno rifugio in borgata. Rocco è convinto che Luciano sia suo padre, così decide di avvicinarsi alla famiglia Ferrucci, che prende subito a cuore la vicenda dei due poverelli della Grecia.
Grazie alla proverbiale flessibilità italiana dell’applicazione delle pene, Sartori torna a piede libero e, per vendicarsi, corrompe il giovane Andrea, promettendogli soldi, ville ed una vita agiata.

I nodi verranno al pettine a fine serie, tra il fango e la pioggia, in una Firenze in piena alluvione nell’aprile del 1966.

 

Perché “Ricordami” è un caso notevole

Perché stiamo parlando di questa fiction? Discutiamo di questo prodotto per due motivi:

1- la presenza di personaggi secondari alquanto “rivoluzionari” per gli standard Rai;

2- l’inspiegabile cancellazione della serie.

Punto 1: I personaggi secondari di “Raccontami” sono, forse, il cuore pulsante di questa produzione, perché ognuno di loro è un tassello indispensabile per descrivere l’Italia, non solo quella degli anni ‘60. Pietro, l’uomo timidamente introdotto come l’innamorato, ma non corrisposto, di zia Anna, è, in realtà, un attivo socialista che cerca continuamente di interagire con Carlo per spiegargli concetti (ad esempio la lotta di classe) che una scuola non gli spiegherebbe mai. Fortunatamente, Pietro è un elemento molto presente nella prima stagione. Sfortunatamente viene completamente accantonato nella seconda stagione. Perché? Lo sceneggiatore lo allontana perché Anna sceglie di sposare un altro uomo, e il buon Pietro non riesce a gestire il proprio dolore, decidendo così di andar via.
Nella seconda stagione, oltre ad entrare prepotentemente nella vita di borgata, “Raccontami” entra in vicende ancora più spinose: la presenza di un uomo omosessuale e di un travestito di nome Fiorella. Entrambi verranno accettati e accolti dalla famiglia Ferrucci. Per la televisione italiana del 2007, parlare così apertamente e senza pregiudizio di temi così tabù, era una totale anomalia. Persino il parroco del quartiere accetta ed aiuta Fiorella, in modo da risparmiarle la galera.

Punto 2: Quando Mamma Rai annunciò la cancellazione della serie, molti spettatori protestarono. Le lamentele furono così intense da portare Fabrizio Del Noce, il direttore Rai dell’epoca, ad accettare diverse interviste per varie testate, in modo da poter giustificare la scelta fatta. Le dichiarazioni ufficiali parlano di un calo degli ascolti e dell’uscita di scena di Lunetta Savino. Tuttavia, riprendendo tra le mani le statistiche Rai, una fiction, che ottiene il 19,22% di share con 5 milioni di spettatori, si può definir tutto tranne che un prodotto poco visto. Per quanto concerne la non partecipazione della Savino, questo era più che risaputo, data la sua presenza costante sul palco dei teatri romani con l’adattamento di “Casa di bambola”. L’attrice stessa ammise che Elena sarebbe stata presente in massimo 3 episodi, per poi morire e permettere a Luciano di incontrare un nuovo interesse amoroso. Questo sarebbe stato sufficiente a decretare il fallimento della serie? A rigor di logica, no. Partendo dalla metà della seconda stagione, era palese che i personaggi primari sarebbero diventati i figli. Lo spettatore aveva già assistito al passaggio di testimone. Luciano ed Elena diventano nonni, quindi è tempo che siano i giovani a fare i genitori in un’Italia differente dall’italietta degli anni ‘60. Ecco che sorge il problema! Molti giornali riportarono la notizia che questa improvvisa cancellazione, avesse a che fare con i temi che “Raccontami” avrebbe dovuto trattare nella terza stagione: il ‘68 e il terrorismo. Massimo Ghini scartò questa ipotesi a priori, esordendo così: – Ma no! La Rai ha mandato in onda “La meglio gioventù”, che si poteva fare più di quello? La nostra era solo una commedia-. Proprio quell’aura di commedia avrebbe potuto essere il punto di forza di questa fiction, perché, proprio come “Raccontami” ci insegna, è dalla semplicità e dal gioco che meglio si apprendono le cose. Proprio come Alberto Manzi istruiva milioni di poveri analfabeti. “La meglio gioventù” è senza ombra di dubbio un prodotto televisivo valido, che ha portato la televisione pubblica italiana alla ribalta al Festival di Cannes come tutto il mondo, ma non è la Bibbia né tantomeno il prodotto definitivo sugli anni ’60-’70, specie considerando le prese di posizione molto veltroniano-liberali sul movimento di quel tempo, sull’impegno politico militante rivoluzionario e sulla questione dei gruppi lottarmatisti.

Proprio un prodotto più impostato sul format della commedia, che non ambisce a essere “pesante” ma anzi vuol essere “giocoso”, potrebbe contenere elementi culturali e spunti storico-politici inaspettatamente validi per lo standard Rai, anche di più del “non plus ultra” secondo Ghini.

 

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.