Uno potrebbe ingenuamente pensare che a Torremaggiore (FG), cittadina di Nicola Sacco, martire insieme a Bartolomeo Vanzetti del movimento operaio internazionale, nonché simbolo indiscusso delle conseguenze più crude del razzismo (istituzionale e non) e della discriminazione, esista nel tessuto sociale e nelle scuole locali una diffusa, vigile ed “elementare” coscienza antirazzista (e antifascista). Ma sarebbe lo stesso errore commesso da coloro che immaginano un determinismo automatico tra le condizioni materiali oggettive (in quelle aree geografiche peggiori che altrove) e la ribellione contro la radice di tali sofferenze, in altre parole ad una corrispondenza tout court tra il precariato, lo sfruttamento, i ricatti, la disoccupazione alle stelle, la povertà e la coscienza di classe intesa come possibilità positiva (in senso creatrice) del nostro agire nella storia come classe sfruttata e soggetto attivo. Questa corrispondenza non c’è e prevale invece un “fatalismo” che inevitabilmente, nella pratica, tende al regresso perché, come il nuovo governo ci sta forse mostrando, non c’è mai fine al peggio.
Questa però era una mera premessa generale per introdurre un fatto molto più specifico, una vicenda che avrebbe del grottesco ma che è nel suo piccolo drammatica. Non miete morti, ma crea un precedente “simbolico” e solleva almeno due problemi importanti: la questione (irrisolta) del fascismo e dell’antifascismo in Italia e la questione della legittimità di parlare di politica a scuola. Sono ovviamente problemi giganteschi che travalicano sia lo scopo di quest’articolo che la realtà locale di Torremaggiore e del liceo coinvolto nella vicenda.
Andiamo per ordine.
Qualche settimana fa una insegnante del Liceo Nicola Fiani di Torremaggiore (FG) invita Roberto Matatia, scrittore ebreo nato a Forlì nel 1929, a parlare presso la scuola per testimoniare il dramma della shoa e dell’applicazione delle leggi razziali nell’Italia fascista attraverso i suoi racconti personali e familiari. Nelle parole dello stesso scrittore: “«Sono stato contattato da un’insegnate del liceo classico Fiani-Leccisotti di Torremaggiore, in provincia di Foggia, per andare a parlare, come faccio sempre, della mia famiglia e degli ebrei durante il fascismo, e ho accettato con entusiasmo – spiega Matatia -. Dopo alcuni giorni però, non avendo più notizie, ho chiamato la docente che, con profondo imbarazzo, mi ha detto che l’iniziativa, che pure aveva ricevuto il plauso del preside, era stata rifiutata da altri docenti perché, a dir loro, “invitare a relazionare un ebreo è una scelta politica e, a scuola, non si fa politica”».
La docente, che si è detta profondamente indignata e offesa da questo atteggiamento, ha spiegato senza alcun dubbio a Matatia la causa di questa decisione. «”È fascismo – mi ha detto –, pura nostalgia del fascismo e di tutto quello che si riteneva andasse bene in un’epoca di dittatura e a cui la costituzione ha posto fine”. Lei stessa, per la sua proposta è stata tacciata di essere comunista. Tutto ciò è totalmente assurdo e soprattutto preoccupante».”
Le parole di Matatia fanno il giro del web. Le polemiche si scatenano sui social e si compatta la difesa a spada tratta dell’Istituto da parte di alcuni studenti e alcuni docenti secondo i quali lo scrittore si sarebbe inventato tutto per farsi pubblicità (come se Matatia non avesse di meglio da fare che farsi pubblicità per mezzo di uno sconosciuto liceo di provincia). Secondo altri, più pacati, si tratterebbe solo di un banale malinteso. La tendenza a minimizzare è ciò che guida la maggior parte delle opinioni che circolano sul caso. Dopo alcuni giorni esce il comunicato ufficiale del preside (https://www.torremaggiore.com/notizie/wp-content/uploads/2018/10/lamedica-isiss-fiani-leccisotti-replica.jpg) che chiede scusa per l’episodio, rinnova l’invito allo scrittore a visitare la scuola, MA rimane assolutamente vago circa le dinamiche dell’accaduto e soprattutto non esclude assolutamente che ci possano essere stati professori apertamente fascisti che abbiano ostacolato la visita o quanto meno espresso i loro dubbi. Chi conosce il preside difficilmente può avere dubbi circa la buona fede del suo comunicato, ma chi conosce quella scuola sa anche del piglio qualunquista (se non apertamente fascista) che ha sempre avuto per cui si può facilmente congetturare che le cose si siano svolte nel modo seguente:
a) La prof X contatta lo scrittore forse con il consenso del preside, forse no, ma di certo senza il consenso dell’intero corpo docenti.
b) solo dopo aver contattato Matatia si confronta con l’intero corpo docenti e qualcuno (non possiamo sapere quanti: se uno, due o tre, ma chi conosce quella scuola può immaginare più di uno) esprime la sua contrarietà o i suoi dubbi circa l’iniziativa.
c) La prof X comunica il fattaccio a Matatia.
d) Inaspettatamente Matatia fa uscire articoli e comunicati a riguardo e fa scoppiare il caso.
e) La situazione scappa di mano al preside e ai docenti che fino a quel momento avevano agito in quella che ritengo la normalità e cioè che possano trovare spazio opinioni fasciste e che tali opinioni abbiano legittimità di essere ascoltate. Dopo la polemica sui social, la reazione della Comunità Ebraica di Milano e dell’ANPI provinciale, si sono ricordati che sebbene le barbarie si approfondiscano e nonostante questo governo, per quanto di facciata, ipocritamente e contraddittoriamente (vedi qui) esiste ancora una certa sensibilità antifascista in senso ampio.
f) Conseguentemente, vedendosi il preside coinvolto in questo gran polverone che tocca temi giganteschi (i due problemi elencati nelle premesse) e tenendo alla “buona immagine della scuola”(non esiste in realtà alcuna buona immagine, ma questa è un’altra storia), fa uscire il comunicato in cui minimizza, rinnova l’invito allo scrittore, ma dove, per amore della verità (perché è forse troppo intellettualmente onesto per mentire), non sostiene che non ci siano state opposizioni alla visita dello scrittore, lascia solo intendere che egli personalmente l’avrebbe invitato e non era tra coloro che si sono opposti.
g) Coloro che si erano opposti invece, da bravi vili fascisti, mettono la coda tra le gambe e assicurano in tutta fretta l’opinione pubblica che non c’era stata in realtà alcuna opposizione (anche mediante comunicati assolutamente ipocriti).
Ritengo opportuno osservare che coloro che credono che a scuola non si debba “far politica” sono quasi sempre, in diversi gradi e con diverse sfumature e livelli di consapevolezza potremmo dire, reazionari e fascisti o nel “migliore” dei casi illusi liberali cultori di una impossibile neutralità. Sono gli stessi che hanno opinioni politiche “di pancia” e temono di perdere un confronto con chi invece forma le sue opinioni mediante analisi più serie. A scuola allora bisogna fare politica per varie ragioni, una di queste è che è impossibile non fare politica dal momento che tutto è politico e l’alternativa è solo ignorare le ingiustizie, le discriminazioni, le diseguaglianze e fare, inconsapevolmente, la politica del più forte del momento (ciò che la scuola in realtà fa già nella misura in cui non vengono guadagnati spazi di opposizione e cioè spazi apertamente e dichiaratamente politici ma di chiara collocazione). Confrontarsi su ingiustizie, discriminazioni e diseguaglianze dovrebbe essere uno degli obiettivi educativi fondamentali e parlare di politica è anche un modo per mostrare come i saperi non sono condannati né condannabili al mero utilitarismo del mercato (che è politico anche quello, ma pretende di non esserlo), ma possono e dovrebbero essere messi al servizio della collettività, la gestione della quale è appunto, per definizione, la politica.
Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.