Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sul caso di Julian Assange (e di Tunileaks) e sulla mobilitazione dei gilets jaunes in Francia, a partire dal concetto di interpassività.


Mio Zio Ottavio soffriva della sua felicità matrimoniale così come un malato convinto che l’unica cura possibile sia passare la sua malattia ad altri”. Così scrive Pierre Klossowski nella triologia ‘Les lois de l’hospitalité’, utilizzata dal filosofo Robert Pfaller per spiegare il concetto di interpassività. Nell’opera un uomo è convinto che potrà dominare sua moglie sempre di più cedendola ad altri uomini. Possiamo utilizzare un altro esempio sicuramente sconosciuto alla maggior parte dei lettori ma efficace: un uomo entra in un bar e ordina una birra, la paga e chiede alla prima persona che vede di berla al posto suo. Solo quando il fortunato ha finito di bere la sua birra, il nostro eroe lascia il bar con un senso di soddisfazione. Nel suo saggio “L’estetica dell’Interpassività”, Robert Pfaller parla del fenomeno come ‘piacere delegato’ sotto forma di consumo: il godimento di qualcosa è parzialmente o totalmente delegato ad altre persone o a strumenti tecnici. Nel saggio Pfaller sostiene che questo mandato venga trasmesso tramite ‘piccoli gesti di dissolvimento’. Questo avviene tramite i mediatori interpassivi: oggetti culturali capitalisti. Oggetti che assumono significati più ampi rispetto alla loro funzionalità superficiale. Il filosofo parla ad esempio degli autoveicoli con assetto rialzato, cosiddetti SUV, acquistati da una considerevole fetta di popolazione nelle città: è molto probabile che queste persone abbiano visto zone rurali solo per foto o ne abbiano solo sentito parlare, ma l’utilizzo della macchina rialzata, seppure vicino ad un misero parchetto con qualche alberello, genera nell’automobilista un senso di fuoristrada senza il bisogno di andarci realmente. Con il SUV quello che apprezza veramente della campagna il nostro automobilista è proprio il fatto di non doverci andare, ci pensa la macchina a quello. Lo stesso si può dire di un frigo pieno di bevande industriali zuccherate e qualche mela che crei un ambiente più ‘sano’. “L’utilità di questi prodotti capitalisti del tempo libero viene proprio dal fatto che servono ad evitare la vita e il tempo libero stesso”. Delegare il consumo, il godimento. Pfaller mi ha fatto ricordare un incontro inusuale una sera a Milano. Dei ragazzi devoti alla Chiesa hanno deciso di custodire la sacra istituzione cattolica durante il sabato sera per permettere ai giovani milanesi sbronzi di avvicinarsi al mistero della fede. Ho poggiato la birra sulle scalinate della Chiesa e sono entrato: una giovane ragazza tutta contenta mi ha proposto di scrivere un mio desiderio o una preghiera su un foglietto che sarebbe poi stato arrotolato e portato a delle suore di clausura insieme a centinaia di altri foglietti. Le suore di clausura avrebbero poi fatto il resto, cioè avrebbero pregato al posto nostro. Ripensandoci mi viene un dubbio: il soggetto interpassivo sarà la ragazza che passa il sabato sera dentro una chiesa, la gente che scrive su un foglietto, o le suore? E il mediatore interpassivo sono le suore di clausura o chi scrive la preghiera? Analogamente, il filosofo Slavoj Zizek riflette sulle preghiere tibetane: “scrivi una preghiera su un foglietto, arrotola il foglietto, mettilo in una ruota e falla girare, senza pensare. La bellezza di tutto ciò sta nel fatto che nella mia interiorità psicologica posso pensare quello che voglio, posso avere i pensieri più sporchi e le più oscene fantasie nella mia testa, e questo non conta – usando un’espressione Stalinista – qualsiasi cosa io stia pensando, oggettivamente sto pregando.”

E ora qualcosa di completamente diverso.

L’11 aprile Julian Assange è stato arrestato nell’ambasciata ecuadoriana in cui era in una situazione di permanenza forzata da ben sette anni e senza accuse ufficiali. Ora il giornalista australiano rischia l’estradizione negli US dove potrebbe scontare una pena severissima. Chelsea Manning per aver fornito nel 2010 a Wikileaks informazioni segrete sulle operazioni militari in Iraq – tra cui il noto video Collateral murder – ha ricevuto come sentenza 35 anni di galera. Dopo 7 anni il perdono da Barack Obama. L’8 marzo 2019 l’amministrazione Trump, nel tentativo di estorcere informazioni contro Wikileaks l’ha rimessa in gabbia. L’11 aprile il “Department of Justice U.S. Attorney’s Office Eastern District of Virginia” ha pubblicato una nota con scritto: “Assange è accusato di cospirazione per intrusione informatica”. Mentre proprio quando è stata arrestata per la seconda volta Chelsea Manning ha dichiarato: “rimango ferma sulle mie ultime testimonianze pubbliche”; nel processo del 2013 aveva dichiarato che “la decisione di inviare documenti e informazioni a Wikileaks era fuori da influenze esterne”. Assange per gli States non è un giornalista, è un terrorista alla pari di un fondamentalista islamico, o forse anche peggio. Proprio l’11 aprile la Courage Foundation, un’organizzazione internazionale che supporta chi rischia la propria vita e la propria libertà con contributi di portata storica, ha pubblicato un documento con la seguente riflessione: “L’estradizione e l’accusa contro Julian Assange creano un invito agli altri stati a seguire nella minaccia verso giornalisti, editori e organizzazioni per i diritti umanitari, che hanno il compito di rivelare informazioni riguardo importanti questioni internazionali. Se l’Amministrazione Trump può agire penalmente contro un giornalista Australiano che ha pubblicato materiale sugli States in Europa, perché anche la Russia non dovrebbe fare lo stesso contro un giornalista degli States a Washington che rivela informazioni segrete su Mosca? (…) Anche negli stati che impediscono l’estradizione dei loro cittadini, appena il giornalista andrà in vacanza o uscirà dal paese, potrà essere arrestato ed estradato da un terzo paese visto il precedente di Assange”. Nel suo poco noto libro “When Google met Wikileaks” il terrorista Assange parla della primavera araba e del ruolo che hanno avuto i ‘Tunileaks’ con il suo inizio. Il 17 Dicembre 2010 il commerciante Mohamed Bouazizi si dava fuoco in mezzo alla strada. Solo venti giorni prima i Tunileaks erano stati pubblicati ed era l’inizio delle rivolte. Oussama Romdhani, ministro della propaganda Tunisino, confidava più tardi ad un giornalista britannico: “Tunileaks è stato il colpo di grazia, ciò che ha distrutto il sistema di Ben Ali”. Assange cita in una nota il giornalista Sami Ben Gharbia: “non si trattava dell’informazione sulla corruzione e il clientelismo, i Tunisini non avevano bisogno che Wikileaks dicesse loro che vivevano in un paese corrotto. I Tunisini hanno parlato e scherzato sulla corruzione per anni. La differenza stava nell’effetto psicologico di un establishment che ha dovuto confrontarsi così pubblicamente con la sua pessima immagine. Il governo sapeva che la gente sapeva, dentro e fuori il paese, quanto corrotto e autoritario fosse. E chi raccontava questa storia non era un dissidente o un cospiratore politico. Era il Dipartimento di Stato degli US, teoricamente degli alleati”.

E ora qualcosa di completamente diverso.

In una strada ci sono 47 persone. Nessuna di loro può essere vista. Con la polizia francese vi mostreremo come non essere visti. Questo è il signor Pierre, lui non può essere visto. Adesso gli chiederemo di alzarsi: Monsieur Pierre, potete alzarvi per favore? Il signor Pierre esce da sotto una macchina. SPEEEEEEM. Questo mostra l’importanza di non essere visti. In questa stradina c’è anche la signora Sophie, che non può essere vista. Madame Sophie, potete alzarvi per favore? La signora Sophie esce timidamente dal portone di un condominio. SPEEEEEEEM. Questo è Ange, uno studente universitario di Tolosa. Ange puoi alzarti, per favore? …

Ange ha imparato la prima lezione per non essere visto: non alzarsi. In ogni caso ha scelto un posto ovvio dove nascondersi. SPEEEEEEEEM BUUM BAAAAAM!

Il 13 aprile l’atto ventiduesimo dei gilets jaunes è andato un po’ così, come una scena dei Monty Python. Scene di guerra, ironia e fratellanza dentro Tolosa, la ‘ville rose’ per l’occasione capitale nazionale del movimento. Un’orgia immensa di persone. Ho incontrato il mio amico Renaud per strada – in realtà è lui che ha incontrato me – dopo aver ricevuto un abbondante spruzzata di peperoncino dritto negli occhi da una poliziotta e per arricchire l’esperienza sensoriale, aria fresca di lacrimogeni e granate in pieno centro. Non ho visto niente per cinque minuti e i medici della strada sono venuti a prendersi cura di me spruzzandomi acqua in faccia. Poi con Renaud abbiamo deciso di andare a comprare delle birre e per strada dei ragazzi poco simpatici ci hanno parlato con arroganza. Abbiamo continuato a camminare e Renaud in un momento che non potrò mai dimenticare mi ha detto: “Non tutti possono capirci. La storia è scritta dalle minoranze e noi ci stiamo prendendo i nostri rischi”. Gli ho risposto: “On lâche rien!”. Siamo andati a riposarci e abbiamo conosciuto una coppia di giovani da Bordeaux. Ci hanno raccontato che un gilet jaune di Tolosa ha dato loro le chiavi di casa senza neanche conoscerli, poi è dovuto partire a Parigi lasciandogli casa e tutto.

E ora qualcosa di completamente diverso.

Sia Julian Assange che i gilets jaunes hanno detto addio ai ‘piccoli gesti di dissolvimento’. In entrambi i casi ci sono delle persone che vedono qualcosa di più, nuove possibilità per il mondo. Julian Assange ci ha sbattuto in faccia i crimini degli stati, il linguaggio privato della politica, il controllo dei potenti sui cittadini. Come dice Slavoj Žižek in un suo articolo sul giornale ‘The Indipendent’: “Assange si è presentato come una spia delle e per le persone: lui non sta spiando le persone per quelli al potere, sta spiando quelli al potere per le persone.”. I gilets jaunes si incontrano per strada per cambiare il rapporto tra politica e cittadini e per il momento la loro più grande conquista è aver mostrato a tutti che è possibile vivere insieme uniti da qualcosa di diverso che un centro commerciale. Nessuno di loro ha delegato agli altri il consumo della propaganda politica provando magari una certa soddisfazione nel vedere gli altri bersi la realtà come una bevanda industriale zuccherata. In entrambi i casi c’è un atto di creazione e in entrambi i casi c’è l’imbarazzo di chi sta al potere. E lo sappiamo. Se il sabato non ti va il centro commerciale, per lo stato puoi tranquillamente andare al bar, ma non per strada con altre migliaia di persone. Se mostri a tutti la verità o mostri degli spazi da riempire in maniera diversa sei un terrorista, meglio che tu sappia nasconderti come si deve. Ora ce l’abbiamo sotto gli occhi: c’è uno stato che impone la sua autorità sulle persone con arroganza e violenza. Un giornalista arrestato dalla polizia britannica dentro l’ambasciata ecuadoriana, migliaia di persone massivamente aggredite con armi da guerra dalla polizia francese. Perché tutto rimanga così com’è. Viene in mente Bertold Brecht: “Cos’è rapinare una banca in confronto al fondarne una?”

E ora qualcosa di completamente diverso.

Dispersez-vous, on va faire l’usage de la force!

Giorgio Michalopoulos

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