Se le elezioni delle scorso Settembre non fossero bastate a dimostrarlo, la prova del nove arriva con i risultati delle europee: la Svezia è un Paese sempre più diviso tra un centro ”moderato” o ”socialdemocratico” e una periferia che impoverita, confusa e priva di riferimenti politici, cede alla retorica razzista e intollerante di SD.

Guardando ai dati nel loro complesso la socialdemocrazia rimane, come ”da tradizione”, il primo partito con il 23.6% (anche se perde punti rispetto alle europee 2014 dove aveva ottenuto 25.19%). I moderati (centro-destra) crescono passando dal 13 al 16%, i liberali crollano al 4.1% (da 9.9%), così pure Iniziativa Femminista, un partito nato dalla costola della sinistra riformista passa da oltre il 5% a un misero 0.8% perdendo la possibilità di ottenere un mandato nel parlamento europeo.

Il partito ambientalista perde punti passando dal 15 all’11%. Il tanto dibattuto Effetto-Greta evidentemente non si è fatto sentire ”in patria”, a differenza di quanto accaduto per esempio in Germania. Probabilmente gli elettori con sensibilità ambientaliste hanno preferito rifugiarsi nella socialdemocrazia forse nella speranza di arginare la crescita di SD. Ma certo a poco è servito.

Sverige Demokraterna, infatti, si attesta terzo partito in numero di consensi balzando al 15.5% (risultato complessivo): e questo a dispetto di un recente scandalo sessuale che ha coinvolto il suo candidato numero uno il quale avrebbe fatto delle avance di troppo nei confronti di una donna del suo stesso partito.

Vänsterpartiet (la sinistra riformista critica verso i socialdemocratici) cresce di 0.4 punti percentuale passando al 6.7%, ma il loro elettorato non muta: rimane cioè perlopiù interclassista, radicato nei quartieri ”hipster” e solo in minima parte tra i lavoratori.

Guardando i dati dei seggi locali, e qui mi ricollego alla affermazione iniziale di questo articolo e al successo di Sverige Demokraterna , la disparità nei risultati tra seggio e periferia è impressionante. In alcune zone del centro SD è al 2 per cento e in circa metà dei seggi periferici delle tre grandi città (Malmö, Stoccolma e Göteborg), la stessa SD raggiunge il 20/25 per cento attestandosi primo o secondo partito. Considerando i dati della sola Göteborg i socialdemocratici sono primi, SD è seconda. Questo significa che una mole impressionante di lavoratori impoveriti delle periferie, e persino migranti, hanno scelto il partito razzista di Jimmie Åkeson. Certo questo successo non va sopravvalutato, dal momento che i quartieri periferici sono stati anche quelli con il più alto numero di astensioni, il che significa che esiste un potenziale bacino con il quale è necessario interfacciarsi e capire come farlo. A tal proposito Vänsterpartiet non può dire di poter giustificare il suo fallimento nelle periferie in termini di assenza o boicottaggio mediatico (Malin Björk, la candidata numero uno è stata iper-presente in tutti i dibattiti televisivi) e i quartieri operai erano per lo più dominati da manifesti elettorali di V. Il fallimento è piuttosto dovuto all’incomprensibilità del linguaggio e del programma che questo partito propone, totalmente distante dai bisogni primari delle masse oppresse delle periferie: specialmente in queste elezioni europee infatti il tema del lavoro è stato per lo più assente, oscurato da quello più pressante e attuale di ambiente e femminismo (per una sinistra arcobaleno). Mentre SD, con la sua retorica sovranista, protezionista e anti-islamica, è riuscita, a parlare alla pancia delle masse impoverite e dei migranti (sopratutto i migranti non- musulmani, facendo implicitamente leva sulla loro “identità cristiana”). In V, tuttavia, questo tipo di preoccupazioni non sembrano essere di casa, e si festeggia piuttosto per la modesta crescita elettorale. Presumibilmente, tale entusiasmo è reso possibile dal fatto che costruire un partito dei lavoratori non è l’obbiettivo di Vänsterpartiet.

Su V bisognerebbe aggiungere che, oltre a pagare il prezzo per il suo modo errato di porre temi di ambientalismo e femminismo (usando una lettura e un linguaggio ”liberal” e interclassista), se non riesce a uscire dal suo immobilismo elettorale è probabilmente anche per via della sua ambiguità in tema Europa. Storicamente infatti, il partito è permeato di un certo ”sovranismo di sinistra”: è lo stesso partito che sostenne il NO al referendum del 1994 per ingresso nell’Unione Europea. Tuttavia negli ultimi anni, con l’esplosione della popolarità del ”sovranismo di destra”, l’antieuropeismo di V è diventato sempre più blando, fors’anche per non scontentare il bacino elettorale più giovane che ha beneficiato negli ultimi della libertà di movimento nel continente. Questa ambiguità però non è  compresa dal proletario medio e costituisce uno dei tre principali fattori per cui V non riesce a vincere tra i lavoratori (se non fosse bastato che non è, nemmeno organizzativamente, un partito dei lavoratori né aspira ad esserlo, aspira invece come ha dichiarato Malin Björk in una intervista televisiva ad essere ”una sinistra moderna, cioè verde e femminista”).

Il Non VOTO. Sebbene il 53% degli elettori si sia recato alle urne (percentuale lievemente più elevata che nel resto d’Europa), nelle periferie la percentuale di astensionismo sale drammaticamente e questo implica presumibilmente l’esistenza di una massa di milioni di lavoratori migranti e nativi privi di rappresentanza elettorale, ma soprattutto privi di un riferimento politico e di uno strumento organizzativo. Questo implica l’esistenza di un potenziale che nessun partito borghese e nemmeno Vänsterpartiet è in grado e sarà mai in grado di organizzare, ma che solo il marxismo rivoluzionario può e deve. Perchè il programma dei marxisti rivoluzionari è quello, nel lungo termine, può adeguato per risolvere i problemi e soddisfare i bisogni di lavoratori, donne, giovani e migranti, distante da ogni retorica perniciosa dei nazionalisti e dei fascisti così come da ogni retorica socialdemocratica della briciola, del contentino e della pace sociale.

Matteo Iammarrone, Corrispondente LVD dalla Svezia.

I manifesti elettorali degli stalinisti di “Kommunisterna” che hanno promosso il non voto. “EU non avrà il mio mandato”

I manifesti elettorali di Vänsterpartiet.

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.