Riceviamo e pubblichiamo volentieri una corrispondenza operaia di un giovane lavoratore, una riflessione sulla perdita della memoria storica della classe operaia e del patrimonio di esperienze di lotta di qualche decennio fa in conseguenza delle pesanti sconfitte ricevute prima e dopo il crollo del muro di Berlino e della caduta dell’URSS.


Per chi è nato fra gli anni ’80 e ’90, come il sottoscritto, aver sentito parlare del ciclo di lotte degli anni 60, 70 fino agli inizi degli 80, basati su ricordi ormai lontani delle lotte operaie o delle manifestazioni studentesche che, con entusiasmo rispettivamente di classe e giovanile, si andavano intensificando nelle grandi città, è diventato un fatto quasi eccezionale.

La classe lavoratrice, consapevole di appartenere alla classe degli sfruttati, era forte di un’ideologia tramandata negli anni, che la faceva restare saldamente poggiata al terreno, ancorata ad una visione materialistica della storia, avendo come insegnamenti i testi di Marx, letti da giovani studenti -ed anche dai lavoratori- con interesse, riguardando quei testi scientificamente il lavoro ed il capitalismo che li schiacciava, parlando di loro. Crescendo e diventando adolescente, sentivo parlare sempre di meno le persone che avevano vissuto e lottato in quegli anni di quelle lotte: avevano messo da parte i loro ricordi. Non si trovavano più le immagini delle lotte operaie e per la mia generazione è stata una delle cause della perdita di una memoria storica tramandata da chi in quegli anni aveva dato il sangue e la vita per le future generazioni. Fra i motivi ci furono sicuramente le varie sconfitte e l’indebolimento della classe operaia a livello ideologico e pratico nel suo insieme.

Il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS hanno distrutto anche sul piano ideologico vago (la sconfitta ideologica e materiale comunque avvenuta tempo prima della dissoluzione effettiva del paese sovietico), oltre che sul piano della fiducia della classe operaia nei suoi mezzi e del proprio compito storico. In effetti, come detto, molti dei testimoni di quel periodo avevano smesso di raccontarlo, ormai delusi e invecchiati. Ritrovandosi, il movimento operaio, incatenato all’interno dei paletti della democrazia borghese nazionale questi non ha potuto far altro che collassare su se stesso e di conseguenza portare la sfiducia di milioni di lavoratori verso le organizzazioni operaie (sia sindacali che politiche). Nel periodo storico attuale i lavoratori si ritrovano lontani da quel tipo di pensiero, non hanno né ambizione né pensiero pratico per parlare anche solo vagamente di emancipazione come classe sociale in grado di poter gestire una società senza padroni.

Il baratro della povertà costringe ogni lavoratore (che è costretto in cambio di salario a vendere il proprio tempo ad un padrone, dipende da quel padrone) ad accettare lavori sottopagati come ad esempio la condizione di lavoro dei braccianti delle campagne, costretti per pochi euro al giorno a lavorare 10 o 14 ore, ad alloggiare in baracche costruite da loro stessi, vicini al campo dove lavorano, ad obbedire ai caporali per non perdere il permesso di soggiorno, quest’ultimo utilizzato come arma dai padroni per tenere i lavoratori sotto controllo. E nella stessa situazione si trovano anche lavoratori in condizioni meno drammatiche stando comunque sotto ricatto.
Di esempi e di motivazioni sul perché molti lavoratori non si ribellano a tali ingiustizie ce ne sono sicuramente molte, ma tutti per vari motivi risponderanno che il motivo principale è la paura del baratro della povertà. Il mutuo da pagare, le bollette, i prestiti presi con le banche, il sostentamento dei loro figli e di se stessi, sono questi i motivi per cui la classe lavoratrice, il più delle volte, non disobbedisce al padrone e continua ad accettare le angherie quotidiane di una vita sempre uguale.

I lavoratori accettano i soprusi e continuano così a commettere gli stessi errori di calcolo. Avendo parlato con molti salariati, miei colleghi o lavoratori di altre aziende, ovviamente non posso che rivedermi in quello che mi dicono, sono un salariato come loro, e mi accorgo che non tutti si piegano. Il valore che i lavoratori danno alla vita come esseri umani, il desiderio di un futuro dignitoso e di un mondo migliore per i propri figli e per le nuove generazioni è un desiderio di emancipazione per l’umanità che ogni sfruttato ha come obiettivo per un futuro radioso.

Con il capitalismo per il proletariato non potrà mai esistere un miglioramento di condizione di vita se non momentaneo. Con le sue fasi cicliche di crisi di sovrapproduzione il capitalismo riporta nel baratro della povertà milioni di lavoratori. Si rivede, sporadicamente, un po’ di lotta di classe e di insofferenza verso il sistema democratico borghese e verso le sue storture. Intercettare questo disagio, e non ripetere le stesse formule che hanno contraddistinto la fase di degenerazione del socialismo, recuperare il marxismo rivoluzionario e collegarlo ai problemi attuali della classe operaia è l’unica soluzione se si vuole uscire da un pantano che, in assenza di una proposta della sinistra anticapitalista e comunista, non potrà che sfociare nella destra reazionaria più feroce.

Vanja