Dopo gli attacchi alle installazioni petrolifere saudite, è in gioco la credibilità degli Stati Uniti come garante della sicurezza dei suoi alleati.


Sabato 14 settembre gli impianti petroliferi di Aramco nell’est dell’Arabia Saudita sono stati colpiti da un attacco di droni. Gli Huthi, un gruppo di ribelli dello Yemen alleati con l’Iran, hanno rivendicato la responsabilità di questi attacchi. Tuttavia, questo attacco va ben oltre l’Arabia Saudita, rappresenta una sfida per gli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione; metterà alla prova la fiducia dei principali partner regionali dell’imperialismo americano a Washington, in Israele e in Arabia Saudita.

Come spiega l’esperto analista geopolitico Georges Friedman, questo attacco

Ha anche lo scopo di ricordare ai sauditi e ad altri che, mentre in passato gli Stati Uniti avevano un interesse primario nella protezione dei flussi di petrolio in Medio Oriente, ciò non è più un interesse maggiore degli Stati Uniti. (…) Ora gli Stati Uniti sono nella situazione di poter correre rischi che i loro alleati non possono permettersi di correre. Gli iraniani sperano che con questo attacco si possa dividere l’alleanza americana sulla questione del petrolio.

Questa dinamica mette gli Stati Uniti in una situazione complicata ,perché non rispondere potrebbe portare delle frizioni all’interno della sua alleanza regionale; ma rispondere attaccando le posizioni iraniane potrebbe portare il regime iraniano a rispondere e attaccare le installazioni petrolifere saudite o altre infrastrutture strategiche. Perché un’altra cosa che questo attacco ha rivelato è la vulnerabilità delle installazioni strategiche saudite. Una crescita delle tensioni nella regione metterebbe ovviamente a rischio anche l’economia globale.

 

Varie ipotesi sull’origine dell’attacco

Mentre le tensioni tra Iran e Stati Uniti sono in aumento nella regione da diversi mesi, con reali rischi di guerra, tutte le indicazioni suggeriscono il coinvolgimento diretto o indiretto di Teheran in questo attacco. Tuttavia, il governo iraniano nega qualsiasi implicazione.

In effetti, il governo americano parte dal principio che gli attacchi non vengono dallo Yémen, il che significa che gli Huthi non sono implicati negli attacchi o non gli hanno condotti da soli. 

Si avanza anche l’ipotesi che un gruppo affiliato all’Iran abbia colpito dall’Iraq. I media del Kuwait, situato tra l’Iraq e l’Arabia Saudita, hanno segnalato l’apertura di un’indagine dopo che un drone ha sorvolato il loro territorio. I funzionari dell’amministrazione Trump hanno inoltre dichiarato che potrebbe essere stata utilizzata una combinazione di droni e missili da crociera. “Questo indicherebbe un grado di portata, precisione e sofisticazione che supera le capacità dei soli ribelli Huthi”, secondo il New York Times. Hanno anche spiegato che stavano cercando altre prove a sostegno delle loro accuse. “Le fotografie satellitari pubblicate domenica non sono apparse così chiare come suggerito dai responsabili, alcune sembrano mostrare danni sul lato ovest delle strutture, e non in provenienza dall’Iran o dall’Iraq”, ha riferito il New York Times.

I funzionari iraniani e iracheni hanno respinto con forza le accuse di domenica, secondo cui gli attacchi provenivano dai loro paesi. Il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha dichiarato che il suo governo “tratterà con fermezza” chiunque tenti di attaccare i vicini dell’Iraq. Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha spiegato che Pompeo, “dopo aver fallito alla massima pressione (….) si stava ora rivolgendo all’inganno”, suggerendo trattative per porre fine al conflitto secondo il News 24.

Trump aveva preso a contropiede i suoi consiglieri proponendo un incontro con la sua controparte iraniana al G7, senza condizioni preliminari, per rinegoziare gli accordi nucleari iraniani. Una proposta che ha ribadito la settimana scorsa. Hassan Rohani, Presidente iraniano, ha spiegato lunedì che non sono previste riunioni.

 

Un attacco che fa salire il prezzo del barile

L’attacco ai due impianti petroliferi sauditi ha fatto salire il prezzo del Brent del 18%, per poi scendere al 12%. Donald Trump ha autorizzato il rilascio di petrolio dalle riserve strategiche, “se necessario”, per diminuire l’impatto degli attacchi sul mercato.

Le esplosioni di sabato hanno colpito le strutture nei distretti di Khurais e Abqaiq. Khurais è uno dei più grandi giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita, con una produzione di circa 1,5 milioni di barili al giorno. “Abqaiq è la sede del più grande impianto di lavorazione del petrolio del regno, costruito per trattare circa 7 milioni di barili di petrolio al giorno e spedirlo dal Golfo Persico verso i mercati esteri”, secondo il New York Times. L’Arabia Saudita ha prodotto 9,85 milioni di barili di petrolio al giorno in agosto, ovvero circa il 10% della fornitura mondiale. Aramco ha dichiarato sabato che l’attacco lo aveva costretto a sospendere la produzione di 5,7 milioni di barili di petrolio greggio al giorno, più della metà della produzione del regno.

La società di analisi delle notizie S&P Global afferma sul giornale statunitense che “a breve termine, l’Arabia Saudita sarà in grado di mantenere le sue esportazioni e di utilizzare le sue riserve per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento”. Ma “qualsiasi prova di una prolungata interruzione della produzione avrebbe un impatto significativo sulle capacità inutilizzate [dell’OPEC] e sulla capacità dell’Agenzia internazionale dell’energia di utilizzare le riserve strategiche di petrolio per consolidare il mercato”. Inoltre, “l’aumento dei prezzi del petrolio aggraverebbe le difficoltà dell’economia mondiale” e “potrebbe farla precipitare in una recessione”.

 

Ancora e di nuovo la questione iraniana

Dalla fine della seconda guerra mondiale, il Medio Oriente è stata una regione chiave per gli interessi economici e geopolitici dell’imperialismo. Benché in questa equazione la protezione della fornitura di petrolio al mercato mondiale sia sempre stata centrale, negli ultimi decenni la produzione si è diversificata geograficamente, ma nel mentre sono emerse altre questioni, come la lotta al terrorismo. 

Storicamente, l’Arabia Saudita e lo Stato di Israele hanno svolto un ruolo decisivo nel garantire questo ordine imperialista nella regione. L’Iran, fino alla rivoluzione del 1979, ha svolto un ruolo molto importante anche per le potenze imperialiste della regione. Tuttavia, dall’insediamento del regime reazionario degli ayatollah, che ha rovesciato un non meno reazionario alleato diretto degli imperialisti, le frizioni tra Teheran e Washington non hanno fatto che aumentare. E i concorrenti regionali dell’Iran hanno approfittato di questi conflitti per cercare di affermarsi come leader regionali.

Tuttavia, dopo la guerra in Siria e il fallimento americano in Iraq, l’Iran è riuscito ad espandere la sua area di influenza – che rimane comunque molto fragile. Per evitare che Teheran rafforzi questa nuova influenza regionale, gli Stati Uniti e i suoi alleati, Israele e l’Arabia Saudita, hanno continuato l’offensiva lanciando attacchi diretti contro le posizioni iraniane in Siria, Libano, Iraq e Yemen. Ma oltre a questi attacchi militari, c’è stata una guerra economica da parte degli Stati Uniti che sta soffocando economicamente l’Iran; è anche in questo contesto che deve essere compreso il ritiro nordamericano dell’accordo nucleare iraniano.

Anche se il coinvolgimento diretto dell’Iran è ben lontano dall’essere confermato al momento, ci sono poche possibilità che coloro che hanno colpito l’Arabia Saudita lo abbiano fatto senza almeno l’aiuto di Teheran. La questione è se, dopo questi attacchi la posizione dell’Iran, si rafforzerà o se stiamo assistendo all’inizio di uno sviluppo estremamente pericoloso per le popolazioni della regione e non solo.

 

Philippe Alcoy – Sadek Basnacki

Redattore di Révolution Permanente e della Rete Internazionale La Izquierda Diario. Vive a Parigi e milita nella Courante Communiste Revolutionnaire (CCR) del NPA.