A Napoli, nella notte del primo marzo scorso, un ragazzo di quindici anni, Ugo Russo, ha perso la vita.

Sulla vicenda partenopea già centinaia di testate e milioni di utenti hanno espresso la loro opinione, il proprio giudizio sulla tragedia, però, tra quelli che hanno riesumato il razzismo latente anti‐napoletani e chi non ha fatto altro che alimentare le polemiche sulla fantomatica “sicurezza contro la camorra”, l’unico dato certo è che l’intera opinione pubblica si è allineata con l’ideologia reazionaria e giustizialista che questa società prova continuamente a proporre come “alternativa” ai propri mali sociali.

Sì, male sociale.

Ugo era, oltre che vittima dell’omicidio, anche vittima della società capitalista. La sua famiglia è una delle tantissime che questa società costringe ed educa all’assolvimento di un ruolo tutt’altro che pulito: un ruolo che comporta la guerra quotidiana contro i propri simili ‐la famigerata guerra fra poveri‐ pur di tirare a campare, essendo inaccessibile persino lo sfruttamento del lavoro salariato.

Quando negli anni ’70 il movimento operaio chiedeva lavoro contro la camorra, questo intendeva.

Ma ora, interessante è capire ciò che è accaduto. Capirne l’assurdità per annientare quell’ideologia che prova in tutti i modi ad influenzarci.

Qui stiamo parlando non solo di Ugo. Stiamo parlando di due ragazzi, con circa 8­‐9 anni di differenza, e di come l’uno abbia ucciso l’altro per un rolex, per una tentata rapina messa in atto con una pistola finta.
Di come l’altro l’abbia giustiziato -esattamente questo è il termine da utilizzare‐ già agonizzante al suolo dopo il primo colpo esploso.
Di come l’altro sia stato a tal punto influenzato dalla propaganda ideologica sulla sicurezza e sulla “legittima” difesa che, guarda caso, dopo aver esploso il primo colpo ne ha esploso un secondo diretto al capo di Ugo, in linea con l’esaltazione dilagante nelle forze di repressione dello stato.
Di come la vita di un disgraziato possa valere o essere semplicemente paragonata al possesso di un oggetto. 

E se concordiamo sul fatto che questa reazione sia stata “spropositata”, beh! Spontaneamente dovremmo concordare sulla reazione altrettanto spropositata dei parenti di Ugo che hanno assaltato il Pronto Soccorso dell’Ospedale “Pellegrini” di Napoli, sapendo della sua morte. Reazione che per un sottoproletario è quotidianità: minacce, insulti, violenza fisica e devastazione sono da sempre la moneta di scambio utile alla sopravvivenza.

E, conoscendo quell’ambiente sociale dove il lavoro salariato è visto come un miraggio nel deserto, forse non dovremmo restare sorpresi ed indignati della “stesa” fuori ad un commisariato.

Tutto ciò, per i proletari e (ancor più) per i sottoproletari di Napoli, del Sud, del Mondo, è quotidiana routine, imposta dalla società capitalista attraverso la materiale messa al bando delle opportunità di lavoro (a Napoli alcuni quartieri sfiorano l’80‐90% di disoccupazione giovanile e, guarda caso, questi coincidono sempre con i famigerati quartieri “malfamati” della città).

Ora, dall’alto delle vostre idee giustizialiste, parimenti criminali, di chi ha scritto che “il camorrista lo deve mettere in conto di essere, prima o poi, ammazzato”, della vostra dissociazione mentale che vi porta ad affermare ciò e poi dire “lasciamo che la giustizia faccia il proprio corso”, sottolineando un brandello di garantismo idealistico, vi chiedo: tutto ciò poteva forse essere evitato? Questi due giovani ragazzi dovevano per forza essere messi l’uno contro l’altro?

Nessuno qui ci può dare delle risposte sincere. Tutti, persino chi come me ha vissuto e vive quotidianamente questi drammi sociali, siamo influenzati nel giudizio. Però ciò che possiamo fare, tutti assieme, è concepirne la causa di questo ennesimo caso in cui le contraddizioni esplodono: la natura disegualitaria ed immorale della società in cui viviamo, dove pochi hanno molto e molti non hanno nulla, dove c’è chi sfrutta, chi è sfruttato e chi, pur di campare, infrange le regole del gioco sociale e prende quanto può e con ogni mezzo utile.

Certo è che da questa ennesima vicenda l’unico vincitore è il capitalismo, l’unico sistema sociale in grado di poter paragonare la difesa di un rolex con la vita di una persona, disarmata, povera, agonizzante e poi giustiziata in nome della proprietà privata. 

 

Michele Sisto

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.