La politica scellerata da parte delle istituzioni, orientata esclusivamente al profitto dei capitalisti, moltiplica le vittime evitabili nella classe lavoratrice, in particolare fra gli operatori sanitari, come denuncia ADL Cobas, il sindacato della vittima.


Il 14 marzo muore a Montello Diego Bianco, soccorritore del 118 e capo del nucleo di protezione civile operativo a Bergamo, dopo 7 giorni di sofferenza in cui si erano presentati tutti i sintomi dell’infezione da COVID-19.

Nonostante la sua buona salute, a soli 46 anni, la sua situazione si è aggravata da quando il sospetto contagio è stato rilevato, portando, purtroppo, al decesso, prima che arrivasse la conferma della positività al tampone.

Per chiunque non sia parte della situazione è quasi impossibile immaginare il ritmo di lavoro che viene imposto a tutto il settore della sanità, con turni infiniti e doppi, mancanza di giorni di riposo e la costante fatica nel dover portare tutto l’equipaggiamento necessario alla protezione, testimoniata da video e immagini su tutti i social, nelle quali vengono mostrate le lesioni al volto causate dalle maschere di protezione.

Diego era un soccorritore esperto, attivo da anni, e abituato alle situazioni di emergenza: era stato mobilitato fin dall’inizio dell’epidemia ed era perfettamente conscio delle misure di sicurezza da adottare per gli operatori sanitari e di come usare i dispositivi di protezione individuali, anche in una situazione mai sperimentata precedentemente, come spiegato da Riccardo Germani di ADL Cobas.

L’ accesso agli strumenti di protezione adatti non è garantito a tutti i soccorritori e operatori sanitari, così come non lo sono le misure preventive volte ad assicurare l’incolumità individuale dei lavoratori, siano essi attivi in prima linea per salvare vite umane, costretti a lavorare in fabbrica o a recapitare consegne.

In occasione della conferenza, tenutasi oggi presso la Camera del Non Lavoro, Davide, autista soccorritore del 118 e dirigente di ADL Cobas – Lombardia, esprime la solidarietà del sindacato a famigliari e colleghi di Diego, denunciando la mancanza di risorse e di prassi per la sicurezza.

Allo stesso tempo si sottolinea l’assoluta necessità di porre le cliniche private, interessate da rimborsi e cospicui finanziamenti tramite le tasse dei cittadini, sotto il controllo dell’interesse pubblico, in questo contesto di continuo afflusso di pazienti infetti da coronavirus negli ospedali pubblici, depauperati da decenni di tagli a fondi e personale.

Tute le categorie di lavoratori sono coinvolte dall’emergenza – come afferma ADL Cobas – e non sono solo i dispositivi di protezione in difetto a porre a rischio la vita di questi ultimi: la logica produttivista uccide.

In nome della stessa salute dei lavoratori, di quella dei loro parenti e di tutta la società si chiudano tutte le attività produttive non fondamentali per risolvere l’emergenza sanitaria e per garantire il sostentamento della popolazione.

Ci uniamo all’ appello di ADL Cobas rifiutando il patto Confindustria-governo-confederali e rivendicando un reddito di quarantena per precari e disoccupati, ma anche la piena erogazione del salario per tutti coloro che necessitano di astenersi dal lavoro per evitare il contagio.

 

Alessandro Riva

 

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