Mentre altri Stati europei e del mondo si apprestano ad adottare misure simili a quelle del governo Conte, in Italia il tempo è scandito dal lavoro che obbliga ad esporsi e dalla quarantena, e la vita sociale è molto rarefatta dalla quarantena nazionale. Una situazione dove l’aspetto repressivo si nasconde dietro la retorica di “buon senso” del governo – un buon senso molto di parte che prepara all’adozione di nuove misure repressive permanenti.
In Italia, le misure adottate dal Governo Conte teoricamente dovrebbero arginare il diffondersi della pandemia COVID19. Nella sostanza, però, non lo fanno.
Tra quarantena domiciliare, asocialità, obbligo di autocertificare gli spostamenti per motivi “essenziali” –unici spostamenti consentiti- ed esercizi commerciali non essenziali chiusi, il governo prova, da un lato, a seguire le raccomandazioni di chi ha ben compreso l’impossibilità del sistema sanitario più avanzato d’occidente nel contenere la diffusione del virus.
Esatto: gli infettivologi, i tecnici della protezione civile, il personale sanitario tutto e i ricercatori sanno benissimo che il contenimento è già “saltato”, che il virus non può essere gestito “tecnicamente” dal solo SSN, fortemente indebolito nel corso degli ultimi 30 anni di tagli e privatizzazioni.
Dall’altro, il Governo segue pedissequamente le raccomandazioni della Confindustria, di chi di questa pandemia ha solo in mente le perdite di profitti: se da un lato ha ragione la scienza nel dire “chiudete tutto”, per il governo ha ragione anche la Confindustria nel voler tenere aperte le fabbriche, facendo funzionare, in parte, l’attività produttiva e quindi l’economia e la finanza del capitalismo italiano, a tutto danno della salute di lavoratrici e lavoratori.
Ed è proprio qui che cascano le teorie; è qui che persino quel briciolo di razionalità, della messa in quarantena dell’Italia intera, perde la sua base scientifica: le fabbriche, gli stabilimenti, i magazzini della logistica, i porti e qualunque altra attività produttiva, dove è impossibile mantenere le distanze di sicurezza ed in cui non vengono forniti dai padroni i dispositivi di protezione individuale – tutto continua a funzionare come se non vi fosse alcuna pandemia, alcun rischio per i lavoratori.
Il Governo, quindi, di fatto, non sta agendo per bloccare la diffusione del virus: non si può pensare di tenere esposta mezza popolazione e di mettere in quarantena l’altra metà nella speranza che il contagio si fermi. Le statistiche sono chiare. L’epidemia continua a crescere se non nei circoscritti focolai iniziali della Lombardia e del Veneto, dove tutto realmente si è fermato.
Allora la domanda sorge spontanea: perché questa duplice misura? Perché questa stretta sugli spostamenti quando poi tutti i lavoratori vengono esposti al contagio?
Sicuramente la natura criminale della finanza e dell’economia capitalistica è la causa ultima di questa contraddizione, però alcune misure adottate recentemente fanno, forse, più paura del virus stesso.
Nel dibattito pubblico è purtroppo ancora minoritaria la riflessione critica sulle conseguenze di questi attacchi alla libertà individuale e collettiva, una volta superata la pandemia – una fase che è già iniziata in Cina, dove il picco di infezioni è passato da giorni e giorni. Lì, dove grazie all’avanzamento tecnologico ed alla tecnologia 5G ogni singolo cittadino ha visto sgretolarsi ogni libertà individuale sotto il tallone di ferro del controllo totale da parte dello Stato, dove le conversazioni telefoniche e gli spostamenti sono stati registrati, dove tutti sono stati spiati dal proprio smartphone persino quando dormivano, oggi ogni dato rilevato –abitudini, principali consumi e qualunque altro dato personale, dall’orientamento sessuale a quello politico – è stato immagazzinato. Possiamo affermare decisamente che il regime repressivo della burocrazia del PCC ha affondato il suo colpo più brutale alla privacy di tutti i cinesi.
A questo punto è lecito pensare che, analogamente alla Cina, il governo italiano stia attuando, attraverso questa contraddittoria messa in quarantena, le sue prove generali di repressione futura in quadri sociali potenzialmente instabili: da anni, infatti, si studiano e si adottano misure più restrittive alle libertà politiche e di movimento, in primis quelle sindacali, con una continuità molto stretta tra PD/centrosinistra (con l’ascesa della figura esemplare di Marco Minniti) e la nuova destra raccolta attorno alla Lega di Salvini. Perché non proseguire su quella strada con nuovi attacchi alle libertà individuali e sociali, se non si trova resistenza?
Per una risposta all’escalation repressiva
Ciò che dobbiamo pretendere è innanzitutto la messa in quarantena reale di tutto il paese, con la chiusura delle fabbriche a pieno salario per tutti i lavoratori, senza che, a crisi passata, si trasformino in leggi dei decreti transitori di salute pubblica.
È inaccettabile che il governo a fronte dell’incapacità statale nella gestione del virus, colpa dei continui tagli trentennali alla sanità, possa minimamente mettere in discussione le nostre libertà, personali e collettive, politiche e sindacali: la crisi sanitaria devono pagarla loro, non noi. Deve pagarla la criminale Confindustria, chi ha rubato i soldi della sanità pubblica, le banche ed i grandi industriali.
Sono le loro libertà che vanno limitate al più presto e drasticamente, non le nostre.
Abolizione immediata delle multe e delle condanne penali ai comuni cittadini con la scusa della quarantena!
I criminali sono i padroni che continuano a fare profitti mettendo a rischio la vita dei lavoratori!
È inaccettabile obbligarci a lavorare, esposti al contagio, con salari da fame e con il sistema sanitario allo sfascio! Noi non ci stiamo.
Noi scioperiamo perché la crisi è colpa dei padroni e loro devono pagarla, tutta.
Michele Sisto
Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.