Emanuele, 34 anni, operatore di call center a Roma, è morto la notte tra 22 e 23 marzo per via del Coronavirus, avendo lavorato senza norme di sicurezza. Questa strage di lavoratori è da mettere in contro a padroni e governo.


Mentre il contagio da Covid-19 si allarga anche al Lazio e in particolare alla zona della provincia di Roma e gli scioperi si moltiplicano nei servizi non essenziali, la malattia miete le prime, dolorose, vittime fra i lavoratori anche nelle province del centro sud.”Ma come, allora non stanno ancora tutti a casa?”, si dirà.

No, purtroppo ancora non stanno tutti a casa, e questo perché c’è chi a casa non ci può stare e, per voce del Presidente del Consiglio, deve andare a lavorare.

Milioni di lavoratori in tutta Italia stanno ancora in questo momento in fabbriche, magazzini e uffici in condizioni di estrema insicurezza lasciati in balia di aziende che hanno mano libera sulle sanificazioni e sulla distribuzione di dispositivi di sicurezza. Uno dei casi più recenti è quello di Emanuele, un giovane (34 anni) lavoratore di un Call Center di Roma, situato nei pressi della Via Tiburtina, una zona a grande concentrazione di impianti industriali e uffici, deceduto nella notte tra il 22 ed il 23 marzo.

L’ufficio, una società di cui si avvale la Tim per i servizi di telefonia (giudicati essenziali), era rimasto aperto dopo il primo decreto dell’11 marzo che chiedeva alla cittadinanza di rimanere a casa, ma aveva dato la possibilità agli operatori di lavorare da casa, sempre che avessero una connessione internet veloce, manco a dirlo, a spese loro. Prevedibilmente quindi molti lavoratori si sono trovati costretti a recarsi comunque in ufficio per percepire un salario. E le condizioni di sicurezza minime disposte anche dal governo? A quanto pare anche su questo l’azienda non è riuscita o non ha voluto dare risposte adeguate all’emergenza sanitaria in corso: mascherine assenti, distanze di sicurezza impossibili da mantenere e “sanificazione” affidata agli stessi operatori con l’utilizzo di un disinfettante non meglio specificato, il tutto con cuffiette, pc e tutta l’attrezzatura divisa fra tutti i lavoratori. 

Quello che fa più rabbia di tutta questa storia, e di tutte le altre storie, di lavoratori e lavoratrici ammalati non è o non dovrebbe essere tanto il contagio di una malattia pericolosa e presa sotto gamba dalle istituzioni per fare felici le imprese che ora passeranno anche all’incasso dei soldi pubblici stanziati dal governo, no, quello che fa rabbia è il fatto che molte di queste morti potevano essere evitate, potevano essere prodotte e distribuite più mascherine, potevano essere fatte vere sanificazioni sui luoghi di lavoro, potevano essere messi a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici i mezzi economici necessari per lavorare da casa o per rimanerci a casa, senza il rischio inaccettabile di ammalarsi e allargare il contagio.

Ma no, tutto ciò avrebbe pesato troppo sulla liquidità e sui profitti, delle aziende. Evidentemente le morti sulla coscienza pesano meno per i padroni.

CM