Lo “scivolone” del PC di Rizzo, che ha replicato su un post facebook, riguardante le Tesi d’aprile di Lenin, le politiche di censura delle foto della rivoluzione russa in cui apparivano dirigenti “scomodi” via via uccisi da Stalin, non è una questione solo “estetica” o di una storia passata: è una questione di differenza politica tra il culto di un presunto “comunismo ortodosso” “leninista” di Rizzo, e il marxismo reale: quello delle Tesi d’aprile di Lenin, che difendevano apertamente la rivoluzione in permanenza fino alla presa del potere politico da parte della classe operaia. In piena continuità con il pensiero di Karl Marx, e in pieno accordo con le posizioni di Lev Trotsky, altro dirigente centrale della Rivoluzione russa.

Questa verità, per nulla “estetica” o limitata a un feticcio storico, è il vero problema per il PC.


Dopo la fiammata del centenario della rivoluzione russa, celebrato tre anni fa, non solo per il dibattito politico in generale, ma anche per gran parte della sinistra politica che si rifà più o meno esplicitamente al socialismo, le fondamentali lezioni politiche della Rivoluzione d’Ottobre e della condotta del suo partito dirigente, il partito bolscevico, sono tornate ad essere un reperto storico, da rivendicare in maniera più o meno feticista, ma guardandosi bene dal trasmetterlo così com’è alle giovani generazioni, e ancor più da trarne una strategia socialista contro il capitalismo oggi, in continuità con quella dei rivoluzionari russi e di tutto il mondo che sfiorarono il successo nella lotta per la rivoluzione socialista mondiale.

Quest’anno, in occasione dell’anniversario delle “Tesi del 4 aprile” (secondo il vecchio calendario giuliano, dunque il nostro 20 aprile) di Vladimir Lenin, principale leader del partito bolscevico, c’è stata una particolare attenzione a sinistra per un insolito episodio: il Partito Comunista, cioè la setta esplicitamente stalinista dominata dal vecchio burocrate di Rifondazione e poi del PdCI Marco Rizzo, ha pubblicato un post facebook celebrativo delle Tesi d’aprile (la cui conseguenza diretta è, va da sé… iscriversi al PC) associandolo alla foto di un comizio del tempo di Lenin. Il problemino che questa foto ha poi sollevato tra i ranghi del PC stesso è che la foto mostra come, in questi comizi, fosse normale che tra gli oratori che parlavano insieme a Lenin ci fosse il demone Lev Trotsky, acerrimo nemico della degenerazione burocratica, capeggiata da Josif Stalin, che coinvolse il partito bolscevico, l’Internazionale Comunista e l’Unione Sovietica a seguito della sconfitta della rivoluzione mondiale dopo il 1917.

Proprio come chi cerca il favore del buio per compiere i propri crimini, nella notte tra ieri e oggi, la foto è stata sostituita con una sua versione dove la figura di Trotsky era stata annerita, in maniera piuttosto grossolana ed evidente. Ciò ha scatenato, ovviamente, un’ondata di ilarità che si è diffusa tra molti attivisti e simpatizzanti variamente di sinistra, amplificata dal commento su un giornale conosciuto come Repubblica, che ha approfittato dell’occasione per ricordare per l’ennesima volta la natura autoritaria del bolscevismo, dunque di come il marxismo rivoluzionario sia “naturalmente” compatibile con episodi di censura di bassa lega.

Le "Tesi di aprile" del Pc di Marco Rizzo: Lenin sì, Trozky no (cancellato dalla foto)

La foto del post facebook del PC prima e dopo il ritocco notturno.

 

Nel tweet corrispondente, si vede la foto originale, non modificata.Aggiornamento: il tweet è stato poi rimosso.

La questione non va ridotta a un fatto “estetico” o relativo a “vecchi feticci superati” che non hanno più valore politico, né merita soltanto il commento di liberali “di sinistra” come quelli di Repubblica: lo “scivolone” del PC è avvenuto precisamente perché l’esistenza stessa del PC si basa sulla rivendicazione di un “leninismo” che non c’entra nulla con quello vero; il paradigma di Rizzo e soci, dunque, rischia di saltare una volta che si danno stimoli storici e politici a scoprire le reali posizioni e i reali metodi di Lenin e dei bolscevichi quando si posero alla testa del più grande moto rivoluzionario della storia dell’uomo. In questa permanente farsa, è essenziale nascondere a tutti i costi la convergenza di Lenin e Trotsky (e Marx, se è per questo!) sul carattere internazionale e permanente della rivoluzione socialista affinché trionfi.

Abbiamo già approfondito il merito delle Tesi d’aprile stesse, ma è utile dare anche un contesto storico-politico più ampio di quel momento di svolta della storia, così da rendere più chiaro il terrore del PC, degli stalinisti, per la (ri)scoperta della “svolta trotskista” di Lenin con le Tesi d’aprile

 

Il gruppo dirigente bolscevico sconvolto dalla “svolta trotskista” di Lenin

Vladimir Lenin, sin dalla fondazione del bolscevismo come corrente della socialdemocrazia russa nel 1903, era rimasto il dirigente più significativo dei bolscevichi, e tale era la situazione anche nel 1917 dopo molti anni d’esilio. Una certa percezione quasi “mitologica” di Lenin, però, non impedí al Comitato Centrale del partito bolscevico di trovarsi prima sconvolto e poi ostile, per quanto per un breve periodo, alla posizione presa da Lenin al suo rientro in Russia a seguito della messa in legalità del suo partito, grazie alla Rivoluzione di Febbraio che aveva detronizzato la dinastia secolare degli Zar Romanov, senza però andare oltre l’instaurazione di un governo “provvisorio” democratico-borghese.

Lenin, in sintesi, reclamava la presa del potere da parte dei consigli degli operai, dei soldati e dei contadini – enormi organi di autorganizzazione e rappresentanza politica di un’enorme massa di sfruttati senza voce fino a poco tempo prima: un cambio di regime politico che avrebbe permesso la soluzione della questione agraria, così come avrebbe messo fine alle campagne di offensiva imperialista che la nuova Russia “democratica” continuava, d’accordo con le potenze della Triplice Intesa. Il pace, il pane e la terra potevano esserci per tutti solo col potere in mano alla classe operaia, ai soviet (cioè ai consigli).

Questa posizione, formulata da Lenin per la prima volta con queste sue Tesi (prima rivendicava una “dittatura democratica di operai e contadini” per via della natura socio-economica arretrata della Russia), sconvolse il gruppo dirigente bolscevico, che aveva declinato le vecchie parole d’ordine in una politica di appoggio del governo provvisorio. Ma non era forse, questa, la posizione di Trotsky, fino a quel momento avversario dei bolscevichi nel campo della socialdemocrazia russa? Sì, anche Lenin ora reclamava la rivoluzione “fino in fondo”, “in permanenza”, fino al rovesciamento della dittatura della borghesia – anche nell’arretrata Russia. Se nell’arco di poche settimane Trotsky, da avversario dei bolscevichi, divenne un dirigente del loro partito, del Soviet di Pietrogrado (allora, la capitale della Russia) e della rivoluzione russa stessa, fu proprio per questa nuova convergenza politica, che stabiliva una comune strategia rivoluzionaria.

Nell’opera Storia della rivoluzione russa, curata da Lev Trotsky, che ricostruisce con ricchezza di dettagli l’evoluzione di quel grande fatto storico, è possibile rintracciare il carattere dirompente, anche nel seno del partito bolscevico, delle Tesi d’aprile di Lenin. La direzione bolscevica stava assumendo un ruolo di stampella sinistra dei rappresentanti “democratici” nel governo:

Sukhanov afferma che alla seduta del Comitato esecutivo [dei soviet, ndr] del 1° marzo la discussione fu centrata solo sulle condizioni della trasmissione del potere: contro il fatto della costituzione di un governo borghese di per se stesso non si alzò nessuna voce, benché in quel momento su trentanove membri del Comitato esecutivo undici fossero bolscevichi o simpatizzanti, tra cui tre membri del centro, Zalutsky, Sljapnikov e Molotov, presenti alla seduta. […] Circa il contenuto sociale della rivoluzione e le sue prospettive di sviluppo, la posizione dei dirigenti bolscevichi non era meno confusa. Sljapnikov racconta: “Eravamo d’accordo con i menscevichi nel dire che attraversavamo una fase di demolizione rivoluzionaria dei rapporti feudali e di servitù, che sarebbero stati sostituiti con ‘libertà’ di ogni genere, tipiche di regimi borghesi”. La Pravda scrive nel suo primo numero: “Il compito essenziale è… l’instaurazione di un regime repubblicano democratico” [Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, pp. 211-212, 1976(1932), Milano, Club Italiano dei Lettori].

Gli elementi conservatori più attivi nella direzione, che includevano lo Stalin “interprete ortodosso di Lenin”, soffocavano le spinte “a sinistra” già presenti nel partito:

Il membro della redazione dell’organo centrale all’estero Kamenev, il membro del Comitato centrale Stalin e il deputato alla Duma Muranov, pure rientrato dalla Siberia, allontanarono la vecchia redazione della Pravda, troppo “a sinistra”, e, valendosi di discutibili diritti, presero in mano il giornale a partire dal 15 marzo. Nell’articolo-programma della nuova redazione, si dichairava che i bolscevichi avrebbero appoggiato decisamente il governo provvisorio “nella misura in cui questo governo avesse combattuto contro la reazione e la controrivoluzione” [Lev Trotsky, op. cit, p. 213].

In questa fase di mancata iniziativa e slancio rivoluzionario del partito, l’orazione di Lenin di fronte ai principali dirigenti bolscevichi della capitale risulta sconvolgente:

Per caso, grazie a una benevolenza di Kamenev – Lenin aveva orrore di simili indulgenze – assisteva alla riunione il senza partito Sukhanov. Così abbiamo una descrizione del primo incontro di Lenin con i bolscevichi di Pietrogrado fatta da un osservatore estraneo, in parte ostile, in parte entusiasta.

Non dimenticherò mai quel discorso tonante che scosse e sorprese profondamente non soltanto me, eretico sopraggiunto per caso, ma anche tutti gli ortodossi” [Lev Trotsky, op. cit, p. 218].

Di fronte alla nuova posizione di Lenin, effettivamente tra i bolscevichi stessi torna l’epiteto vecchio di un decennio, l’accusa di “trotskismo” che si era diffusa al tempo della Rivoluzione russa del 1905 quando Trotsky era stato presidente del Soviet di Pietrogrado:

Pur restando, secondo Lenin, democratica, la rivoluzione russa doveva dare impulso all’insurrezione socialista che, poi, avrebbe trascinato nel suo vortice la Russia arretrata. Questa era la concezione di Lenin al momento in cui partiva da Zurigo […]: “La Russia è un paese di contadini, uno dei paesi più arretrati di Europa. Il socialismo non può vincere direttamente e immediatamente in Russia. Ma la natura contadina del paese, in cui sussistono enormi proprietà di proprietari nobili, può, sulla base dell’esperienza del 1905, dare un formidabile slancio alla rivoluzione democratico-borghese in Russia e fare della nostra rivoluzione il prologo della rivoluzione socialista mondiale, un primo gradino verso questa rivoluzione”. […] Questo è l’elemento di saldatura tra la vecchia posizione bolscevica che limitava la rivoluzione a obiettivi democratici e la nuova posizione che Lenin espose per la prima volta dinanzi al partito con le tesi del 4 aprile. La prospettiva di un passaggio immediato alla dittatura del proletariato sembrava del tutto inaspettata, contraria alla tradizione e, insomma, per dirla semplicemente, non drenava nei cervelli. Qui è indispensabile ricordare che sino allo scoppio della rivoluzione di febbraio e nei primi tempi dopo la rivoluzione, quando si parlava di trotskismo non alludeva all’idea secondo cui entro le frontiere nazionali della Russia non si sarebbe potuta edificare una società socialista (l’idea di una simile possibilità non fu avanzata da nessuno sino al 1924 e c’è da dubitare che a qualcuno sia venuta in testa); quando si parlava di trotskismo, si alludeva all’idea secondo cui il proletariato russo avrebbe potuto trovarsi al potere prima di quello occidentale e che in questo caso non avrebbe potuto restare entro il quadro della dittatura democratica, ma avrebbe dovuto prendere le prime misure socialiste. Nulla di strano che le tesi di aprile di Lenin siano state condannate come trotskiste [grassetto nostro, Lev Trotsky, op. cit, pp. 230-31].

Lenin rompe con qualsiasi rimasuglio della concezione gradualista, diventata ampiamente egemonica nell’Internazionale Socialista che non aveva alzato un dito per stroncare la Prima Guerra Mondiale, con un certo, forte carattere eurocentrico – per non dire germanocentrico – del marxismo di quel tempo: se lo sviluppo del capitalismo è mondiale, ineguale e combinato, la politica socialista non poteva permettersi di “rafforzare la democrazia” (borghese) aspettando la rivoluzione nella Germania “avanzata”.

 

Perché il terrore del “trotskismo di Lenin” non è un fatto estetico, per Rizzo e soci?

Che, in ultima istanza, la posizione delle Tesi d’aprile di Lenin fosse la stessa di quella elaborata da Trotsky già da diversi anni, non faceva che rendere ancora più “scandalose” le Tesi d’aprile per i “vecchi bolscevichi”. E la realtà storica e politica dietro di esse le rende ancora, di fatto, scandalose per gli stalinisti del 2020: se effettivamente Lenin e Trotsky avevano un’analisi e una strategia convergenti nel 1917, se Trotsky effettivamente compariva in prima fila come dirigente politico della rivoluzione a fianco di Lenin, fino a quanto potrebbe spingersi la riscoperta di una verità alternativa alla narrazione del “marxismo-leninismo” delle sette staliniste? Questa domanda terrorizza i piccoli burocrati come Marco Rizzo che letteralmente campano di rendita sul patrimonio enorme che l’Internazionale Comunista degenerata, e il PCI in Italia, avevano accumulato. Se la (ri)scoperta della verità, da parte di giovani e lavoratori, andasse molto oltre i semplici caratteri estetici e storico-feticistici, potrebbe facilmente arrivare al riconoscimento della continuità politica tra Marx da una parte, e Lenin e Trotsky (e molti con loro!) dall’altra, sull’affermazione del carattere necessariamente internazionale della rivoluzione sociale, del socialismo come società che supera e rimpiazza il capitalismo – come “salto di specie”, diremmo in questi tragici giorni. Di fronte a questa verità, cadono tutti i miti di “vie nazionali al socialismo”, di partiti “rivoluzionari” che fanno ognuno la sua politica nel proprio paese senza una strategia e un’azione comuni (non a caso, nessuna corrente di origine stalinista può vantare una reale organizzazione internazionale viva e funzionante), di burocrati che raccontano la propria versione interessata della storia delle rivoluzioni e del “leninismo”. Se oggi tutto ciò avviene in una forma di parodia, è però già avvenuto una prima volta in forma di tragedia.

Nell’opera di riscrittura e rimozione della storia che la burocrazia staliniana avviò anni dopo, il problema di questa svolta “trotskista” di Lenin nel 1917 andava affrontato, a differenza del compito della rivoluzione internazionale, “fino in fondo”: con l’emarginazione e la persecuzione di Trotsky stesso (fino al suo assassinio nel 1940 per opera di Ramon Mercader, agente della polizia politica dell’URSS) e degli altri vecchi dirigenti rivoluzionari, con la diffusione di una storia alterata nel segno dell’ortodossia “marxista-leninista” dove molte lezioni dell’effettivo leninismo venivano rimosse.

Se il movimento operaio e la sinistra anticapitalista non vogliono ripartire da zero o quasi, nella loro lotta al capitalismo – per superarlo, per vincere il conflitto fino in fondo! – hanno tutto l’interesse a non fermarsi all’apparente carattere estetico o folkloristico, feticista della censura e della riscrittura della Storia che fanno gruppi come il PC di Marco Rizzo: il rischio è quello di dar loro ragione anche sui metodi, ugualmente sbagliati, che propongono per una politica operaia e socialista nel mondo di oggi. L’origine è la stessa: quella degli organizzatori di sconfitte e dei traditori delle rivoluzioni.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.