Il regista egiziano Shadi Habash, noto nel suo paese per la satira contro il presidente al-Sisi, specie per il video della canzone Balaha, è morto in carcere dopo mesi di prigionia, come molti altri detenuti politici del regime.


Resistere in prigione significa resistere a te stesso. Proteggi te stesso e la tua umanità dall’impatto di quello che tu vedi ogni giorno. Ti fermi, vai di matto o lentamente muori perché sei stato buttato dentro una stanza due anni fa a sei stato dimenticato, non sapendo quando ne verrai fuori.

Con queste parole il 26 ottobre 2019, Shadi Habash, filmmaker egiziano, denunciava la sua incarcerazione chiedendo il supporto di tutti affinché venisse liberato.

Shadi è un regista noto in Egitto soprattutto per le sue collaborazioni con il cantante Ramy Essam –esiliato dal 2015 in Svezia per via delle pressioni del regime- nella canzone Balaha l’ennesimo pezzo di denuncia contro il regime repressivo egiziano.

Shadi è morto nella giornata del 2 maggio nel carcere di massima sicurezza di Tora dopo aver denunciato più volte le gravi condizioni di salute in cui versava.

Shadi era stato imprigionato nel 2018 a causa della sua realizzazione del video della canzone di Essam intitolandola con quel nomignolo che gli egiziani hanno dato al loro presidente, Balaha, in arabo dattero. Il nome è stato dato in riferimento ad un film degli anni ’80 in cui un malato psichiatrico, di nome Balaha, vi era rinchiuso a causa dei suoi gravi problemi mentali.

Tu vivi nei giardini e noi, invece dentro le celle… ti hanno rubato le terre promettendoti grappoli d’uva, ci hanno rubato il nostro Nilo e ti hanno lasciato qualche goccia…

Le parole summenzionate sono parte della canzone incriminata e fanno riferimento a due questioni che ancora oggi in Egitto sono cruciali: la vendita all’Arabia Saudita delle due isole nel Mar Rosso di Tiran e Sanafir e dell’annosa questione delle acque del Nilo con l’Etiopia e Sudan che proprio in questi giorni sta animando il dibattito nel paese dei faraoni.

La morte di Shadi ha dimostrato ancora una volta di quanto le condizioni delle migliaia di attivisti nelle carceri egiziane sia seria. Da due settimane l’attivista e compagno, Alaa Abdel Fattah, è entrato in sciopero della fame e della sete a causa dell’assenza di misure di sicurezza per contenere il contagio del covid-19 e dal divieto di visite per i famigliari.

Nonostante, i numerosi casi positivi al virus, il regime egiziano non si arrende e continua la sua campagna repressiva nei confronti degli attivisti e delle attiviste.

Proprio in questa settimana, è giunta la notizia che due attiviste, Marwa Arafa e Kholoud Said, sono state arrestate e fatte sparire dalle forze di sicurezza egiziane.

…invece di combattere il terrorismo stai combattendo i mulini a vento. (sempre dal testo di Essam).

Le accuse mosse alle due attiviste sono le stesse che hanno giustificato l’arresto del giovane studente egiziano dell’Università di Bologna, Patrick Zaky, partecipazione attiva a gruppi terroristici e sovversivi.

Un regime malato e paranoico, quello egiziano, che tenta di lavarsi la faccia portando nel nostro paese aiuti per fronteggiare la crisi del covid-19 ricevendo tutti gli onori da parte delle istituzioni borghesi e con il beneplacito del capitalismo e della Confindustria italiani che proprio in questi giorni hanno stretto l’ennesimo affare con il regime golpista e criminale di al-Sisi: 40 milioni di euro pagati profumatamente dal sistema mafioso militare ad un’azienda italiana per l’informatizzazione delle scuole egiziane.

Intanto, con un sistema sanitario che crolla sotto i colpi dell’emergenza del coronavirus, il regime ha chiesto un altro prestito al Fondo Monetario Internazionale – alla faccia dei dati positivi dell’economia egiziana, sbandierati degli istituti finanziari internazionali – che avranno impatto, nonostante le rassicurazioni del capo del governo Madbouli, devastante sui servizi pubblici egiziani.

Un paese, l’Egitto, che dal luglio del 2013, anno del colpo di stato militare, continua a soffrire dei mali del sistema neo-liberista. Un sistema che ha di fatto distrutto quel poco di servizio pubblico che il sistema capitalista di stato nasseriano riusciva a mantenere e che, con Sadat, Mubarak, Mursi e al-Sisi, è stato via via smantellato riducendo più di trenta milioni di persone alla fame.

Hai costruito nuove città con alti recinti mentre sogni con i tuoi amichetti di prenderci tutti… (altra citazione della canzone di Essam)

Un regime che preferisce costruire nuove città per pochi, quasi inaccessibili, dove attorno girano enormi affari e corruzione tra alti ufficiali dell’esercito, detentori di quasi tutti gli appalti insieme ai grandi imprenditori del capitalismo egiziano.

Shadi era uno dei tanti che in quei giorni a Tahrir e successivamente nei risicati spazi lasciati dal regime, denunciava a gran voce i torti e le ingiustizie del paese e quelle ricevute: non ultima quella della sua incarcerazione.

Vi lasciamo con questa sua lettera dal carcere del 26 ottobre:

La prigione non uccide, lo fa la solitudine. Ho bisogno del vostro supporto per non morire.
Negli ultimi due anni ho provato a resistere da solo a tutto ciò che mi stava succedendo continuando ad essere me stesso, ma ora non posso più andare avanti.

Resistere in prigione significa resistere a te stesso. Proteggi te stesso e la tua umanità dall’impatto di quello che vedi ogni giorno. Ti fermi, dai di matto o lentamente muori perché sei stato buttato dentro una stanza due anni fa a sei stato dimenticato, non sapendo quando ne verrai fuori.

Io sono ancora in prigione e ogni 45 giorni devo andare davanti ad un giudice che mi dà altri 45 giorni senza guardarmi in faccia o ai documenti del caso grazie ai quali molti sono stati liberati sei mesi fa.

Comunque, la mia prossima udienza sarà il 19 novembre.
Ho bisogno di supporto e ho bisogno che ricordiate che io sono ancora in prigione e che il regime si è dimenticato di me. Sto lentamente morendo perché so che sto restando solo di fronte a tutto.

So che ho molti amici che mi vogliono bene e hanno paura di scrivermi pensando alla fine che io possa uscire senza il loro aiuto.
Ho bisogno del vostro supporto ora più che mai.

Shadi Habash
26 ottobre 2019

Qui il video di Rami Essam con la canzone Balaha con sottotitoli in inglese.

Mattia Giampaolo

Laureato in storia contemporanea dei paesi arabi alla Sapienza di Roma, nel 2018 ha conseguito il master in Lingue e Culture orientali alla IULM University.
Dottorando alla Sapienza presso il Dipartimento di Scienze Politiche, con una tesi su Gramsci, la rivoluzione passiva e la Primavera Araba.