Pubblichiamo la terza e ultima parte di una breve biografia politica del grande filosofo, economista e rivoluzionario tedesco, Karl Marx, concentrata sulla sua critica dell’economia politica.

Prima parte

 Seconda parte


Salario prezzo e profitto

In questo testo Marx non solo demolisce le tesi di J. Weston – per il quale, una richiesta di aumento dei salari da parte della classe operaia sarebbe inutile in quanto ciò produrrebbe un aumento del prezzo delle merci e dei generi di prima necessità di cui fanno uso gli operai azzerandone i benefici – ma, in sintesi, chiarisce anche il concetto di plusvalore.

Marx spiega in modo molto semplice che l’aumento dei salari non porterebbe a nessun svantaggio per la classe operaia, ma sostanzialmente ad una diminuzione dei profitti per i padroni.

La diminuzione di questi profitti avrebbe come effetto una riduzione delle spese per i beni di lusso con conseguente abbassamento del saggio di profitto in questo ramo industriale.

Ciò farebbe spostare i capitali – che prima agivano nel ramo delle attività di lusso – a causa della minore domanda di questi beni, in quei rami più remunerativi come potrebbe essere quello dei generi di prima necessità. Questo spostamento produrrebbe, a causa della concorrenza dei capitali, un abbassamento dei prezzi e quindi un livellamento dei vari saggi di profitto; di conseguenza, anche un eventuale e momentaneo innalzamento dei prezzi dei generi di prima necessità sarebbe poi livellato dalla concorrenza dei capitali e dei saggi di profitto.

Una volta compiuto questo cambiamento, nei diversi rami dell’industria si ritornerebbe al saggio generale del profitto. Poiché tutto questo spostamento aveva avuto origine da un semplice mutamento intervenuto nel rapporto fra la domanda e l’offerta delle varie merci, col cessare della causa dovrebbe cessare anche l’effetto, e i prezzi dovrebbero ritornare al loro livello e al loro equilibrio primitivi (Capitolo 2, Produzione, salari, profitti).

Nel testo, Marx affronta tra l’altro l’argomento del valore della merce e di come questo valore dipenda dal lavoro mediamente e socialmente necessario per produrle, in determinate condizioni a cui è giunto lo sviluppo delle forze produttive e chiarendo inoltre la differenza tra valore di una merce ed il suo prezzo e che i guadagni dei capitalisti non avvengono per un imbroglio nella vendita, ma vendendo le merci mediamente intorno al loro valore.

Quindi, per spiegare la natura generale dei profitti, dovete partire dal principio che le merci in media sono vendute ai loro valori reali, e che i profitti provengono dal fatto che le merci si vendono ai loro valori, cioè proporzionalmente alla quantità di lavoro che in esse è incorporata. Se non potete spiegarvi il progetto su questa base, non potete spiegarlo affatto. Ciò sembra un paradosso e in contraddizione con l’esperienza quotidiana. E’ anche un paradosso che la terra gira attorno al sole e che l’acqua è costituita da due gas molto infiammabili. Le verità scientifiche sono sempre paradossi quando vengono misurate alla stregua dell’esperienza quotidiana, la quale afferra solo l’apparenza ingannevole delle cose. (Salario prezzo e profitto – 6. Valore e lavoro).

Considerato quindi che le merci si vendono mediamente intorno al proprio valore e non potendo di conseguenza imbrogliare nella compravendita delle merci per realizzare il proprio guadagno, al capitalista non resta altro che appropriarsi del valore prodotto dall’operaio durante la produzione delle merci, cioè appropriandosi del cosiddetto plusvalore realizzato dalla classe operaia.

Pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza-lavoro per tutto il giorno o per tutta la settimana. […] Poiché egli ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista, l’intero valore, cioè il prodotto da lui creato, appartiene al capitalista, che è, per un tempo determinato, il padrone della sua forza-lavoro. […] È su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalistica o il sistema del salariato è fondato, e che deve condurre a riprodurre continuamente l’operaio come operaio e il capitalista come capitalista.

L’esilio a Londra

Dopo la soppressione della Nuova Gazzetta Renana Marx si stabilirà a Londra dove resterà fino alla fine dei suoi giorni. Qui egli scriverà il “Capitale” ed altri scritti economici, tra questi “Per la critica dell’economia politica”. La Lega dei Comunisti, decimata dagli arresti, si scioglie su proposta di Marx nel 1852. Gli muoiono, in un breve di tempo, per denutrizione, i figli Heinrich Guido e Franziska di un anno e, per tubercolosi, Edgar di 8 anni. Da queste morti Marx e la moglie rimarranno segnati per sempre.

Il Capitale

Il suo capolavoro ed il suo impegno più grande è la stesura e lo studio del Capitale, dove analizza minuziosamente e scientificamente la società capitalistica, dall’analisi della merce come valore d’uso e valore di scambio alla teoria del valore, dallo scambio M-D-M allo scambio D-M-D, dall’analisi delle fasi di circolazione del capitale alla caduta tendenziale del saggio medio di profitto, dalle crisi di sovrapproduzione alla tendenza del capitale all’abbassamento dei salari , dalla condizione della classe operaia in Inghilterra alla teorie degli economisti classici quali Ricardo, Smith, Senior, Malthus ecc.

Il primo libro del Capitale uscirà nel 1867 con una prefazione dello stesso Marx e come egli stesso dirà, sarà il seguito del testo “Per la critica dell’economia politica pubblicato otto anni prima.

L’analisi che Marx svolge della società capitalistica inizia con l’analisi della merce in quanto solo a partire dall’analisi di questa sua singola unità fondamentale – intesa come valore d’uso e valore di scambio – si potrà capire la sostanza di valore e la grandezza di valore. Mentre una parte degli economisti cercavano il valore delle merci e la loro equiparazione nella variazione della domanda e dell’offerta, senza venire a capo di nulla, altri come Ricardo che avevano intuito che il lavoro è la misura del valore delle merci, non avevano però chiaro che si trattava del lavoro socialmente e mediamente necessario per produrle. Marx chiarisce che per equiparare due essenze bisogna specificare ciò che hanno in comune e nel caso delle merci ciò che le equipara è il lavoro contenuto in esse, ma non il lavoro particolare di ognuna che può essere diverso per ogni singola merce e che tra l’altro le rende diseguali, ma il lavoro socialmente e mediamente necessario per produrle in determinate condizioni di sviluppo delle forze produttive, cioè lavoro umano astratto al di là delle specificità di ogni singola lavorazione.  Quindi è soltanto la quantità di lavoro socialmente necessario, cioè il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d’uso che determina la sua grandezza di valore. Qui la singola merce vale in generale come esemplare medio del suo genere. Merci nelle quali sono contenute eguali quantità di lavoro ossia merci che possono venir prodotte nello stesso tempo di lavoro hanno quindi la stessa grandezza di valore. Il valore di una merce sta al valore di ogni altra merce come il tempo di lavoro necessario per la produzione dell’una sta al tempo di lavoro necessario per la produzione dell’altra. “Come valori, tutte le merci sono soltanto misure determinate di tempo di lavoro congelato”, scrive Marx nel primo capitolo del Capitale, “La merce”.

Nello scambio tutte le merci si possono rapportare tra di loro attraverso quella merce particolare che è il denaro e che rappresenta l’equivalente generale di tutte le merci, grazie alla specificità di contenere lavoro umano astratto che le rende commensurabili:

Le merci non diventano commensurabili per mezzo del denaro. Viceversa, poiché tutte le merci come valori sono lavoro umano oggettivato, quindi sono commensurabili in sé e per sé, possono misurare i loro valori in comune in una stessa merce speciale, ossia in denaro. Il denaro come misura di valore è la forma fenomenica necessaria della misura immanente di valore delle merci, del tempo di lavoro (Libro primo – Sezione I – Capitolo 3).

Nella società capitalistica, il rapporto M-D-M caratteristica peculiare delle società mercantili, dove il denaro è essenzialmente uno strumento per far circolare le merci, si trasforma principalmente in D-M-D’ cioè uno scambio per realizzare una maggiore quantità di denaro.

Lo scopo della società dove predomina il modo di produzione capitalistico, diventa quindi la realizzazione di un guadagno per il capitalista:

La forma immediata della circolazione delle merci è M-D-M: trasformazione di merce in denaro e ritrasformazione di denaro in merce, vendere per comprare. Ma accanto a questa forma, ne troviamo una seconda, specificamente differente, la forma D-M-D: trasformazione di denaro in merce e ritrasformazione di merce in denaro, comprare per vendere. Il denaro che nel suo movimento descrive quest’ultimo ciclo, si trasforma in capitale, diventa capitale, ed è già capitale per sua destinazione (Libro primo –Sezione II – Capitolo 4).

Ma siccome le merci si vendono al loro valore e, non c’è nello scambio delle merci un imbroglio del venditore verso il compratore, si deve allora ricercare il guadagno del capitalista in un altro momento dell’attività del Capitale e cioè in quello della produzione delle merci, quando cioè l’operaio interviene nel processo produttivo per realizzare i prodotti. Nel momento della produzione, la forza lavoro, che il capitalista ha precedentemente comprato, trasmette a queste un nuovo valore proprio in virtù del lavoro speso per la trasformazione della materia prima:

La formazione di plusvalore, quindi la trasformazione di denaro in capitale, non può dunque essere spiegata né per il fatto che i venditori vendano le mercial di sopra del loro valore, né per il fatto che i compratori le comperino al di sotto del loro valore (Libro primo –Sezione II – Capitolo 4).

Di questo nuovo valore solo in piccola parte servirà a pagare i salari degli operai, mentre la parte più cospicua sarà ripartita tra il capitalista fondiario, quello industriale e quello commerciale. Nella vendita D-M-D’ si realizza quel guadagno che è stato prodotto nel processo lavorativo, la parte D’ (della formula D-M-D’) è quindi l’espressione monetaria di quel valore e, contiene in se, anche la quantità di plusvalore di cui si appropria la classe dei capitalisti.

La compera della forza lavoro da parte del capitalista presuppone anche qui, come in ogni scambio di merci, la compravendita di queste al loro valore. Il capitalista compra la merce forza-lavoro,come già detto al suo valore, ma questa merce ha una duplice caratteristica e, cioè di avere in se la qualità di valore di scambio e di valore d’uso. Il capitalista paga all’operaio il prezzo della merce forza-lavoro, cioè il suo valore di scambio e da questa compravendita egli ha la possibilità di utilizzare l’altra qualità della merce che è il suo valore d’uso, ed è proprio in questa qualità di valore d’uso che si ottiene un surplus di valore.

L’operaio nel momento della produzione, sia di un’ora di lavoro che di dieci ore, produce non solo il valore della sua forza lavoro, ma anche un plusvalore, cioè di una quantità di valore che non serve a pagare il suo salario ma ad arricchire la classe dei capitalisti:

Tutto questo svolgimento di trasformazione in capitale del denaro del nostro capitalista, avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene attraverso la mediazione della circolazione, perché ha la sua condizione nella compera della forza-lavoro sul mercato delle merci; non avviene nella circolazione, perché questa non fa altro che dare inizio al processo di valorizzazione, il quale avviene nella sfera della produzione. E così «tout est pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles» Libro primo – Sezione III – Capitolo 5 – La produzione del plusvalore assoluto).

Che sia l’operaio a produrre plusvalore e non altri soggetti legati alle attività del Capitale è chiaro in ogni passo dell’opera di Marx:

E l’operaio non gli ha reso il servizio di trasformare cotone e fuso in refe? Inoltre, qui non si tratta di servizi. Un servizio non è altro che l’effetto utile d’un valore d’uso, sia della merce, sia del lavoro. Ma quello che conta qui è il valore di scambio. Il capitalista ha pagato all’operaio il valore di 36 €. L’operaio gli ha restituito un equivalente esatto nel valore di 36 € aggiunto al cotone: gli ha restituito valore per valore. Il nostro amico, che poco fa era ancora tanto fiero del suo capitale, assume d’un tratto il contegno modesto del proprio operaio. Non ha lavorato anche lui? Non ha compiuto il lavoro di sorveglianza, di sovraintendenza nei confronti del filatore? E questo suo lavoro non crea valore anch’esso? Il suo sorvegliante e il suo direttore si stringono nelle spalle. Ma intanto il capitalista ha ripreso, ridendo allegramente, la sua antica fisionomia. Ci ha voluto canzonare, con tutta quella litania. Non gliene importa niente. Lascia questi sciocchi pretesti e questi vuoti sofismi ai professori di economia politica, che proprio per questo sono pagati. Egli è un uomo pratico, che fuori degli affari non riflette sempre a quel che dice, ma negli affari sa sempre quel che fa (Libro primo – Sezione III – Capitolo 5 – La produzione del plusvalore assoluto).

Marx distingue la categoria economia del plusvalore in due specifiche oggettività: da una parte il plusvalore assoluto, quello che si può compiere con un semplice allungamento della giornata lavorativa; dall’altra, il plusvalore relativo che può realizzarsi con un aumento della forza produttiva del lavoro, mentre il rapporto che intercorre tra plusvalore e salari cioè PL/V, viene definito come “saggio del plusvalore”:

Chiamo plusvalore assoluto il plusvalore prodotto mediante prolungamento della giornata lavorativa; invece, chiamo plusvalore relativo il plusvalore che deriva dall’accorciamento del tempo di lavoro necessario e dal corrispondente cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti costitutive della giornata lavorativa (Libro primo – Sezione IV – Capitolo 10).

Un’ulteriore legge che Marx ha reso evidente, quale elemento fondamentale delle dinamiche economico-sociali, dello sviluppo storico del Capitale, è la caduta tendenziale del saggio di profitto (PL/[C+V]) dovuta all’enorme aumento del capitale costante (C) che la borghesia opera nell’accrescimento e nella rivoluzione delle forze produttive del lavoro. Questo aumento del valore C è dovuto al fatto che la borghesia è alla ricerca spasmodica di macchinari sempre più produttivi, capaci di realizzare quantità sempre maggiori di merci in un tempo sempre più breve e qualitativamente sempre migliori per superare e vincere la concorrenza che si genera tra i diversi capitali.

Caduta del saggio del profitto ed accelerazione dell’accumulazione sono semplicemente diverse espressioni di uno stesso processo, ambedue esprimendo lo sviluppo della forza produttiva” (Libro terzo – Sezione III – Capitolo XV).

Nello studio, che Marx svolge delle leggi del Capitale e delle sue contraddizioni, emerge un aspetto distruttivo del sistema di produzione capitalistico. Un fenomeno quale quello della sovrapproduzione di merci e di capitali che porta inevitabilmente a crisi cicliche e periodiche:

Si manifesta qui nuovamente il limite specifico contro cui urta la produzione capitalistica e si dimostra chiaramente come essa non solo non rappresenti la forma assoluta per lo sviluppo delle forze produttive e della produzione della ricchezza, ma debba necessariamente, ad un certo punto, trovarsi in conflitto con questo sviluppo. Tale conflitto si palesa in parte in crisi periodiche, che provengono dal fatto che ora una parte, ora l’altra della popolazione operaia è resa superflua nel suo vecchio modo d’occupazione […] Si è visto che un’intensificazione dell’accumulazione implica una concentrazione crescente del capitale. Aumenta in tal modo la potenza del capitale, si accentua la personificazione nel capitalista delle condizioni sociali di produzione nei confronti del produttore reale. Il capitale si manifesta sempre più come una potenza sociale — di cui il capitalista è l’agente — che ha oramai perduto qualsiasi rapporto proporzionale con quello che può produrre il lavoro di un singolo individuo; ma come una potenza sociale, estranea, indipendente che si contrappone alla società come entità materiale e come potenza dei capitalisti attraverso questa entità materiale. […] Non viene prodotta troppa ricchezza. Ma periodicamente viene prodotta troppa ricchezza nelle sue forme capitalistiche, che hanno un carattere antitetico.Il limite del modo capitalistico di produzione si manifesta nei fatti seguenti:1. Lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, determinando la caduta del saggio del profitto, genera una legge che, ad un dato momento, si oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e che deve quindi di continuo essere superata per mezzo di crisi (Libro terzo – Sezione III – Capitolo XV).

Tali crisi, con la loro forza distruttrice, mettono, in ogni momento, in discussione tutto l’ordinamento sociale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma da sole non bastano per determinare il superamento dell’attuale modo di produzione capitalistico. È necessario che la classe operaia e la sua organizzazione politica facciano i conti fino in fondo con tutta la borghesia ed i suoi accoliti, dichiarando, così come scritto nel Manifesto,

che i loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d’una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare. Proletari di tutti i paesi unitevi! (Manifesto del Partito Comunista, IV. Posizione dei Comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione)

Salvatore Cappuccio

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).