Riportiamo in video e come testo l’intervento di Andrea D’Atri, fondatrice e figura pubblica della corrente femminista socialista internazionale Pan y Rosas, nello speciale #trotsky2020 dedicato all’attualità dell’idee del rivoluzionario russo Lev Trotsky, morto il 21 agosto 1940, 80 anni fa, ucciso dal sicario stalinista Ramon Mercader.

Andrea ci parla in particolare delle prese di posizioni e della lotta politica concreta di Trotsky contro l’oppressione patriarcale e perché le donne siano in prima linea nella lotta contro il capitalismo.

“È vero che nella sfera della vita quotidiana l’egoismo degli uomini non ha limiti. Se vogliamo davvero trasformare le condizioni di vita, dobbiamo imparare a guardarle attraverso gli occhi delle donne”.

Se dovessimo sentire questa frase al di fuori del contesto di questa riflessione che stiamo facendo sul pensiero di Lev Trotsky, sarebbe molto difficile per noi indovinare chi l’ha pronunciata e in quali circostanze. Da un secolo a questa parte, Trotsky ci parla con un secolo di anticipo. Le sue parole ritornano come un’eco nelle mobilitazioni delle donne che hanno attraversato il mondo nell’ultimo 8 marzo, ma anche in quelle dei lavoratori della “prima linea” che hanno sostenuto la riproduzione sociale della vita durante questa pandemia e in quelli che recentemente sono scesi in strada dagli Stati Uniti al Libano…

Per Trotsky, i diritti civili conquistati dalle donne con la rivoluzione russa del 1917 sono qualcosa di elementare, anche se erano addirittura impensabili nelle più avanzate democrazie capitaliste dell’epoca: il diritto di avere una carta d’identità, di votare ed essere votate, di divorziare, di abortire in sicurezza negli ospedali pubblici.

Ma per Trotsky è molto più fondamentale che la rivoluzione socialista crei le condizioni materiali necessarie per la liquidazione del lavoro domestico, perché ritiene, come hanno fatto anche Lenin, Kollontai e altri bolscevichi, che questo lavoro trasformi le donne in “schiave domestiche” e, di fatto, impedisca loro di detenere i diritti all’istruzione, alla partecipazione politica, al lavoro, all’accesso alla cultura, ecc…

Eppure, quando dice che la vita deve essere guardata attraverso gli occhi delle donne, afferma che nemmeno le trasformazioni materiali più radicali risolvono, di per sé, l’oppressione. Che è necessario “un desiderio intimo e individuale (dice) di cultura e di progresso”, per intaccare consapevolmente contro i legami del passato; contro la subordinazione millenaria della donna, così consolidata di diventare impercettibile, naturalizzata e trasformata in abitudini e costumi.

Quando ancora oggi il marxismo viene ridicolizzato – anche da settori femministi che si dichiarano di sinistra o progressisti – dicendo che il marxismo concepisce l’emancipazione delle donne esclusivamente come la loro incorporazione al lavoro produttivo, è bene ricordare queste parole di Trotsky.

La caricatura del socialismo che lo stalinismo ha costruito è diventata, nei decenni successivi, la versione ufficiale del marxismo. La rivoluzione è stata tradita e, con essa, sono venuti meno anche i diritti più avanzati delle donne. Ma ancora peggio: il modello di famiglia patriarcale si è consolidato, mentre la liberazione delle donne è stata rappresentata, appunto, come la partecipazione massiccia delle donne alla produzione. Ma la cosa più perniciosa che lo stalinismo ha fatto non è stata, come ha detto la storica americana Wendy Goldman, l’aver distrutto quella possibilità di un nuovo ordine sociale rivoluzionario. La tragedia è stata che ha continuato a presentarsi come l’autentico erede della visione socialista originaria e che le generazioni successive hanno imparato a chiamare questo “socialismo”, hanno imparato a chiamare questa “liberazione”.

Gli scritti di Trotsky trovano un’eco nel presente dove noi donne costituiamo, per la prima volta nella storia, più del 40% della classe lavoratrice salariata mondiale, e siamo l’immensa maggioranza nel settore più precario, super-sfruttato e oppresso di quella classe, allo stesso tempo continuiamo ad essere oggetto di particolari violenze maschili, di discriminazione e disuguaglianza in tutti gli ambiti della vita.

Ecco perché, non solo nella lotta per i nostri diritti individuali, non solo nella lotta per la sopravvivenza contro gli attacchi mortali alla vita da parte del capitale, ma anche nella lotta per un futuro comunista, ci aspettiamo che le donne siano in prima linea. Perché, lungi da ogni vittimizzazione che ci condanni alla passività, siamo convinte, come scriveva Trotsky quasi cento anni fa, che “coloro che combattono più vigorosamente e costantemente per il nuovo, sono quelli che hanno sofferto di più per il vecchio”.

Nata nel 1967 a Buenos Aires, dove tuttora vive. Laureata in Piscologia alla UBA, specializzata in Studi sulla Donna, ha lavorato come ricercatrice, docente e nel campo della comunicazione. È dirigente del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS). Militante di lungo corso del movimento delle donne, nel 2003 ha fondato la corrente Pan y Rosas in Argentina, che ha una presenza anche in Cile, Brasile, Messico, Bolivia, Uruguay, Perù, Costa Rica, Venezuela, Germania, Spagna, Francia, Italia.
Ha tenuto conferenze e seminari in America Latina ed Europa.
Autrice di "Pan y Rosas", pubblicato e tradotto in più paesi e lingue. Ha curato il volume "Luchadoras. Historias de mujeres que hicieron historia" (2006), pubblicato in Argentina, Brasile, Venezuela e Spagna (2006).