A partire da un’azione repressiva a Gerusalemme est, le forze armate israeliane e la destra sionista hanno risposto con una violenza brutale alle proteste dei palestinesi, in un’escalation ancora senza fine.


Le forze sioniste dello Stato di Israele la scorsa settimana hanno attaccato il quartiere di Shaykh Jarrah, a Gerusalemme Est.

Le azioni sono iniziate dopo che un gruppo di ebrei ultra ortodossi e nazionalisti hanno sfilato per la capitale al grido di ‘a morte gli arabi’.

Gli scontri si sono subito accesi, con centinaia di coraggiosi giovani palestinesi che si sono mobilitati a difesa della loro città.

Seppur nelle fasi iniziali sembrava essere una manifestazione “dal basso” degli ultraortodossi, ben presto si è capito che quello che stava succedendo era un vero e proprio piano governativo israeliano volto ad espropriare alcune abitazioni dei palestinesi nel quartiere di Shaykh Jarrah.

I video dell’incursione all’interno di una delle abitazioni sono terribili: alcuni cittadini israeliani, senza alcuna autorità fanno irruzione protetti dagli sgherri in divisa dello Stato sionista, che minacciano di espropriare e fare propria la casa di una famiglia palestinese.

La reazione palestinese non si è fatta attendere e centinaia di famiglie si sono autorganizzate e hanno respinto colpo su colpo ogni tentativo di incursione all’interno del quartiere da parte di coloni e forze di sicurezza.

La tensione si è poi spostata vicino nella moschea di al-Aqsa, luogo sacro dei musulmani di tutto il mondo, la quale tra venerdì 7 maggio e martedì 11 è stata al centro di ripetuti assalti delle forze di sicurezza israeliane che hanno ferito più di 130 persone inermi tra cui 30 in condizioni gravissime.

Questo conflitto si è evoluto in un attacco su scala nazionale che funge da estremo tentativo del premier Netanyahu di rimanere al potere nonostante l’evidente incapacità di ottenere un voto di maggioranza dopo 4 elezioni parlamentari negli ultimi 3 anni.

Con il pretesto del lancio di alcuni missili attribuibili ad Hamas, Israele ha avviato da lunedì una serie di bombardamenti sulla striscia di Gaza, causando decine di morti, tra cui molti bambini, e molte decine di feriti.

È l’ennesimo atto di pulizia etnica messa in campo dal sionismo che trova sempre una sponda nell’imperialismo occidentale capitanato, in questi ultimi anni, dalla linea supersionista dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dalle posizioni quietiste sulla Palestina della nuova amministrazione Biden, che ancora non ha ritirato l’appoggio ufficiale degli USA al ruolo di Gerusalemme come capitale di Israele in luogo di Tel Aviv.

L’ANP, nemico della lotta di liberazione palestinese

Davanti a ciò nulla può il fantoccio Abu Mazen, capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che, dopo aver svenduto la causa della liberazione dei palestinesi dall’occupazione, si ritrova oggi a fronteggiare una serie di attacchi anche dai palestinesi stessi.

Il 2021 doveva essere l’anno delle elezioni in Palestina, rinviate qualche settimana fa per il veto posto da Israele sull’inclusione della città di Gerusalemme nelle circoscrizioni elettorali: l’Autorità Palestinese, già divisa al suo interno e debole in termini di consensi, ha preso la palla al balzo e fatto saltare le elezioni politiche e presidenziali.

Abu Mazen e la sua cricca possono, per ora, mantenere il potere nelle loro mani insieme ad una manciata di capitalisti palestinesi che hanno trasformato i territori occupati in fortezze securitarie.

Infatti, la collaborazione con Israele in termini di sicurezza e l’incapacità dell’ANP di far fronte alla continua colonizzazione della West Bank, ha portato la stessa Autorità Palestinese a trasformarsi in una burocrazia autoritaria ormai senza alcun consenso all’interno della società.

 

Le radici della violenza sionista di questi giorni

È più che mai chiaro che occupazione israeliana e potere politico palestinese vanno a braccetto e fanno di tutto per smobilitare piazze e resistenza contro la sanguinosa occupazione israeliana con l’obiettivo di rinsaldare la propria coesistenza.

Ci riferiamo a quella borghesia nazionale che con la costituzione dell’Autorità Palestinese ha ingrossato le tasche delle proprie aziende private grazie ad appalti e favoritismi da parte delle istituzioni nate in seno agli accordi di Oslo.

Ad oggi Oslo rappresenta la vera zavorra della questione palestinese: un accordo voluto dalla leadership di Yasser Arafat da una parte, dall’altra dal governo israeliano e dalle principali potenze imperialiste occidentali.

L’obbiettivo era, ed è ancora, quello di mantenere lo status quo e non oltrepassare le linee rosse che i due poteri avevano tracciato. O meglio, permettere a Israele un costante logoramento quotidiano, a bassa intensità, dell’unità territoriale palestinese, basato su violenze dei militari o delle squadracce di coloni sionisti, su espropri di case e terreni, su bombardamenti e embarghi della Striscia di Gaza.

Gli eventi di Shaykh Jarrah, che in questi giorni hanno riportato al centro della scena internazionale la questione palestinese, non sono nient’altro che il risultato di una politica internazionale sciagurata tutta volta alla difesa degli interessi strategici ed economici dell’imperialismo occidentale, appoggiandosi su Israele e permettendo le sue politiche neo-coloniali.

Il tutto condito dalla retorica degli Stati arabi: i primi ad appoggiare fattualmente il progetto di Trump e allo stesso tempo a parlare di un fantomatico diritto palestinese a costituire un proprio Stato – il cui embrione intanto, l’ANP, viene concretamente fatto a pezzi.

Infatti, dallo scorso gennaio la coltellata più dolorosa nella schiena dei palestinesi è arrivata dagli “Stati canaglia” del Golfo (Emirati Arabi e Arabia Saudita) con la complicità dei governi del Marocco, Bahrein e Sudan.

Sono questi i cinque Stati che hanno normalizzato le loro relazioni con il governo sionista in cambio di finanziamenti (come nel caso del Sudan post-Bashir) e appoggi per concessioni territoriali (si veda il Marocco con i territori Saharawi).

In questi giorni le forze di sicurezza israeliane non si sono fermate davanti a donne, bambini e anziani. Le scene di violenza, che in Italia come in gran parte degli stati imperialisti non vengono trasmesse dai media, sono una versione concentrata e coloniale degli attacchi violenti della polizia, delle forze armate, delle squadracce protofasciste che oggi specialmente in America Latina e in Myanmar sopprimono le mobilitazioni della massa della popolazione sfruttata e oppressa.

Non sono rare scene nelle quali, soldati o coloni che siano, aggrediscono in gruppi di dieci singoli cittadini palestinesi disarmati.

È fondamentale che il movimento operaio e la sinistra si schierino dalla parte delle classi subalterne palestinesi, due volte vittime dell’Autorità Palestinese e dell’occupazione israeliana.

Oggi più che mai bisogna appoggiare la lotta delle organizzazioni popolari, indipendenti dalle burocrazie delle fazioni e vicine ai bisogni dei palestinesi. Anche “dall’altra parte del muro”, tra la popolazione israeliana, perché nelle organizzazioni operaie e nella sinistra si affermino concretamente uno spirito e un’azione di solidarietà e unità coi palestinesi, rigettando la contrapposizione etnico-religiosa.

L’ipotesi, fallita ancora prima di avere un seguito pratico, dei ‘due stati-due popoli’ si è dimostrata un progetto calato dall’alto e senza alcun vantaggio per la popolazione palestinese: o il sionismo coloniale di Israele, o l’emancipazione del popolo palestinese e l’unità della Palestina!

Mat Farouq

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