Più di mille persone, tra attivist*, militant*, lavoratori e lavoratrici hanno risposto alla chiamata del CALP di Genova e dei Giovani Palestinesi, mettendo in piedi una giornata di blocco dei varchi merci e passeggeri per mettere in luce il ruolo della logistica navale nel traffico internazionale di armi.
Un’altra giornata di blocco dei varchi navali al porto di Genova, questo 25 di giugno. Fin dalle prime ore del mattino, sotto il cattivo auspicio del maltempo, centinaia di lavoratori e solidali hanno preso posizione in presidio al varco di San Benigno per esprimere la propria vicinanza e solidarietà attiva con il popolo palestinese. Da Genova, il CALP ricorda che da mesi partono importanti spedizioni di armi, e tra le loro destinazioni figura Israele, che continua a firmare importanti accordi con il nostro paese per supportare il suo massiccio apparato bellico e securitario.
Il CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) è stato al centro di altre azioni di questo tipo, volte al blocco dell’invio di armi in Arabia Saudita ed in Turchia, contro ogni collaborazione tra il comparto lavorativo ed il massacro dei popoli oppressi, il che lo ha posto, come forza operaia, più di una volta in prima linea al fianco dell* student* che hanno animato il movimento di solidarietà con la Palestina in Italia. Infatti, dall’inizio della giornata di mobilitazione, sono cominciati ad arrivare i pullman da varie città, carichi di attivist* che hanno animato la campagna universitaria delle accampate per la Palestina di questa primavera. Il blocco è stato in grado di andare oltre la sua funzione simbolica, paralizzando la città e causando gravi interruzioni nella circolazione navale nelle acque circostanti. Il presidio, cominciato al varco San Benigno, si è esteso ad Albertazzi, Etiopia e Lungomare Canepa, e centinaia di persone hanno attraversato in corteo selvaggio i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, portando la rabbia contro l’escalation militare anche sotto le sedi di Leonardo, la quale è stata a sua volta sanzionata. Lungo il percorso del corteo l* compagn* hanno incontrato il saluto e l’applauso di abitanti dei quartieri operai di Genova dai lati delle strade e dalle finestre, a segno di una causa sentita anche oltre i recinti tradizionali di movimento e in grado di suscitare sdegno attraverso tutti i settori dell* oppress* che abitano le nostre città.
“La guerra comincia da qui”, ha affermato un rappresentante dei portuali, più volte, lungo il corso della giornata: la filiera mortale che rende possibili gli eccidi di cui siamo stat* testimoni per tutti questi anni non sarebbero possibili senza l’integrazione di tutta la filiera produttiva entro i progetti imperialisti dei nostri governi in occidente, vitali per la manutenzione dei profitti di veri e propri signori della guerra, tratti dai vari teatri in cui si consuma la carneficina senza fine dell’imperialismo. C’è però pure la questione del “fronte interno”, della repressione contro coloro che si pongono di traverso a questi piani di riassetto di interi settori dell’economia. La presenza delle forze di polizia è riuscita ad evitare il blocco completo di tutti i varchi e terminal, e l’attività degli agenti ha portato all’identificazione di moltissime compagn*non italian*, in un atto deliberatamente segregativo e intimidatorio.
Di più, abbiamo visto in questi due anni l’atteggiamento del governo nei confronti del diritto di sciopero: l’arma delle precettazioni, impugnata a più riprese e in diverse lotte in settori strategici, come quello delle ferrovie, dal ministro Salvini, è un segno evidente dell’atteggiamento che vuole tenere l’esecutivo nei confronti di coloro che, nei propri luoghi di lavoro, tentano attraverso il loro legittimo diritto di fermare l’attività lavorativa di sollevare istanze di miglioramento sociale e rivendicare lavoro degno, sicuro e non imbrattato di sangue.
Per questo è necessario che il movimento si armi di strutture coordinate tra tutte le realtà che lo compongono per fare recinto attorno alle soggettività più vulnerabili che lo animano e senza le quali non sarebbe possibile immaginare un potenziale di ribaltamento reale dei rapporti di forza nei luoghi della produzione e della riproduzione sociale, dai porti, alle fabbriche alle università. Rinsaldare la solidarietà internazionalista con i popoli del mondo che resistono alla propria oppressione e cancellazione fisica e culturale va di pari passo con pensare a come rendere più efficace la solidarietà “interna” tra quell* oppress* e sfruttat* che in prima persona pagano il costo delle politiche del governo Meloni (e che per anni hanno pagato quelle dei governi precedenti).
A conti fatti, il blocco di ieri è stata una importante occasione di convergenza operaia e studentesca, a cui hanno partecipato operai ed operaie dell’USB e del SI Cobas, così come le organizzazioni del movimento studentesco e delle Giovani Palestinesi d’Italia. Se, ancora, il perimetro di movimento non si è ancora allargato nella maniera sostanziale che tutt* auspichiamo* e verso cui lavoriamo, esempi di questo tipo ci servono per pensare ad azioni future e al loro potenziale: l’esempio dello sciopero del 23 febbraio ci deve servire come punto di partenza, per inserire momenti come ieri in un percorso strategico coerente, centrato sulla prospettiva politica della fine dell’escalation bellica. Questa può avvenire se effettivamente si inceppa tutta l’infrastruttura che la rende possibile, così come la collaborazione tra porti e infrastrutture di tutto il paese con aziende militari (come possiamo osservare nel caso del porto di Genova ma anche di RFI, che tiene le redini delle ferrovie, e che ha da poco suggellato un accordo importantissimo con Leonardo sulla creazione di progetti di mobilità militare su scala continentale), fino alla negazione sistematica del diritto di sciopero e della possibilità di contrattazione e agitazione collettiva, di cui è paladino il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. In quest’ottica, saranno fondamentali le date dello sciopero dei porti e quello dei manutentori, entrambi tra le prime giornate di Luglio. Si tratta di date importanti, ma per il momento i confederali sembrano intenzionati a mettere la competizione tra di loro di fronte ai bisogni reali dei lavoratori: sciopereranno CGIL e CISL in alcune date, e la UIL in altre, tutte scollegate con le attivazioni dei sindacati di base e dell’Assemblea dei Manutentori RFI. Questo tipo di competizione rischia di rimuovere efficacia che sarebbe vitale a questo punto del percorso di attivazione su questioni centrali e di estremo rilievo nel momento storico in cui viviamo, prima tra le quali quella della sicurezza sul lavoro. Lo stimolo soggettivo che deve partire dal movimento è quello di costruire attivamente legami con questi lavoratori e queste lavoratrici, per unire le loro rivendicazioni e le loro forze a questo percorso che già include il sindacalismo di base e strutture come i CALP: anche in queste occasioni, l* student* devono scendere compattamente in strada e in piazza a fianco dell* lavorator*, continuando a rivendicare una trasformazione sostanziale del modo in cui si produce e si lavora in Italia, consolidando i legami esistenti e creandone di nuovi, per costruire un’opposizione al governo imperialista di Meloni che parta dalle lotte dal basso e dalle condizioni reali di coloro che stanno al centro dei processi produttivi che fanno andare avanti l’apparato economico italiano, e che quindi hanno maggiore possibilità a sabotarlo, prenderne il controllo, e riconvertirlo in un sistema in grado di servire gli interessi della stragrande maggioranza delle persone, e non di un pugno di sfruttatori complici di genocidio.
Luca Gieri
Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.