Riceviamo e pubblichiamo il contributo di una compagna sarda sull’esercitazione militare NATO “Joint Star”, che si tiene dal 2017 sull’isola. L’articolo si concentra su di un’iniziativa, Joint Star for Charity, che, con il supporto di alcune delle aziende più importanti nell’industria bellica italiana, intende fare leva sui bisogni immediati delle fasce più esposte a rischio della popolazione sarda, collegando l’apparato militare-industriale a raccolte fondi per strumentazioni necessarie per la rilevazione e la cura di tumori pediatrici. Lo facciamo all’indomani di una manifestazione indetta dalle realtà anti-militariste sarde che rivendicano il boicottaggio di iniziative del genere, e la cui mobilitazione ha incontrato la violenza repressiva statale.
Come Voce delle Lotte e Frazione Internazionalista Rivoluzionaria, ci schieriamo in solidarietà con le compagne sarde, e rilanciamo quanto abbiamo detto sull’economia di guerra e sulla traiettoria politica del governo Meloni: la sovrapposizione tra economia militare e civile, rilevata anche nel corso dell’articolo, indica che strumenti come il boicottaggio delle iniziative cooptative di stampo militare possono diventare trasformativi quando inseriti in un piano di lotta che ambisca a costruire una mobilitazione centrata sulla classe lavoratrice, la quale è collocata negli snodi strategici dei processi produttivi. Tale centratura è necessaria per il coinvolgimento di quelle categorie, come i precari, i disoccupati (il 10% della popolazione in Sardegna) e coloro impiegatx nel cosiddetto “lavoro grigio”, che hanno maggiore interesse in una trasformazione sociale che ne raccolga le istanze e le ambizioni, ma che oggi sono più vulnerabili a rischi di cooptazione all’interno di strutture economico-militari per le proprie condizioni di vita precarie.
Di più, le compagne sarde, storicamente isolate da un punto di vista geografico quanto politico, avrebbero da beneficiare da un movimento anti imperialista ed indipendente, che sia attivo sulla penisola quanto nel resto del continente europeo, e le loro istanze, le loro necessità, devono diventare organiche nella costruzione di una strategia di trasformazione rivoluzionaria della società, di modo da non restare ai margini di processi di cambiamento i quali, per la funzione giocata dall’isola nel contesto mediterraneo, le investono appieno.
Il 10 e l’11 maggio diverse aziende, tra cui la Leonardo, Amazon, Terna, RWM Italia, con il patrocinio della regione Sardegna e del comune di Cagliari, hanno organizzato un’iniziativa disgustosamente propagandistica. Due giorni di spettacoli, distribuzione di doni, cibo e screening medici gratuiti per bambini all’ospedale Broztu, uno degli unici ospedali funzionanti di tutta l’isola, nella Nave Trieste dell’esercito italiano, un gioiellino costato un miliardo e duecento milioni di euro allo Stato, e sul molo Ichnusa, bersaglio da decenni delle esercitazioni militari NATO. L’iniziativa fa parte di un progetto di beneficenza più ampio denominato Joint Stars for Charity. L’obiettivo della raccolta fondi è l’acquisto di due posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva pediatrica per l’ospedale Brotzu di Cagliari. Solo due letti ospedalieri non sono nulla davanti a una crisi della sanità pubblica che non farà altro che peggiorare in tutto il continente grazie ai progetti di riarmo europeo. Questa iniziativa di stampo meramente propagandistico è riconducibile a una dinamica più ampia che mira all’accettazione delle politiche belliciste da parte delle classi oppresse attraverso l’associazione di industria militare e servizi essenziali.
Il warwashing che ha avuto luogo in queste giornate è stato contestato dalle realtà che militano sul territorio, le quali hanno pubblicato un comunicato congiunto contro l’iniziativa, e proposto una contro-manifestazione tenutasi il 10 maggio alle 16, una delle manifestazioni antimilitariste più partecipate degli ultimi anni nell’isola, che ha ricevuto in risposta una serie di cariche da parte dei corpi di polizia e un ferito tra i manifestanti. Nel comunicato, le realtà antimilitariste hanno sottolineato come un’iniziativa del genere fosse finalizzata a presentare un’immagine idilliaca delle forze armate e istituzioni statali, facendo leva sui bisogni delle classi subalterne in un contesto di crisi economica dilagante accompagnato da un quasi totale abbandono da parte dello Stato della sanità pubblica. La Nave Trieste offrirà due giorni di screening medici gratuiti ai bambini in una regione in cui questi servizi essenziali vengono costantemente negati, e l’accesso alle cure mediche è reso ancora più difficoltoso dalla carenza infrastrutturale del territorio. In altre parole, Joint Star for Charity offrirà due giorni di cure gratuite in risposta ad anni di crollo del sistema sanitario. La loro carità non è solo riprovevole propaganda, ma è anche inutile.
Ma chi sono gli sponsor? Analizzando i finanziatori dell’aberrante iniziativa, si può vedere il volto della devastazione ambientale in Sardegna. In prima fila, la Leonardo, azienda partecipata dallo Stato, con il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano che possiede il 30,2% delle azioni, produttrice di armi, che negli ultimi mesi ha ricevuto un aumento del prezzo delle azioni in risposta ai piani di riarmo in Europa. Tra i presenti eccellenti non manca la Terna Driving Energy, che attualmente ha in carico l’installazione di un doppio collegamento sottomarino tra Sardegna, Sicilia e penisola italiana lungo 970km e con una potenza di mille MW, che trasporterà l’energia prodotta in Sardegna verso la penisola. Il progetto, denominato Tyrrhenian Link, servirà per trasportare l’energia prodotta dall’esorbitante numero di pale eoliche e impianti fotovoltaici in progetto per l’isola, che produrrebbero molto più del fabbisogno energetico necessario alla regione. Il piano di installazione degli impianti, tuttavia, prevede la costruzione in aree naturali protette, o in cui è accertata la presenza di specie animali protette, aree a pericolosità da frana ed idraulica alta, e aree in cui sono presenti siti archeologici riconducibili alla Civiltà Prenuragica e Nuragica, dal 4500 a.C. al III secolo a.C, rappresentando un pericolo per l’ambiente quanto per il patrimonio culturale del territorio. Un’altra multinazionale bellica pronta a sponsorizzare l’iniziativa “benefica” è l’azienda tedesca RWM Italia Spa, che da dieci anni produce bombe e munizioni di ogni calibro nel sud dell’isola, a Domusnovas, in una fabbrica sotterranea di 80 ettari, per poi esportare i suoi prodotti in tutto il mondo. Ogni settimana sforna centinaia di ordigni, tenuta aperta con il benestare dei sindacati confederati e dalle istituzioni locali, che vedono nel centinaio di posti di lavoro che l’azienda offre un compromesso equo per i danni ecologici che la produzione di una quantità tale di ordigni comporta. Promettere una manciata di posti di lavoro alla popolazione locale, devastata da crisi economica e dall’alto tasso di disoccupazione come quella sarda, è una strategia che risulta efficace nel generare il consenso necessario a permettere alle multinazionali di devastare l’ambiente e sfruttare la manodopera locale a basso costo. Una strategia che passa anche da queste basse mosse propagandistiche, a cui purtroppo è facile credere nel momento in cui la posizione di vulnerabilità della classe operaia non lascia scelta se non accettare il “compromesso” dello sfruttamento territoriale e lavorativo. Tra gli sponsor ci sono anche dei volti noti, come Amazon, Barilla, UniCredit e altri colossi imprenditoriali che traggono profitto dallo sfruttamento del territorio e della classe operaia.
L’operazione Joint Star di quest’anno si è aperta proprio con l’arrivo della Nave Trieste al porto di Cagliari l’8 maggio. Joint Star for Charity non è la prima iniziativa propagandistica ‘primaverile’ a cui assistiamo: ogni primavera in Sardegna ricominciano le esercitazioni militari, sotto vari nomi, ma principalmente Mare Aperto e Joint Star. Negli anni, le coste della Sardegna sono state il terreno di prova di qualsiasi dispositivo, bomba, missile che il governo italiano e la NATO avessero sottomano. Queste operazioni vanno avanti da poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando la Sardegna è diventata ufficialmente uno dei mille parchi giochi della NATO, la US Navy e l’esercito italiano nel mondo. L’isola ospita il 66% delle basi italiane, ed è solo una regione. Una regione lontana dagli occhi del resto d’Italia, e lo dimostra il fatto che ogni anno le esercitazioni militari sul territorio vengono monitorate e descritte dalla stampa locale, mentre quella nazionale le ignora completamente. L’isolamento, letterale quanto metaforico, delle esercitazioni militari dello Stato italiano e dei suoi alleati istituzionali, e delle conseguenze che esse causano, allontana il resto degli italiani dalla consapevolezza della devastazione che la guerra e la preparazione ad essa causano. In questo modo, rimane solo il popolo sardo ad essere a conoscenza di questa violenza militare, il che spiega la necessità di queste basse campagne propagandistiche per mitigare dissenso e malcontento.
Dopo 70 anni di esercitazioni, il Comando militare ha presentato richiesta per la prima valutazione dell’impatto ambientale delle esercitazioni solo nel febbraio di quest’anno. La richiesta altro non era che un’operazione di greenwashing funzionale alla continuazione indisturbata delle esercitazioni, con qualche mitigazione che non avrebbe mai risanato il disastro ambientale creato nei decenni. Ma, d’altronde, come quantificare i danni di quasi un secolo di devastazione ambientale? Chi ci restituirà le foche monache? Chi ridarà vita alle specie animali e vegetali estinte durante questi anni? I danni sono inquantificabili, e non faranno altro che aumentare anno dopo anno, esercitazione dopo esercitazione, sempre che ci si fermi alle mere esercitazioni. Non si può piangere sul latte versato, ci si può solo organizzare contro la macchina di distruzione bellica. Questa organizzazione non può e non deve avere luogo solo sull’isola, perché è un problema che ci riguarda tutti. L’Unione Europea stanzierà un quantitativo esorbitante di fondi per l’industria bellica, utilizzando lo spauracchio della Russia come giustificante, mentre la qualità della vita delle classi subalterne in tutto il continente europeo si abbasserà, con sempre meno possibilità di accesso ai servizi pubblici, e sempre meno fondi soprattutto per quelli sanitari.
L’operazione Joint Star di quest’anno non è come quelle che abbiamo visto negli ultimi anni: la quantità di armamenti a disposizione da testare è largamente maggiore, e lo sarà ogni anno di più grazie ai fondi europei che verranno destinati all’industria bellica. Ci troviamo davanti a una svolta storica da non lasciare correre. L’Unione Europea è sempre stata una forza militarista e con smanie imperialistiche, condivise con l’alleato americano, ma il riarmo europeo cambierà le nostre vite quotidiane. Un’iniziativa come quella del 10 e dell’11 maggio è un’azione propagandistica che cominceremo a vedere sempre di più, perché se la nostra qualità della vita peggiora ci sarà sempre più necessità di convincerci della legittimità della loro militarizzazione e della loro violenza, e quando la propaganda non basterà, come non è bastata per molti di noi che negli ultimi mesi hanno espresso il loro dissenso contro il riarmo nelle piazze di tutto il continente, daranno spinta alla loro forza repressiva.
Opporsi al riarmo europeo passa dal boicottaggio di ogni esercitazione, ogni esportazione di armamenti, e ogni iniziativa propagandistica del mostro militare europeo che attraversa i nostri territori. Una lotta congiunta contro il riarmo è possibile, perché le manifestazioni delle forze imperialistiche che profittano dalla guerra, dal genocidio, e dalla compravendita di armi sono ovunque: quello che sta succedendo in Sardegna è insito in dinamiche globali di sfruttamento, e per questo motivo non è una situazione contingentata alla regione, ma un problema su scala mondiale, o almeno continentale, che mostra i suoi sintomi peggiori in luoghi isolati e abbandonati dalle istituzioni. Lo smantellamento totale o quasi totali dei servizi essenziali, causato dall’aumento delle spese militari, arriverà anche nel resto del continente europeo, ed è per questo che bisogna essere vigli contro la propaganda militarista e imperialista atta a legittimare questo processo, ed è proprio da parte dei soggetti a cui questa propaganda è rivolta che la lotta deve partire. La classe lavoratrice, l* disoccupat* e l* precari* che avrebbero bisogno dello screening pediatrico gratuito, non solo devono boicottare un’iniziativa come quella della Nave Trieste, nonostante la loro condizione di vulnerabilità, perché significa opporsi alla violenza delle istituzioni, ma devono anche essere protagonisti di una mobilitazione ampia che non può svilupparsi positivamente se non cercando legami con il resto del Paese. D’altro canto, l* oppress* in Sardegna non possono fare a meno di un movimento su scala nazionale, in grado di rompere il loro storico recinto d’isolamento e, assieme, portare la lotta contro il riarmo e la mattanza sociale direttamente alle porte di Meloni e Von der Leyen.
Chiara Caria
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