Il 22 maggio i vertici delle confederazioni dei trasporti di CGIL, CISL, UIL e UGL, insieme ai sindacati autonomi ORSA e FAST, hanno firmato un contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) attività ferroviarie al ribasso, dopo aver boicottato per oltre un anno gli scioperi sostenuti dai sindacati di base e dalle assemblee auto-organizzate di manutentori, macchinisti e addetti alla circolazione. Il successo dello sciopero promosso dalla maggior parte di queste realtà il 23 maggio è un primo passo verso una forte campagna per il NO all’ipotesi di CCNL. Ma per vincere è necessario rafforzare il coordinamento e l’unità dei ferrovieri. La vertenza nelle ferrovie avviene in un comparto strategico che si mobilita dal basso per aumenti stipendiali e riduzioni di orario: non a caso i ferrovieri sono repressi dal governo con la legislazione anti-sciopero. Per questo, la loro lotta parla a tutta la classe lavoratrice, insieme a chi si oppone a riarmo e militarizzazione targate Meloni e Von der Leyen. 


Da oltre un anno e mezzo, i lavoratori delle ferrovie sono in lotta contro accordi peggiorativi, come quello del 10 gennaio 2024 ai danni dei manutentori, e per il rinnovo del contratto nazionale di settore. Il personale di macchina (PdM) e di bordo (PdB) – auto-organizzato in un’assemblea nazionale che riunisce lavoratori a prescindere dalla tessera sindacale – ha infatti redatto democraticamente una piattaforma centrata su forti aumenti salariali a recupero dell’inflazione, riduzione dell’orario di lavoro e aumento dei riposi. Simili le rivendicazioni dei lavoratori della circolazione. La mobilitazione ha visto sin dall’inizio l’aperta ostilità delle burocrazie sindacali confederali (FILT-CIGL, FIT-CISL, UIL Trasporti e UGL Ferrovieri) e dei sindacati ferroviari ‘autonomi’ (FAST e ORSA), nonostante migliaia di iscritti a queste organizzazioni partecipino alle assemblee auto-organizzate e abbiano contribuito all’elevatissima adesione agli scioperi.

Dopo aver lanciato un solo sciopero lo scorso 6 maggio – a fronte dei 13 auto-organizzati e sostenuti dai sindacati di base (USB, CUB, SGB, COBAS e CUB) da gennaio 2024 in poi  – questo 22 maggio i vertici confederali e autonomi si sono seduti ai tavoli con Ferrovie dello Stato per firmare un rinnovo del CCNL scaduto nel 2023. Non sorprende che nel documento le aspirazioni dei lavoratori siano state del tutto disattese. 

 

I termini dell’accordo bidone tra Ferrovie dello Stato, vertici confederali e autonomi.

Diffondendo la notizia di una nuova ipotesi contrattuale, i vertici sindacali autonomi e confederali esultano per la conquista di aumenti oltre il 18% sui minimi tabellari, chiesti anche dalle assemblee dal basso e dai sindacati di base come cifra necessaria per recuperare la perdita del potere d’acquisto subita dal 2021 ad oggi e non assorbita dagli aumenti contrattuali del 2023. In effetti, la nuova ipotesi di CCNL delle attività ferroviarie configura un aumento di 230 euro sul minimo mensile del 2023. Questa cifra, aggiunta agli adeguamenti salariali già ottenuti dopo il 2021, sembra quindi assorbire l’inflazione cumulata dell’ultimo quadriennio.

Messaggio fatto circolare su Whatsapp dalla FILT-CGIL dopo la firma del contratto

 

Tuttavia, il +230 verrà raggiunto solo nel 2026, mentre tra giugno e novembre 2025 l’aumento sarà pari a soli 120 euro, a cui si aggiungeranno altre tranche da 60 e 50 euro a giugno 2026 e a novembre del 2026, rispettivamente. Quindi, l’eventuale recupero dell’inflazione avverrà solo tra un anno e mezzo, quando si dovranno scontare nuovi aumenti dei prezzi. Questo, in una situazione di tensioni geopolitiche crescenti e riorganizzazione delle catene del valore che minaccia nuove spirali inflattive. Inoltre, si tratta di 230 euro lordi. Così, tenendo conto delle tasse, l’aumento è ben inferiore al dato sulla perdita del potere d’acquisto degli ultimi 4 anni. 

Certo, le tasse dei lavoratori vanno in pensioni, scuola e sanità. I tagli dell’ultimo decennio e quelli che ci aspettano per finanziare il riarmo hanno però fortemente deteriorato questo ‘salario indiretto’. Tale processo è del resto assecondato dall’impostazione della nuova ipotesi contrattuale, che legittima la distruzione della sanità pubblica aumentando il peso del welfare aziendale. In generale, l’obiettivo di tenere bassi i minimi tabellari è quello di aumentare la produttività a scapito di sicurezza e salute dei lavoratori, rendendoli sempre più dipendenti dal salario accessorio, legato ad attività lavorative straordinarie (trasferte, chiamate notturne ecc., prestazioni molto diverse da un sotto-settore all’altro). Anche gli aumenti alle parti non fisse del salario vedono però incrementi irrisori, come denuncia l’assemblea PdM e PdB, che chiedeva aumenti del 50% a queste voci.

Post Instagram di Assemblea PdM-PdB a denuncia dell’ipotesi di CCNL attività ferroviarie firmato da vertici confederali e autonomi.

 

Dopo l’accordo del 10 gennaio che impone una turnazione peggiorativa ai manutentori, i vertici CGIL, CISL, UIL, UGL e ORSA  firmano un documento che non solo è al ribasso sulla parte economica, ma rigetta le rivendicazioni normative più importanti delle mobilitazioni che si sono date nell’ultimo anno e mezzo. Nell’ipotesi di contratto non vi è infatti nessuna riduzione dell’orario di lavoro a 36 ore, come chiesto dai lavoratori della circolazione, dai macchinisti e dal personale di bordo. L’assemblea Pdm-Pdb e alcune assemblee dal basso dei lavoratori della circolazione denunciano inoltre che il nuovo CCNL è ancora molto lontano dal garantire un riposo medio di 11 ore tra un turno e l’altro. Non solo nel documento rimangono i turni massacranti, ma viene eliminato l’obbligo del secondo macchinista nelle ore notturne. Una vera e propria beffa visto che, nell’ottica di garantire la massima sicurezza per lavoratori e utenti, i macchinisti rivendicano da tempo la re-introduzione del secondo agente su tutti i turni lavorativi. 

 

Rafforzare l’auto-organizzazione e l’unità dei lavoratori delle ferrovie per il NO al CCNL bidone


La firma del contratto bidone è caduta proprio un giorno prima dello sciopero del 23 maggio chiamato qualche settimana fa dalle assemblee auto-organizzate dei lavoratori e dai sindacati di base. In questo modo,
lo sciopero è diventato un primo, forte segnale di protesta contro la manovra dei vertici sindacali confederali e autonomi. In particolare tra i lavoratori della circolazione, i macchinisti e il personale di bordo, le adesioni sono state molto elevate, con il risultato di paralizzare gran parte del trasporto ferroviario. Il contesto è quindi molto positivo per costruire una campagna contro il nuovo contratto, che nelle prossime settimane verrà messo al vaglio di un referendum dei lavoratori.

La situazione è in parte simile a quella nel Trasporto Pubblico Locale – TPL e nei porti, dove, in barba a un lungo percorso di mobilitazione, i burocrati CGIL-FILT, CISL-FIT ecc. sono riuscite a far ingoiare CCNL molto distanti dalle richieste dei lavoratori su salari e orari. La differenza nelle ferrovie è che la mobilitazione è avvenuta in maniera indipendente dai vertici confederali, mentre esiste un piano di rivendicazioni alternativo a quello del testo del 22 maggio. 

Tuttavia, vi sono ancora importanti divisioni da superare per costruire una campagna efficace per il NO. Ad esempio, pur avendo condotto una forte battaglia contro i turni peggiorativi, il gruppo di referenti emerso dall’Assemblea Nazionale Lavoratori della Manutenzione (ANLM) ha rifiutato negli scorsi mesi di collegare la lotta contro l’accordo del 10 gennaio 2024 a quella per il rinnovo contrattuale, quindi alle richieste di significativi aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro portate avanti dagli altri sotto-settori in lotta. 

Questo fa oggi sì che i lavoratori della manutenzione dovranno esprimersi su un tema centrale che riguarda tutti i ferrovieri, quello del CCNL, rispetto al quale non hanno sviluppato una loro piattaforma. Non è però troppo tardi per unire i lavoratori della manutenzione al personale circolazione, macchinisti e personale di bordo, in una grande campagna contro il contratto bidone firmato da vertici confederali e autonomi. Il rischio dell’eventuale successo del SÌ al nuovo contratto non è solo favorire una vittoria di questi soggetti, ma che questo allarghi ulteriormente le diffidenze corporative tra lavoratori dei diversi sotto-settori di ferrovieri, su cui azienda e burocrati sindacali giocano da sempre per preservare il loro potere. 

Inoltre, finora le assemblee auto-organizzate dei lavoratori della circolazione hanno avuto come linea quella di mantenere un profilo basso sul piano organizzativo e comunicativo, e fare pressione sui vertici confederali, affinché adottassero le loro parole d’ordine, pur partecipando convintamente agli scioperi dei sindacati di base, insieme all’assemblea Pdm e Pdb. Auspichiamo un approfondimento del coordinamento tra le assemblee della circolazione e quelle degli altri sotto-settori contro il NO all’ipotesi di CCNL del 22 maggio. Solo con l’unità, in grado di massimizzare la visibilità e l’efficacia di un’alternativa dal basso al contratto bidone, sarà possibile vincere.

 

Estendere la solidarietà ai ferrovieri: una lotta chiave contro bassi salari, governo e militarizzazione

Fuori dai binari e dalle stazioni, la vittoria della lotta in Ferrovia è della massima importanza per chiunque voglia costruire un’opposizione al modello di bassi salari imposto da Confindustria e dal governo Meloni – in linea, a dire il vero, con gli esecutivi degli ultimi 30 anni, in cui l’Italia è stato l’unico paese europeo dove le retribuzioni reali si sono ridotte, al contrario di ritmi e orari di lavoro. L’auto-organizzazione dei ferrovieri, inoltre, mostra come possa esistere un’alternativa alla passività dei vertici burocratici dei grandi sindacati, che hanno accettato quasi senza colpo ferire tutti gli attacchi subiti dai lavoratori, per lo meno dal 2011 in poi (riforma Fornero, Jobs Act ecc.)


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Non è un caso allora che la mobilitazione dei ferrovieri abbia subito un’intensa repressione, sotto forma di un esercizio incontrollato da parte del governo della legislazione anti-sciopero. In alcune occasioni i ferrovieri sono riusciti a disobbedire ai divieti, ma il rischio di sanzione è gravoso: per vincere, la lotta ha bisogno di un sostegno che vada al di là delle ferrovie. In questo senso, un primo passo può essere contribuire alla cassa di resistenza. Va però fatto un ragionamento più ampio da parte dei settori di giovani e studenti che si sono mobilitati per la Palestina e contro la militarizzazione della società: sostenere l’auto-organizzazione dei ferrovieri e coordinare una campagna per l’abolizione della legge anti-sciopero 146/1990 al contrasto al decreto sicurezza sarebbe fondamentale per coinvolgere un settore strategico della classe lavoratrice nella lotta contro le politiche repressive e di riarmo targate Meloni-Von der Leyen.

Roberto Marchese

Lorenzo Lodi

 

Roberto Marchese

Nato a Prato nel 1996, ferroviere e studente di filosofia all'università di Firenze. Collabora con La Voce Delle Lotte approfondendo sul campo le dinamiche sindacali e le lotte dei lavoratori

Nato a Brescia nel 1991, ha studiato Relazioni Internazionali a Milano e Bologna. Studioso di filosofia, economia politica e processi sociali in Africa e Medio Oriente.