Più di 100.000 persone a Roma; occupate ingresso e uscita dell’autostrada A1 a Firenze (più di 10.000 persone) e a Bologna (50.000). Bloccati i porti di Genova e di Venezia, con cariche violente che non hanno sciolto i cortei ed i presidi. Questo è il momento per rilanciare uno sciopero generale unitario contro la guerra imperialista ed il genocidio!
Meno male che sarebbe dovuta essere una giornata poco partecipata, caro Matteo Salvini: per quanto ci si ostini a seppellire il problema, la resistenza del popolo palestinese, e l’ondata di solidarietà internazionale che ha generato, continuano ad essere all’ordine del giorno grazie ad una mobilitazione che ha portato nelle strade di tutto il paese centinaia di migliaia di persone. Lo sciopero generale per Gaza, indetto dall’Unione Sindacale di Base, in concomitanza con la giornata internazionale di attivazione chiamata dalle realtà internazionali del movimento di solidarietà con la Palestina, è stato, a livello di massa critica, un successo senza precedenti negli ultimi due anni. A livello di adesioni, l’USB riporta che il 90% dei lavoratori del trasporto pubblico ed il 50% del personale ferroviario hanno aderito alla chiamata di sciopero (come ricordato da Francesco Staccioli, membro della direzione del sindacato, in un’intervista rilasciata al Domani): un segnale importante sulla base del quale costruire le prossime tappe della mobilitazione, che ancora non basta per raggiungere il rapporto di forze di cui abbiamo bisogno per paralizzare gli anelli della catena di montaggio bellica che si trovano in Italia.
Tuttavia, ora, si apre una nuova fase per un movimento di solidarietà che, pur riuscendo a restare al centro del dibattito pubblico da quando si è aperta l’offensiva genocidiaria di Israele nel 2023, ha faticato ad estendere il suo perimetro di riferimento nei settori operai più massicci e strategici: l’iniziativa del blocco dei porti di Salerno, Venezia, e soprattutto Genova, sotto la spinta del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), affiliati ad USB, ha prodotto, in concomitanza con la partenza della Global Sumud Flotilla, una sensazione generalizzata di speranza e di fiducia nelle possibilità che una mobilitazione realmente unitaria di studenti, lavoratori e oppressx, centrata sulla forza strategica della classe lavoratrice possa non solo fermare il massacro perpetrato quotidianamente dallo Stato d’Israele, ma anche ripensare il ruolo delle masse popolari di questo paese nel decidere le sorti del sistema che ha prodotto questa situazione, e che ha collocato l’Italia nel campo dell’imperialismo occidentale.
Piazze piene a Bologna, dove un corteo di oltre 50.000 persone, afferenti dal mondo del sindacalismo di base, dei movimenti studenteschi che con costanza hanno sollevato la bandiera della Palestina in ogni istante di questi anni, dei collettivi di precari, come nel caso degli insegnanti combattivi del corso TFA UNIBO in lotta da un anno contro le nuove indicazioni nazionali e le politiche del governo sull’istruzione, dell’associazionismo e dei movimenti sociali degli oppressi e delle oppresse hanno paralizzato la città e hanno occupato la tangenziale e l’ingresso dell’autostrada A1 per più di un’ora, prima di fronteggiare la repressione esercitata dalle forze di polizia presenti sul luogo, che hanno fatto uso di idranti, lacrimogeni e cariche per fermare otto compagne e sgomberare l’asfalto per il passaggio dei mezzi su gomma. Piazze, perché, mentre la centralissima via Rizzoli straripava di persone, anche sotto i famosi portici della città, le piazze adiacenti, quella del Nettuno e Piazza Maggiore, erano simultaneamente gremite di gente. Una giornata storica, in questo senso, con un corteo rivaleggiato in presenze soltanto dalla mobilitazione transfemminista in reazione al femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuta pochi giorni prima dell’imponente manifestazione romana del 25 novembre 2024. Tra le persone presenti, chi ha partecipato all’Onda e alle proteste contro la riforma Gelmini ha riportato alla luce immagini di quegli anni, l’ultimo movimento studentesco di massa che ha attraversato l’Italia e che ha sfidato apertamente il governo Berlusconi.
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A Firenze, il corteo lanciato da USB, da varie realtà di movimento e organizzazioni palestinesi a Calenzano ha bloccato la seconda estremità dell’A1, dove più di 10.000 manifestanti hanno fermato ogni ingresso ed ogni uscita per ore prima di spostarsi verso la sede di Leonardo, l’azienda che, forse più di ogni altra nel comparto industriale italiano, è stata elevata a simbolo del collaborazionismo criminale tra il nostro paese e lo Stato d’Israele. In migliaia a Genova e decine di migliaia a Venezia, dove sono stati bloccati i terminal dei porti prima che intervenisse, anche qui, la polizia per disperdere le compagne. 30.000 persone a Torino, dove sono stati bloccati i binari della stazione di Porta Nuova, in maniera simile a quanto aveva fatto un corteo bolognese nel 2024, catturando l’attenzione di media nazionali ed internazionali (i quali, attraverso agenzie di stampa, giornali e telegiornali, assieme all’apparato multimediale del movimento di solidarietà, hanno fatto rimbalzare le immagini del “blocco italiano” sugli schermi del mondo intero).
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A Roma, la piazza più partecipata di tutte: più di 100.000 persone nelle strade, contro il genocidio, che hanno portato anche alla chiusura della stazione Termini e all’occupazione della tangenziale est, mandando in tilt tutto il traffico cittadino. Il corteo si è poi sciolto alla Sapienza, con gli studenti che hanno occupato la Facoltà di Lettere. Ancora, stazioni della metro occupate da decine di migliaia di compagne a Napoli, scontri nella stazione centrale dei treni a Milano, e altre 75 città in agitazione, tra cui a Ravenna, dove un collettivo di portuali ora rilancia la prospettiva di un blocco simultaneo ad azioni in altri porti italiani. Per una volta, si può parlare di un successo a pieni polmoni: l’Italia sa da che parte stare.

Una parte dell’immenso corteo romano.
Chi non si è visto sono i burocrati della CGIL, a partire dal segretario generale Maurizio Landini: la decisione della CGIL di scioperare in solidarietà con la lotta del popolo palestinese aveva suscitato buone speranze per una mobilitazione unitaria della classe lavoratrice organizzata, per ripudiare con la massima estensione possibile le politiche di riarmo e antioperaie del governo Meloni e dell’elite politica italiana nel suo congiunto: tuttavia, il principale sindacato attivo nel paese, che conta cinque milioni di iscritti, ha deciso di scioperare, autonomamente, lo scorso 19 settembre. In una giornata frammentaria di sciopero, dove in alcuni comparti, come quello delle ferrovie e dei trasporti essenziali (fondamentali affinché il blocco dei lavori si traducesse in un’attività effettiva di boicottaggio, data la strategicità del trasporto ferroviario nel commercio di materiale bellico), la CGIL, attraverso il suo giornale “Collettiva”, ha parlato di “unico sindacato al mondo a scioperare per Gaza”, in barba agli esempi dei sindacati di base italiani che da due anni, faticosamente, organizzano giornate di sciopero assieme al movimento di solidarietà, ma anche ad esempi internazionali come il blocco portuale implementato in una giornata di sciopero dai lavoratori del PAME in Grecia.
I lavoratori della CGIL hanno comunque dato riscontro positivo alla chiamata, partecipando alla mobilitazione e mostrando una disponibilità, finora occultata dagli elementi peggiori della burocrazia del sindacato, a scendere in piazza per una questione politica fondamentale dei nostri tempi: il problema è che lo sciopero del 19 è stato convocato tardivamente, ignorando di proposito la chiamata internazionale di azione per il 22, impedendo che tale giornata assumesse le caratteristiche di una data realmente unitaria e generalizzata. Dopo due anni di massacro e contestuale mobilitazione dal basso – che la CGIL ha in gran parte ignorato – questa decisione suona come un insulto, piuttosto che una manovra strategica.
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Come Frazione Internazionalista Rivoluzionaria – Voce delle Lotte, abbiamo partecipato ad entrambe le giornate di sciopero, così come hanno fatto tantissimi altri compagni e compagne di altri settori di movimento: non è possibile che la maggior parte dei lavoratori sindacalizzati di questo paese resti paralizzata dal silenzio delle proprie burocrazie. Questo recinto di passività non può continuare a mantenersi intatto, se vogliamo pensare di avere realmente efficacia nel determinare le sorti e le possibilità del movimento: ora, dobbiamo cercare di promuovere discussioni ed assemblee intersindacali in tutti gli stabilimenti produttivi del paese, incoraggiando una prospettiva di fronte unico sindacale per farla finita col governo Meloni e la complicità occidentale col sionismo, e soprattutto con la traiettoria bellicista intrapresa dalla NATO con il sostegno dell’industria bellica internazionale.
La CGIL continua a giocare un ruolo fondamentale nel movimento operaio italiano: resta il sindacato più numeroso su scala nazionale, e, qualora, finalmente, dichiarasse un grande sciopero generale contro il riarmo ed il genocidio a Gaza, assieme ai sindacati di base, libererebbe le energie necessarie a bloccare, realmente e concretamente, l’attività produttiva nel paese. Il momento per farlo è questo: solo unendo le braccia, come ci hanno insegnato i compagni della GKN con l’esperienza del Collettivo di Fabbrica, attraverso gli steccati sindacali, possiamo riscoprire la nostra vera forza, come lavoratori, studenti e precari, e bloccare il congiunto della produzione e della distribuzione nel nostro paese, elaborando un programma di lotta che ambisca a cambiare dalle fondamenta questo sistema.
In questo scenario, non si può non ragionare sulla dimensione internazionale della mobilitazione: dobbiamo prendere questa giornata come banco di prova, ed approfondire i legami internazionali che sono stati costruiti nel corso degli ultimi due anni per rilanciare la prospettiva di uno sciopero realmente unitario, e coordinato con i lavoratori e le lavoratrici degli altri paesi dove la consegna di uno sciopero per la Palestina è stata raccolta e difesa. Attraverso la diffusione capillare delle immagini e dei rapporti dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, il movimento è stato in grado di usare le reti informative per approfondire reti organizzative, concretizzatesi nelle giornate di mobilitazione internazionali. In questo senso ha giocato un ruolo fondamentale il Palestinian Youth Movement che, a partire dal Regno Unito e poi negli Stati Uniti, ha svolto un importante lavoro di coordinamento tra tutte le attività che hanno contraddistinto il movimento su scala internazionale.
È giunto il momento che anche la classe lavoratrice internazionale – sempre più razzializzata, tra l’altro, nei paesi occidentali, con migliaia di lavoratori e lavoratrici di origine araba e nordafricana a riempire le filiere produttive dei nostri paesi, sotto la costante minaccia di politiche razziste e discriminatorie, e a minacce di rimpatrio – si organizzi con questo orizzonte internazionale in mente. Possiamo usare i legami che abbiamo costruito, come movimento, per facilitare questo processo, incoraggiando l’autorganizzazione nei luoghi produttivi a partire dall’attività degli elementi più avanzati dei settori in lotta. Se un vero sciopero generale unitario, in Italia, sarebbe in grado di cambiare le carte in tavola per il governo Meloni, e metterne in discussione la stessa legittimità – non certo messa in pericolo dalle attività della cosiddetta opposizione di centrosinistra – uno sciopero realmente internazionale potrebbe mettere in discussione il modo in cui l’intero occidente è organizzato, ed offrire sponde ed opportunità di interazione alle masse dei paesi arabi che, nella situazione attuale, possono cambiare per sempre le sorti della battaglia per l’umanità e la dignità dei popoli oppressi che si sta consumando in Palestina. Solo in questo modo la pressione reale esercitata sullo stato d’Israele e sui suoi complici occidentali può tradursi in una vera forza per il cambiamento sistemico, necessario per impedire che uno scenario di devastazione del genere si ripeta mai più. Per questo motivo, facciamo nostra la chiamata internazionale a mobilitarci il prossimo 4 ottobre, rilanciando la prospettiva di un grande sciopero generale unitario, contro riarmo e genocidio imperialista!
Luca Otello Gieri
Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.