Un’importante iniziativa dell’Unione Sindacale di Base, per supportare i lavoratori e le lavoratrici che subiscono ritorsioni per essersi opposti alla macchina bellica attraverso blocchi e scioperi (qui il link alla cassa di resistenza).
Intorno al “blocchiamo tutto!” lanciato dai portuali di Genova lo scorso 31 agosto in supporto alla Global Sumud Flotilla, è cresciuta la mobilitazione in tutta Italia contro il genocidio in corso a Gaza, e in opposizione alle politiche di austerità e riarmo del governo Meloni, complice del massacro.
A partire da lì, il 22 settembre è stata una data di importanza storica, con il primo sciopero generale a carattere politico dopo molti anni, che ha visto scendere nelle piazze centinaia di migliaia di persone tra lavoratori e lavoratrici, studenti e studentesse, e non solo. Oltre alle manifestazioni, sono stati numerosi i blocchi stradali e ferroviari (Bologna, Roma, Firenze, Torino), dei varchi portuali (Genova, Livorno, Marghera), ed è stata occupata l’Università La Sapienza di Roma.
Su questa scia, il 26 settembre è partita l’iniziativa “100 piazze per Gaza” promossa da USB, che sta vedendo l’occupazione permanente di piazze in molte città d’Italia, in vista della manifestazione nazionale del 4 ottobre. Mentre il 26 e 27 settembre si è svolto a Genova un meeting internazionale dei lavoratori portuali, in cui è stata lanciata una piattaforma condivisa contro il genocidio a Gaza e le politiche di riarmo europee, ed è stata annunciata una data di mobilitazione internazionale.
Negli stessi giorni USB e il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali di Genova (CALP) hanno lanciato una raccolta fondi per sostenere i lavoratori e le lavoratrici che subiscono ritorsioni per opporsi al transito delle armi dirette ad Israele. Uno strumento molto importante a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici: sapere di poter contare su un sostegno economico per affrontare sanzioni, cause legali o sospensioni dal lavoro, permette loro di rifiutare con ancora più convinzione il coinvolgimento attivo nella macchina bellica.
La cassa di resistenza si mostra quanto mai necessaria in un contesto di escalation bellica e di inasprimento della repressione da parte padronale e governativa. Si pensi al provvedimento disciplinare ricevuto da un lavoratore dell’aeroporto di Montichiari (BS) lo scorso giugno, per aver denunciato (e poi impedito in picchetto) un passaggio di missili diretti a Doha. Un atto coercitivo da parte aziendale in piena coerenza con il governo Meloni, che lo scorso giugno ha firmato il nuovo Decreto “Sicurezza”, introducendo un nuovo reato in caso di “impedimento della libera circolazione su strada ordinaria o ferrata”; ma anche con la Commissione di Garanzia sciopero, alle dirette dipendenze del governo, che durante lo scorso ciclo di lotte dei ferrovieri ha esteso arbitrariamente i limiti imposti ai lavoratori dei trasporti dalla legge antisciopero 146/90.
Una legge che impedisce di proclamare sciopero immediato e di più giorni nei settori in cui il diritto di sciopero viene ritenuto in conflitto con altri diritti della persona, a meno che non sia svolto “in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Proprio su questa eccezionalità prevista dalla legge, USB sta svolgendo una battaglia per rivendicare che lo sciopero immediato ai fini del blocco delle armi destinate a Israele e in teatri di guerra è pienamente compatibile con la 146/90, dal momento in cui comprometterebbe l’ordine costituzionale, che si basa sul ripudio della guerra come strumento di offesa o di risoluzione delle controversie internazionali.
Ma la via di pace non sembra essere la prospettiva del nostro governo che, in linea con l’ultimo vertice NATO, prevede di investire in riarmo il 5% del PIL entro il 2035, penalizzando gli investimenti pubblici in settori di pubblica utilità come sanità e istruzione, in un periodo in cui le liste di attesa per il sistema sanitario sono infinite e molti e molte giovani devono rinunciare agli studi universitari a causa di una spesa insostenibile.
La disobbedienza risulta l’unica via percorribile da quei lavoratori e quelle lavoratrici che rifiutano di essere parte attiva dei piani bellicisti governativi. Per questo è importante sostenere la cassa di resistenza contro il genocidio a Gaza.
Roberto Marchese
Roberto Marchese
Nato a Prato nel 1996, ferroviere e studente di filosofia all'università di Firenze. Collabora con La Voce Delle Lotte approfondendo sul campo le dinamiche sindacali e le lotte dei lavoratori