Blocchiamo tutto!

Questa è la parola d’ordine. Lo sciopero generale del 3 ottobre deve aprire una breccia profonda nel cuore della classe lavoratrice internazionale. Da un lato, l’unità tra sindacati di base e confederali dimostra quanto la pressione dal basso abbia inciso nella proclamazione di uno sciopero unitario; dall’altro, però, una parte del mondo del lavoro e dell’opinione pubblica sembra non aver ancora compreso il legame profondo tra lo sciopero per la Palestina e le politiche imperialiste che colpiscono anche le nostre vite quotidiane. È impossibile separare la lotta contro il genocidio in Palestina dalle politiche lacrime e sangue che il governo Meloni, insieme ai tecnocrati europei, sta imponendo sui nostri territori.

È arrivato il momento di dire con forza: fermiamo il genocidio e le politiche criminali che lo alimentano!


Nonostante il senso comune sia ormai chiaramente a favore di una mobilitazione generale e diffusa contro il genocidio in corso in Palestina, lo strumento dello sciopero continua a incontrare resistenze, in particolare da parte dei sindacati confederali, che spesso si fanno portavoce della propaganda governativa.

Tuttavia, la mobilitazione di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici il 22 settembre ha dimostrato che lo sciopero rappresenta l’unico strumento reale a disposizione della classe lavoratrice per esprimere il proprio dissenso di fronte al massacro in atto in Palestina.

E mentre le masse si muovono, c’è ancora chi fatica a riconoscere lo sciopero come uno strumento che va oltre la semplice rivendicazione di diritti sociali interni agli Stati nazionali, come se fossimo ancora in un’epoca in cui la divisione del lavoro non avesse assunto una dimensione internazionale, e imperialismo e colonialismo non fossero realtà consolidate.

Viviamo invece in un’epoca in cui l’espansione massima del capitalismo ha intrecciato in modo indissolubile le diverse componenti dell’ingranaggio imperialista, lo stesso che ha generato e oggi sostiene la macchina di sterminio sionista. Un sistema che si è perpetuato attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, fondato sulla divisione tra potenze imperialiste e i loro vassalli, governati da fantocci utili a garantire l’accesso alle risorse e alla manodopera.

Il genocidio in Palestina rivela in modo forse più chiaro di ogni altra questione la vera natura dell’imperialismo: mette a nudo i legami profondi tra l’imperialismo statunitense e l’entità sionista, così come l’intreccio tra l’Unione Europea e gli USA. Tutto questo si inserisce in un circuito globale in cui, in un contesto di riarmo e di minacce — reali o strumentali — agli interessi imperialisti, gli Stati centrali vedono nell’economia di guerra una via di fuga dalla profonda crisi economica che colpisce milioni di persone.

Questa dinamica ha portato all’adozione di politiche che prevedono investimenti per centinaia di miliardi di euro nell’industria bellica, costringendo i singoli Stati membri dell’UE a destinare fino al 5% del PIL alle spese militari. Una scelta che comporterà tagli drastici alla sanità, all’istruzione, ai trasporti e agli altri servizi essenziali.

Ribaltare i rapporti di forza

Se è vero che sfidare le potenze imperialiste dal basso può sembrare un’impresa ardua, è altrettanto vero che la Global Sumud Flotilla ha dimostrato come sia possibile far emergere con forza le contraddizioni all’interno del fronte imperialista. Questo percorso ha trovato un punto di forza concreto nella chiamata del CALP di Genova sotto lo slogan “Bloccare tutto”.

L’eco internazionale suscitata dalle parole dei portuali italiani ha dato nuova centralità alla classe operaia, che il 22 settembre è riuscita a mobilitare centinaia di migliaia di persone, nonostante l’assenza (almeno formale) della CGIL.

Colpire gli interessi dell’imperialismo significa anche colpire chi governa e porta avanti politiche lacrime e sangue sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Respingere l’attacco sionista in Palestina significa anche mettere in discussione le politiche di riarmo e contrastare i tagli sociali che ne derivano, fermando così gli ingranaggi del sistema imperialista.

La Palestina, infatti, ci porta oltre il genocidio: porta alla luce la vera natura dell’imperialismo e il modo in cui esso agisce sia all’interno dei propri confini, sia in quelli dei territori colonizzati. A chi accusa le mobilitazioni e gli scioperi per la Palestina di trascurare altri scenari di guerra e violenza – come il Sudan, il Ciad, lo Yemen – rispondiamo che è proprio la Palestina a mostrarci come l’imperialismo, nella sua dimensione globale, debba essere messo in discussione per liberare il mondo intero dalla barbarie capitalista.

Per questo, il 3 ottobre è necessario scioperare. Uniti, ma consapevoli che la lotta che oggi lavoratori e lavoratrici, insieme a studenti e studentesse, stanno portando avanti in Italia apre la strada a una battaglia che non può che essere internazionale.

 

Mattia Giampaolo

Laureato in storia contemporanea dei paesi arabi alla Sapienza di Roma, nel 2018 ha conseguito il master in Lingue e Culture orientali alla IULM University.
Dottorando alla Sapienza presso il Dipartimento di Scienze Politiche, con una tesi su Gramsci, la rivoluzione passiva e la Primavera Araba.