Ho potuto leggere, qualche ora fa, una letterina pubblicata sul profilo Facebook di “La Rivista Intelligente” (webmagazine peraltro piuttosto visitato di cui, nella mia ignoranza proletaria, ignoravo l’esistenza) la cui autrice è Mirella Mazzucchi, coordinatrice gestionale della Biblioteca di Discipline Umanistiche, la stessa al centro dell’attenzione non solo cittadina ma nazionale a seguito della lotta studentesca contro l’installazione dei tornelli per l’accesso; la stessa biblioteca dove sono stato studente tirocinante tra il maggio e il luglio dell’anno scorso.

A fronte del solito assordante silenzio del corpo docente pseudo-progressivo dell’Alma Mater, così come di tanti dipendenti dell’ateneo che tacciono di fronte a una dimostrazione così sfacciata e brutale della reale natura delle forze dell’ordine e dello Stato, cioè quella di reprimere chiunque alzi la testa contro le politiche dei capitalisti e delle istituzioni che da essi dipendono (università-azienda inclusa), mi sembra il minimo scrivere una nota in solidarietà al Collettivo Universitario Autonomo, bersaglio di un attacco tanto pesante quanto imbarazzante e non necessario.

Per evitare “l’effetto Emilia Garuti” (studentessa Unibo e dirigente del PD che si permette di pontificare sugli studenti, avendo un ruolo di responsabilità nel principale partito della borghesia italiana, storicamente protagonista delle peggiori controriforme dell’università e in generale dell’attuale stagione di macelleria sociale a danno dei lavoratori) dichiaro le mie generalità senza che eventuali giornalisti interessati debbano chiamare la Digos per sapere chi sono: studio Geografia all’Unibo e aderisco al Coordinamento Studentesco Rivoluzionario; ho condiviso con i compagni del CUA e in generale dell’area Infoaut un discreto numero di lotte, mobilitazioni, campagne politiche locali e nazionali; rivendico, come i compagni del CUA d’altronde, d’essere comunista, anche se non ho lo stesso profilo politico strategico di questi compagni, e insieme ai miei compagni d’area politica non evito ipocritamente di criticare i compagni del CUA sul piano politico e su quello della tattica d’azione.

Ho frequentato per anni la BDU e, appunto, ci ho fatto le famose 150 ore di tirocinio, e posso affermare tranquillamente che non ho mai percepito i membri del CUA come i “padroni” del 36: un buon numero di loro studia e utilizza le postazioni computer della biblioteca, come qualsiasi altro studente; a questo si aggiunge il “vizio” (non dubito che sia tale per la dr.ssa Mazzucchi) di organizzare assemblee studentesche negli spazi della biblioteca (che pazza idea! assemblee di universitari nei locali dell’università!), e di non lasciarla come “luogo neutro” all’interno della loro azione politica generale in università, rispondendo colpo su colpo ai tentativi di omologarla al modello di biblioteca “carceraria” che tanto va nell’università anglosassone privatizzata: una presenza sicuramente “fastidiosa” per quegli studenti e quei dipendenti di ateneo che preferirebbero un più placido e acritico tran-tran (come ben descritto da Stefano Sissa) mentre il Ministero, l’Er-go, e i banchieri e capitalisti a cui rispondono, continuano imperterriti a scotennarli a suon di tagli, chiusure, utilizzo della celere (cosa, quest’ultima, che sembra stia diventando “normale” in Italia, quando “normale” lo è nelle dittature militari e negli Stati fascisti… ai quali d’altronde somigliano sempre più le democrazie borghesi di oggi).

Dalla lettera della Mazzucchi, e questo è l’argomento che va rigettato più di tutti, emerge un implicito legame tra l’attività del CUA e il proliferare di situazioni di “degrado” in biblioteca. Peccato che il CUA e gli altri studenti un minimo coscienti che studiano al 36 hanno sempre rigettato questi episodi di inciviltà: proprio per questo, è grave che in questi giorni ci sia un ricorrente discorso ideologico che più o meno direttamente incolpa gli studenti dei collettivi di sinistra del degrado della zona universitaria, in primis allo spaccio di droga. Peccato che anche qui si ribalti la realtà dalle cose: è da circa mezzo secolo, dai tempi dell’Operazione Blue Moon, che lo Stato italiano utilizza, tra le altre, la tattica dell’indebolimento del movimento studentesco tramite il dilagare di droghe più o meno pesanti e la cacciata di spacciatori e tossici da altri quartieri per far sì che si concentrino in quelli attraversati da lotte di lavoratori e studenti. È dunque paradossale scaricare sugli studenti situazioni di degrado che lo Stato non ha alcuna seria volontà di affrontare e risolvere: lo dimostra il fatto che addirittura il traffico di droga è stato inserito recentemente in alcune stime del PIL italiano per gonfiarne la percentuale di crescita – anche l’eroina e la cocaina sono merci, sono capitale, sono soldi che fanno girare l’economia cittadina e nazionale (molto più di quanto non immaginino i benpensanti che difendono i tornelli), e poco importa che essi distruggano vite e alimentino l’economia delle mafie, settore brutale e retrogrado della borghesia italiana.

Si vuole dunque “tenere fuori balordi e spacciatori”? Si chieda dunque agli studenti di auto-organizzare un controllo fisso e capillare, in tutti gli stabili dell’università, che tenga fuori dall’ateneo certi personaggi! Chissà che un’università gestita dagli studenti e dai lavoratori stessi non funzionerebbe meglio di questo Moloch al servizio dei peggiori sfruttatori, dove si fa a gara a massacrarsi tra pari, invece che ad unirsi contro i propri comuni sfruttatori.

Si vuole combattere il degrado? Iniziamo a combattere il degrado del lavoro gratuito degli studenti che va sotto il nome di “tirocinio”: il lavoro degli studenti va pagato al pari di quello di un “normale” lavoratore!

Infine, se posso anche io esprimere “una cosa personale”: quando ero al front office, gli stessi compagni del CUA con cui in politica mi sono trovato anche a scontrarmi, non hanno mai dato problemi, né a me né ad altri. Ricordo bene come L. mi abbia chiesto molto gentilmente come funzionasse il sistema delle proroghe al prestito dopo aver preso quattro libri (tipico figlio di papà che non studia!), e di come E., anche un po’ imbarazzato, sia venuto a chiedere in prestito una penna.

Al 36, se qualcuno ha tenuto comportamenti squadristi, quelli sono i poliziotti che hanno fatto irruzione, e il rettore che ha permesso una tale violenza: si dimetta e ponga fine a questo suo indecoroso regno.

 Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.