di Matteo Iammarrone

È di giovedì sera l’ultimo attacco nel cuore di Parigi, questa volta ad un camion della polizia francese. Un poliziotto è stato ucciso ed altri due sono rimasti feriti. L’ultima di una lunga serie di scene di guerra esportate dal medio oriente direttamente nella vecchia Europa. Il terrore targato Califfato colpisce indistintamente dal sesso, dall’etnia e dalla classe sociale con una particolare attenzione però ai luoghi pubblici frequentati dalla “gente comune”, perché l’obiettivo è il panico indistinto. Nella visione dei terroristi infatti non c’è posto per un alto e un basso, borghesi contro sfruttati, ma solo per chi è fedele alla rigida Legge islamica (alla loro versione della legge) e chi non lo è. I fedeli e gli infedeli. Questo schema è caro anche a certi reazionari nostrani che magari all’occorrenza in funzione anti-islam recitano la parte dei paladini dei diritti delle donne o degli omosessuali, ma poi quando il mostro passa in secondo piano ritornano a mostrarsi i soliti reazionari, come se non peggio dell’islam radicale. A tal proposito mi incuriosiva un’inchiesta della BBC che evidenzia come alcune componenti del movimento LGBT francese sosterebbero il Front National di Le Pen perché islamofobo e “dov’è che i gay sono più in pericolo? Nei Paesi a maggioranza islamica”.

Le ragioni storiche, politiche e religiose, anche se queste ultime in misura minore a mio avviso, alla base della nascita e dello sviluppo del fenomeno Isis sono complesse e articolate e non intendo affrontarle in questa sede. Così come non intendo denunciare le arcinote e imperdonabili responsabilità dell’Occidente nella nascita e nella diffusione del fenomeno stesso, un Occidente reso misero e impotente dal suo stesso capitalismo, che uccide i suoi figli con le stesse armi che produce. Quello su cui invece volevo concentrarmi erano i “lupi solitari” di cui peraltro è emersa sempre più la giovane età, fuggevoli e poco monitorabili, radicalizzati dell’ultimo momento o psicopatici da tempo che trovano nella causa Isis l’occasione della vita.

La causa preconfezionata dell’Isis è senza dubbio accattivante, non neghiamocelo. È un richiamo che dà in pasto al fragile lupo solitario un senso di appartenenza, un “amore” che la decadenza e il palese fallimento delle società occidentali non può permettersi di dare, non vuole o non riesce a dare. Un amore fatale e mortale che chiede in cambio il corpo e la vita stessa, ma pur sempre un “amore”, una falsa coscienza, ma terribilmente seducente. Un grande amore che è una grande causa che, come tutte le le cause ultraterrene, deve la sua potenza all’eternità che promette. È su questo che volevo riflettere. E invitare a cambiare le domande. Se non cambiamo le domande non invertiremo mai la rotta del mondo. Allora non chiediamoci come vincere una guerra di religione che non c’è, ma come combattere la decadenza che, più concretamente, è quel “nichilismo paralizzante” che sta permettendo a questo tipo di terrorismo di germogliare all’interno delle nostre società che sono scosse soprattutto da pulsioni interne (il conflitto capitale-lavoro) prima che da “nemici esterni” che le nostre governance contribuito a creare. Un “nichilismo paralizzante”, come ho spesso osservato nelle presentazioni del mio libro, che afferma che dal momento che Dio è morto e che anche il muro di Berlino è crollato non esiste più verità e se non può esservi verità tutto si svuota, diventa impalpabile e le nostre braccia, le nostre gambe e le nostre teste restano paralizzate su una sedia a fare gli spettatori di un mondo sul quale non possiamo influire minimamente, ma solo subire: il precariato, lo sfruttamento, il ricatto quotidiano, le guerre imminenti. Nella narrazione tossica che questo nichilismo fa, che poi è ideologia dominante, narrazione della classe al potere, il muro di Berlino a cui ho fatto riferimento è il simbolo dell’unica alternativa al capitalismo che si è provata a costruire, alternativa fallita col crollo di quel muro stesso, alternativa il cui totalitarismo stalinista era l’unico esito possibile quindi alternativa bollata e gettata nella spazzatura delle dispense della Storia e automaticamente esclusa dall’orizzonte di chiunque critichi il sistema vigente.

Questa precisa forma di nichilismo che è volontà del nulla intimamente connessa alla narrazione tossica sovraesposta, una delle più grandi menzogne del nostro tempo, “uccide” spesso soprattutto coloro che non riescono più a prendere le briciole che il capitalismo dei decenni scorsi aveva concesso, quindi quelli che perdono il posto fisso, le giovani generazioni precarie a vita o disoccupate, i migranti, i proletarizzati delle periferie, etc. E penso giochi un ruolo importante per questi lupi solitari che, non a caso, provengono spesso da periferie disagiate.

Il sogno illusorio dei lupi solitari dell’instaurazione di uno Stato islamico vorrebbe far appassire le nostre società spingendole indietro, verso un cupo oscurantismo che, con le dovute differenze, abbiamo già conosciuto con l’ultima fase del Medioevo cattolico. Quello che invece occorre fare è liberarsi di quest’illusione, organizzarsi come classe al fine di distruggere questa società sì, ma per progredire, liberandola dal giogo della proprietà privata e dello sfruttamento. I lupi solitari sono nati e cresciuti in Europa in molti casi. Non c’è da chiedersi perché arrivino a tanto, ma fornire valide ragioni per non arrivare a tanto rivoluzionando le nostre società in modo da renderle “difendibili” perché a misura di essere umano e non più di padrone. Oggi infatti essendo infettate dal capitalismo le nostre società sono semplicemente indifendibili per chiunque non stia in alto nella scala sociale, a maggior ragione se proveniente da storie di emarginazione, migrazione, violenza.

E questa vertigine sul vuoto, sul non futuro del capitalismo coniugato alla attuale debolezza e inadeguatezza delle organizzazioni rivoluzionarie, rende fragili, confusi e facilmente attratti da cause così apparentemente grandiose ma sbagliate perché illusorie e perché possono solo aggravare il malessere dell’umanità e non spingere in direzione di quella Rivoluzione necessaria.

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.