54′ edizione del Cannes Film Festival: “La pianista” diretto da Michael Haneke, vince il Gran Premio della giuria, il premio per la migliore interpretazione femminile ( Isabelle Huppert ), il premio per la migliore interpretazione maschile ( Benoit Magimel ).

“La pianista”, nella sua complessità, è un’opera fortunata. Tratto dall’omonimo romanzo di Elfriede Jelinek ( che la condurrà dritta dritta al premio Nobel nel 2004 ), Haneke mette in scena un vero dramma borghese.

Partiamo dal testo letterario: quando annunciarono la vincitrice del Nobel per la letteratura nel 2004, furono pronunciate queste parole «Per il fluire musicale di canto e contro-canto nei romanzi e nei drammi che con straordinario ardore linguistico rivelano l’assurdità del cliché della società contemporanea e il loro potere soggiogante». L’assurdità del clichè della società contemporanea. Questo il punto di partenza di Haneke per dirigere il suo film.

TRAMA: Erika Kohut è una stimata e temuta insegnante di pianoforte al conservatorio di Vienna. Erika ha più di quarantanni, vive con sua madre, non ha un compagno, non frequenta amici, vive solo accompagnata da Schubert e Schumann, i suoi compositori preferiti. Figlia dell’alta borghesia viennese, le sue serate sono dedite a concerti, seguiti da cene formali, presso le case dei “signori”di Vienna. In realtà, la pianista, ha una seconda vita. Nelle strade della Vienna malfamata, Erika si trasforma in un’affamata voyeurista di amplessi occasionali, feticismi, nemmeno la vergogna di poter “essere scoperta” la ferma. Walter, un giovane alunno del conservatorio, si invaghisce della professoressa, rompendo ( o almeno tentando di rompere ) questa morbosa routine sessuale. Tuttavia, la morbosità non è presente solo nel rapporto con il sesso, ma è ben radicata in un rapporto ancora più stretto: il rapporto edipico con la propria madre. La madre di Erika è come il dittatore di uno stato totalitario: lei controlla il conto in banca, lei cucina, lei decide cosa la figlia debba indossare, condividono il letto e ogni momento di tempo libero.

Il film (come il libro ) ha il grande merito di buttarci nel baratro che si nasconde dietro “l’irreprensibile normalità borghese”. La Huppert cre30a un’Erika priva di ogni tipo di espressione. Perfino durante le sue lunghe notti pornografiche, Erika non sembra mai mostrare godimento. L’erotismo non c’è. E’ pornografia. Haneke è un maestro indiscusso quando si tratta di smascherare l’ipocrisia ben pensante borghese, e, con questa pellicola, riesce ( seguendo anche lo schema stilistico del romanzo della Jelinek ) a portare l’Inferno in terra. Se la Jelinek cambia registro ogni volta che cambia lo scenario ( dalla Vienna ricca e colta, al degrado dei Peep show ), Haneke si comporta da voyuerista a sua volta. Le luci sono ospedaliere, i muri bianchi, le riprese fisse e asettiche. Tutto sembra già essere morto da tempo.

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.