– di Begbie

La situazione in Alitalia è da tempo oggetto di speculazioni mediatiche contro i lavoratori o che ne distorcono i fatti.
Analizzando più da vicino la storia del tracollo dell’azienda, si nota che la situazione attuale non è altro che la conseguenza logica ed economica di una cattiva gestione aziendale. Basta pensare che, dal 2007 ad oggi, l’azienda ha rischiato ben tre volte il fallimento.
Durante l’arco del 2016, Alitalia ha registrato perdite economiche pari a circa un milione di euro al giorno, ed oggi verte in condizioni economiche tali che ha difficoltà persino a comprare il carburante necessario.
Vista la difficoltà a mandare avanti l’esercizio, negli ultimi anni l’azienda ha fatto ricorso a sovvenzionamenti bancari, pari a circa 500 milioni di euro, che tuttavia non sono serviti a salvare la compagnia di bandiera dal tracollo finanziario. Tutt’oggi, la compagnia aerea vanta un debito pari a 400 milioni di euro.

E’ stata la politica aziendale che, più di tutte, ha portato al crollo economico, in primis la scelta di effettuare voli principalmente su tratte medio- brevi (va da se che su tali tratte entra in gioco, oltre che alla concorrenza delle altre compagnie low-cost, anche il trasporto su ferro e su gomma). Tuttavia, i costi di gestione e di manutenzione della compagnia superano ampiamente il 70% del fatturato, condizione che, per forza di cose, si ripercuote d’apprima sul costo dei biglietti, rendendoli poco concorrenziali sul mercato dei trasporti, e in secondo luogo ( ma non per importanza) sui lavoratori. Basti pensare che dal 2007 ad oggi i lavoratori Alitalia sono scesi da 22.000 a 10.000, per via dei tagli al personale che, si sa, in ogni azienda con bilancio in deficit vengono eseguiti per ridurre le spese.

Ancora una volta a pagare sono i lavoratori.
Alitalia ha avviato le pratiche per richiedere il commissariamento, cioè la nomina da parte del governo di amministratori che possano traghettare la società verso il prossimo passo della sua travagliata storia: la vendita a un’altra compagnia oppure il fallimento, con vendita dei beni per ripagare i creditori.
A questo punto, dal tavolo istituzionale tenutosi recentemente tra sindacati, governo ed azienda, nasce una proposta: l’organizzazione di piani quinquennali, che consistono in tagli agli esuberi (circa 1200 dipendenti) , alla riduzione fino all’8% dello stipendio del personale navigante, nonché riduzione dei giorni di ferie.
Questa riduzione dello stipendio, sebbene possa essere considerata irrisoria, è calcolata in base all’attuale numero di dipendenti, più che dimezzati dal 2007. Semplicemente, il taglio agli stipendi è stato ammortizzato dal brutale licenziamento di più del 50% del personale.

Ancora una volta i sindacati hanno firmato la proposta d’ accordo che, in barba al concetto stesso di sindacato, tutela l’azienda e gli azionisti, anziché i lavoratori, sebbene CGIL e USB abbiano spinto per la nazionalizzazione, al contrario della UIL che si è schierata contro, insieme al governo.

Arriviamo dunque al referendum dei lavoratori Alitalia, che, a larga maggioranza, hanno chiaramente rifiutato tale accordo (67% il NO), in quanto, consci delle pregresse gestioni dell’azienda (che hanno portato all’attuale situazione economica disastrosa), hanno deciso di puntare sulla Nazionalizzazione, trattandosi di un’azienda importante che conta più di 120 aerovetture e 24 milioni di passeggeri. Il governo, però, esclude una nazionalizzazione:« Non ci sono le condizioni. Sono stati spesi 7,4 miliardi in progetti di salvataggio, non si può mantenere in vita con risorse pubbliche un’azienda in perdita», ha ribadito Calenda, all’Unione Europea si chiederà «per un periodo di tempo limitato» il via libera ad «un prestito ponte per un orizzonte di 6 mesi, a condizioni molto precise che negozieremo».
L’ultima ancora di salvezza è stata la notizia che Lufthansa fosse pronta ad acquistare la società Italiana, notizia prontamente smentita dallo stesso direttore finanziario della compagnia teutonica.
Quel che è certo è che i lavoratori Alitalia hanno le idee ben chiare, consci del fatto che la progressiva privatizzazione dei servizi non sia la soluzione al problema.

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.