– di Matteo Iammarrone

La parola “meme” è di curiosa provenienza. Essa fu impiegata per la prima volta negli anni ’70, dal biologo evoluzionista Richard Dawkins nel suo controverso libro “Il gene egoista”. In quel caso i “memi” erano definiti come “unità di trasmissione culturale”, cioè qualcosa di simile ai geni, ma che a differenza di questi ultimi viaggerebbero tra i cervelli umani e trasmetterebbero tutto ciò che chiamiamo cultura e che non è strettamente genetico.
La sensazione è che Dawkins avesse introdotto questo concetto di “meme” per attenuare il “riduzionismo gene-centrico” espresso nel resto del libro,
cioè quell’approccio che vede l’essere umano come perlopiù riducibile ai suoi geni.

Oggi i meme sono altro, sono immagini che circolano sui social, veloci come un like e che chiunque può creare. Ma ancora conservano l’originario significato di veicolo per un’idea, un concetto, una pratica, una visione del mondo e della società.
Quello dei meme è un fenomeno la cui diffusione è crescente e che per questa ragione merita di essere osservato, alla luce della sua possibile utilità nella trasmissione di idee rivoluzionarie, notizie e informazioni libere dalle ideologie dominanti nonché nella sua potenzialità di insegnare il pensiero di Marx ai giovani.
È chiaro che il dibattito circa la possibilità di impiegare i meme come veicoli di propaganda si intreccia strettamente con quello relativo a come stare oggi su internet in quanto comunisti (se, ad esempio, si possa fare un contro-uso del Web e dei social o meno), nonché ai mezzi di propaganda politica di cui è opportuno servirsi, in una società in cui i mass media rimangono nelle mani delle classi dominanti, a dispetto dell’illusione della partecipazione democratica che i social contribuiscono a costruire.

“Molte persone non hanno tempo per scrivere un intero articolo o per avere dibattiti politici lunghi e particolarmente articolati”. Sembra essere d’accordo Susie, diciottenne, studentessa di letteratura inglese ed attivista LGBTQ. “Ma la maggior parte delle persone hanno invece tempo per creare un meme.”

Durante l’ultimo anno di superiori, Myles ha vinto un premio come “Comico dell’Anno”, un titolo ricevuto in qualità di amministratore della pagina Facebook della sua scuola. Una pagina che diffonde “meme”.
Ora Myles ha diciotto anni, studia giornalismo ed è uno di quei giovani che sempre più spesso creano e condividono i propri esoterici, simpatici meme politici (di sinistra) su Facebook, Reddit e Tumblr.
Myles afferma di “amare il modo in cui i meme possono spiegare enormi questioni politiche in un modo semplice e brillante”.
E aggiunge: “Sebbene l’impegno politico non possa ridursi ai meme, questi possono aiutare i giovani nella comprensione di discorsi da cui normalmente sarebbero esclusi. Una volta mi capitò questo bellissimo meme dalla pagina Sassy Socialist Memes che spiegava veramente in breve una critica essenziale al razionalismo economico. Era divertente, e la sua efficacia secondo me stava nel fatto che riproduceva un momento di vita reale.”
La disputa circa l’uso dei cosiddetti meme (o memi, se vogliamo pluralizzare) come mezzo di propaganda è aperta. Alcuni potrebbero pensare che la forma del meme è un non-sense eccessivamente sovraccarico di ironia, e che forse potrebbe essere nociva perché promotrice di de-contestualizzazioni della teoria che crede di propagandare. D’altro canto però indubbiamente, come Myles dichiara, i meme rendono la teoria politica più “digeribile” e immediata. I meme sono inoltre percepiti come assolutamente accessibili e democratici. Chiunque ne abbia voglia infatti può scaricare un software grafico e con pochi click creare e modificare un meme, e metterlo in rete.

“Come è stato per il fumetto politico, comparso ormai due secoli fa o per il Punch magazine degli anni ’50 del 1800, i meme politici sono un modo di guardare alla politica, ma di guardarla di traverso, discostandosi leggermente dal centro della questione e questo, per molti, è piacevole”, scrive il professor Marshall della Deakin University. “I meme garantiscono un senso di connessione personale e un modo per mostrare il tuo interesse per un problema, ma da un punto di vista leggermente rimosso.”

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.