Estratto da Salario, Prezzo e Profitto di Karl Marx: perché i prezzi delle merci e i salari di un dato settore della produzione non sono inversamente proporzionali.


La conferenza che il cittadino Weston ci ha letto avrebbe potuto essere compressa in un guscio di noce. Tutta la sua argomentazione conclude a questo: – se la classe operaia costringe la classe capitalista a pagarle, sotto forma di salario in denaro, cinque scellini invece di quattro, il capitalista gli darà in cambio, sotto forma di merci, il valore di quattro scellini invece di cinque. La classe operaia dovrebbe allora pagare cinque scellini ciò che essa comperava con quattro scellini prima dell’aumento del salario. E perché questo? Perché il capitalista per cinque scellini dà soltanto il valore di quattro scellini? Perché l’ammontare dei salari è fisso. Ma perché è esso fissato al valore di quattro scellini di merci? Perché non a tre, o a due, o a qualunque altra somma? Se il limite dell’ammontare dei salari è stabilito da una legge economica, indipendente sia dalla volontà dei capitalisti come dalla volontà degli operai, la prima cosa che il cittadino Weston avrebbe dovuto fare era di esporre questa legge e di provarla. Inoltre egli avrebbe dovuto dimostrare che l’ammontare dei salari realmente pagato corrisponde sempre, in ogni momento, al necessario ammontare dei salari, e non se ne discosta mai. Se d’altra parte il limite dato dall’ammontare dei salari dipende unicamente dalla volontà del capitalista o dai limiti della sua ingordigia, in tal caso si tratta di un limite arbitrario. Esso non ha in sé nulla di necessario. Esso può venire modificato dalla volontà del capitalista, e può quindi venire modificato anche contro la sua volontà.

Il cittadino Weston ha illustrato la sua teoria, raccontando che se una zuppiera contiene una determinata quantità di minestra, che deve essere mangiata da un determinato numero di persone, un aumento della grandezza dei cucchiai non porterebbe a un aumento della quantità della minestra. Egli mi permetterà di trovare che questa illustrazione è fatta un po’ col cucchiaio. Essa mi ha ricordato l’apologo di cui si è servito Menenio Agrippa. Quando i plebei romani fecero sciopero contro i patrizi romani, il patrizio Agrippa raccontò loro che la pancia patrizia nutre le membra plebee del corpo politico. Agrippa non riuscì però a dimostrare che le membra di un uomo si nutrono quando si riempie la pancia di un altro. Il cittadino Weston ha dimenticato, a sua volta, che la zuppiera nella quale mangiano gli operai è riempita dell’intero prodotto del lavoro nazionale e che ciò che impedisce loro di prenderne di più, non è né la piccolezza della zuppiera, né la scarsità del suo contenuto, ma è soltanto la piccolezza dei loro cucchiai.

Con quale artifizio il capitalista è in condizione di dare per cinque scellini il valore di quattro scellini? Con l’aumento del prezzo delle merci che egli vende. Ma l’aumento dei prezzi e, in generale, la variazione di prezzi delle merci, i prezzi delle merci insomma, dipendono essi dalla sola volontà del capitalista? Oppure è necessario il concorso di determinate circostanze perchè questa volontà si realizzi? Se non è così, gli alti e bassi, le incessanti fluttuazioni dei prezzi di mercato diventano un enigma insolubile.

Poiché ammettiamo che non si è prodotto assolutamente nessun cambiamento, né delle forze produttive del lavoro, né nella quantità di capitale e di lavoro impiegati, o nel valore del denaro in cui viene espresso il valore dei prodotti, ma si è prodotta soltanto una variazione nel livello dei salari, – in quale modo questo aumento dei salari ha potuto esercitare una influenza sui prezzi delle merci? Unicamente influendo sul rapporto concreto tra la domanda e l’offerta di queste merci.

E’ un fatto incontestabile che la classe operaia, considerata nel suo insieme, spende e deve spendere tutto il suo salario in oggetti di prima necessità. Un aumento generale dei salari provocherebbe dunque un aumento delle domande di oggetti di prima necessità e, conseguentemente, un aumento dei loro prezzi di mercato. I capitalisti che producono questi oggetti di prima necessità, con l’aumento dei prezzi di mercato delle loro merci sarebbero compensati dall’aumento dei salari. Ma che ne è degli altri capitalisti, che non producono oggetti di prima necessità? E non si tratta, potete crederlo, di un piccolo numero. Se pensate che due terzi della produzione nazionale sono consumati da un quinto della popolazione, – anzi, un membro della Camera dei comuni ha calcolato recentemente che si tratta solo di un settimo della popolazione -, comprenderete quale immensa parte della produzione nazionale deve essere costituita da oggetti di lusso, o deve essere scambiata con articoli di lusso, e quale enorme massa di oggetti di prima necessità viene sciupata per lacchè, cavalli, gatti e così via; uno spreco che, come l’esperienza ce lo indica, subisce sempre una forte diminuzione quando aumentano i prezzi degli oggetti di prima necessità.

Ora, in quale situazione si verranno a trovare quei capitalisti che non producono oggetti di prima necessità? Essi non potrebbero rivalersi della caduta del saggio del profitto, conseguente all’aumento generale dei salari, con un aumento dei prezzi delle loro merci, perché la domanda di queste merci non sarebbe aumentata. Il loro reddito diminuirebbe, e di questo reddito diminuito essi dovrebbero spender di più per la stessa quantità di oggetti di prima necessità ma a più alto prezzo. E non sarebbe ancora tutto. Essendo diminuito il loro reddito, essi potrebbero spendere di meno anche per oggetti di lusso, e quindi diminuirebbe la domanda reciproca delle loro merci rispettive. Come conseguenza di questa contrazione della domanda, i prezzi delle loro merci cadrebbero. Perciò in questi rami di industria il saggio del profitto cadrebbe non soltanto in rapporto diretto all’aumento generale del livello dei salari, ma in rapporto all’azione combinata dell’aumento generale dei salari, all’aumento dei prezzi degli articoli di prima necessità e della caduta dei pezzi degli oggetti di lusso.

Quale sarebbe la conseguenza di questa differenza nei saggi di profitto dei capitali impiegati nei differenti rami di industria? Certo, la stessa conseguenza che si verifica ogni volta che per un motivo qualsiasi si producono differenze nel saggio medio di profitto nei diversi campi della produzione. Capitale e lavoro si sposterebbero dai rami meno remunerativi a quelli più remunerativi; e questo processo di spostamento durerebbe sino a tanto che l’offerta in un ramo d’industria fosse salita proporzionalmente alla maggiore domanda, fosse caduta negli altri rami in ragione della domanda minore.

Una volta compiuto questo cambiamento, nei diversi rami dell’industria si ritornerebbe al saggio generale del profitto. Poichè tutto questo spostamento aveva avuto origine da un semplice mutamento intervenuto nel rapporto fra la domanda e l’offerta delle varie merci, col cessare della causa dovrebbe cessare anche l’effetto, e i prezzi dovrebbero ritornare al loro livello e al loro equilibrio primitivi. La caduta del saggio del profitto, conseguente all’aumento dei salari, diventerebbe così generale, invece di rimanere limitata solo ad alcuni rami di industria. Secondo la nostra supposizione, non si sarebbe verificato nessun mutamento né nelle forze produttive del lavoro, né nell’ammontare totale della produzione; quella data massa di produzione avrebbe soltanto cambiato la sua forma. Una parte maggiore della produzione esisterebbe ora sotto la forma di oggetti di prima necessità, una parte minore sotto la forma di oggetti di lusso, o, il che è poi la stessa cosa, una parte minore verrebbe scambiata con merci di lusso straniere e consumata nella sua forma originaria, o, il che è ancora la stessa cosa, una parte minore verrebbe scambiata con merci di lusso straniere e consumata nella sua forma originaria, o, il che è ancora la stessa cosa, una parte maggiore della produzione indigena verrebbe scambiata con oggetti di prima necessità importati dall’estero, invece di essere scambiata con oggetti di lusso. L’aumento generale del livello dei salari, non porterebbe dunque ad altro, dopo un turbamento temporaneo dei prezzi di mercato, che alla caduta generale del saggio del profitto, senza alcuna variazione durevole nel prezzo delle merci.

Se mi si dice che la mia dimostrazione è fondata sul presupposto che tutto l’aumento dei salari venga speso in oggetti di prima necessità, risponderò che ho fatto l’ipotesi più favorevole alla concezione del cittadino Weston. Se l’aumento dei salari venisse speso in oggetti che prima non facevano parte del consumo degli operai, l’aumento reale della loro forza di acquisto non avrebbe più bisogno di essere provato. Ma poichè questo aumento non è che la conseguenza dell’aumento dei salari, esso deve corrispondere esattamente alla diminuzione della forza di acquisto dei capitalisti. La domanda complessiva di merci quindi non aumenterebbe; cambierebbero solo le parti costitutive

di questa domanda. La crescente domanda da una parte sarebbe compensata dalla domanda decrescente dall’altra parte. In tal modo, rimanendo invariata la domanda complessiva, nessuna variazione potrebbe verificarsi nei prezzi di mercato delle merci. Vi trovate quindi di fronte a un dilemma. O l’aumento dei salari è ripartito ugualmente su tutti gli oggetti di consumo, e in questo caso l’aumento della domanda da parte della classe operaia deve essere compensato dalla caduta della domanda da parte della classe capitalista. Oppure l’aumento dei salari è speso soltanto per determinati oggetti, i cui prezzi di mercato aumenteranno temporaneamente, e in tal caso l’aumento del saggio del profitto in alcuni rami di industria e la caduta del saggio del profitto in altri rami, che ne conseguono, provocheranno un mutamento nella ripartizione di capitale e di lavoro, il quale durerà sino a che l’offerta si sarà adattata alla maggiore domanda in un ramo d’industria, e alla minore domanda negli altri rami.

Secondo la prima ipotesi, non si avrà nessun cambiamento nei prezzi delle merci. Secondo l’altra, i valori di scambio delle merci, dopo alcune oscillazioni dei prezzi di mercato, ritorneranno al loro livello primitivo. Secondo le due ipotesi l’aumento generale del livello dei salari non avrà infine altra conseguenza che una caduta generale del saggio del profitto.

Per eccitare la vostra fantasia, il cittadino Weston vi ha invitati a pensare alle difficoltà che sorgerebbero da un aumento generale dei salari degli operai agricoli inglesi da nove a diciotto scellini. Pensate dunque, egli ha esclamato, all’enorme aumento della domanda di oggetti di prima necessità e allo spaventoso aumento dei prezzi che ne seguirebbe! Orbene, voi tutti sapete che i salari medi degli operai agricoli americani sono alti più del doppio di quelli degli operai agricoli inglesi, quantunque i prezzi dei prodotti agricoli siano più bassi negli Stati Uniti che in Inghilterra, quantunque negli Stati Uniti regnino gli stessi rapporti generali fra capitale e lavoro che in Inghilterra, e quantunque la massa della produzione annua sia negli Stati Uniti molto più piccola che in Inghilterra. Perché dunque il nostro amico suona questa campana d’allarme? Soltanto per spostare la vera questione che sta davanti a noi. Un aumento improvviso di salari da nove a diciotto scellini sarebbe un aumento improvviso del 100 per cento del loro ammontare. Ma noi non discutiamo affatto se il livello generale dei salari in Inghilterra possa essere aumentato improvvisamente del 100 per cento. La misura dell’aumento, che in ogni caso pratico dipende dalle circostanze determinate, alle quali deve adattarsi, non ci interessa affatto. Dobbiamo soltanto ricercare quale influenza esercita un aumento generale del livello dei salari, anche se limitato all’uno per cento.

Lasciando dunque da parte l’aumento fantastico del 100 per cento dell’amico Weston, voglio attirare la vostra attenzione sul reale aumento dei salari che si è verificato in Gran Bretagna dal 1849 al 1859.

Conoscete tutti la legge delle dieci ore, o meglio la legge delle dieci ore e mezzo, che entrò in vigore nel 1848. Fu uno dei più grandi rivolgimenti economici cui abbiamo assistito. Fu un aumento improvviso e obbligatorio dei salari, non in alcune industrie locali, ma nei rami principali dell’industria, con i quali l’Inghilterra domina i mercati mondiali. Fu un aumento dei salari in circostanze singolarmente sfavorevoli. Il dottor Ure, il professor Senior e tutti gli altri portavoce ufficiali della economia della classe borghese dimostrarono – e, son costretto a dirlo, con argomentazioni molto più solide di quelle del nostro amico Weston – che questa legge avrebbe suonato la campana a morte dell’industria inglese. Essi dimostrarono che non si trattava soltanto di un semplice aumento dei salari, ma di un aumento dei salari che si iniziava e si fondava su una diminuzione della quantità di lavoro impiegato. Essi asserivano che la dodicesima ora che si voleva togliere al capitalista, era proprio l’unica ora dalla quale egli traeva il proprio profitto. Essi minacciavano una diminuzione dell’accumulazione del capitale, aumento dei prezzi, perdita di mercati, riduzione della produzione, conseguente ripercussione sui salari, e infine la rovina. Essi affermavano che in realtà la legge di Maximilien Robespierre, sui prezzi massimi, era una inezia al confronto di ciò, e in un certo senso avevano ragione. Ora, quale fu il risultato? Un aumento dei salari in denaro degli operai di fabbrica malgrado la diminuzione della giornata di lavoro, un aumento notevole del numero degli operai di fabbrica occupati, una caduta costante dei prezzi dei loro prodotti, un mirabile sviluppo delle forze produttive del loro lavoro, un allargamento costante e inaudito dei mercati per le loro merci. A Manchester, in una adunanza della società per l’incoraggiamento della scienza ho udito io stesso nel 1860 [1] il signor Newman confessare che egli, il dottor Ure, Senior e tutti gli altri rappresentanti ufficiali della scienza economica si erano sbagliati, mentre l’istinto del popolo aveva visto giusto. Mi riferisco al signor W. Newman [2], e non al professore Francis Newman, perchè egli occupa un posto eminente nella scienza economica, come collaboratore ed editore della Storia dei prezzi [3], del signor Thomas Tooke, quest’opera magnifica, che traccia la storia dei prezzi dal 1793 al 1856. Se l’idea fissa del nostro amico Weston circa un ammontare fisso dei salari, una quantità fissa di produzione, un grado fisso della forza produttiva del lavoro, una volontà fissa e costante dei capitalisti, e tutte le altre sue cose fisse e definitive fossero giuste, sarebbero state giuste anche le previsioni sinistre del professor Senior, e avrebbe avuto torto Robert Owen, che già nel 1816 richiedeva una diminuzione generale della giornata di lavoro come primo passo per preparare la liberazione della classe operaia, e nonostante il pregiudizio generale la introdusse realmente, di sua iniziativa, nella sua fabbrica tessile di New Lanark.

Nel momento stesso in cui si introduceva la legge delle dieci ore e aveva luogo l’aumento dei salari che ne conseguì, si verificò in Inghilterra, per motivi che non è ora il caso di enumerare, un aumento generale dei salari degli operai agricoli.

Quantunque non sia necessario per il mio scopo immediato, pure, per non indurvi in errore, voglio fare alcune osservazioni preliminari.

Se alcuno riceveva un salario settimanale di due scellini e il suo salario viene portato a quattro scellini, il livello del salario sarà aumentato del 100 per cento. Dal punto di vista del livello del salario, parrebbe una cosa meravigliosa, quantunque l’ammontare reale dei salari, quattro scellini settimanali, resti pur sempre un salario di fame, infimo, miserabile. Non dovete dunque lasciarvi accecare da questa altisonante percentuale di aumento nel livello dei salari, ma dovete sempre chiedere quale era l’importo originario.

Dovete comprendere inoltre che se dieci operai ricevono settimanalmente due scellini ciascuno, altri cinque operai cinque scellini ciascuno, e altri cinque operai ancora undici scellini ciascuno, i venti operai assieme ricevono settimanalmente cento scellini, cioè cinque sterline. Se la somma totale dei loro salari settimanali aumenta, mettiamo, del 20 per cento, vi sarà un aumento da cinque a sei sterline. Se prendiamo la media, potremo dire che il livello generale del salario è aumentato del 20 per cento, ma in realtà i salari di dieci operai sono rimasti immutati, i salari di un primo gruppo di cinque operai sono saliti da cinque a sei scellini, e la somma dei salari di un secondo gruppo di cinque operai è aumentata da 55 a 70 scellini settimanali. La metà degli operai non avrebbe affatto migliorato la propria condizione, un quarto l’avrebbe migliorata in misura impercettibile, e soltanto un quarto l’avrebbe migliorata realmente. Se però si calcola la media, l’importo totale dei salari di questi venti operai sarebbe aumentato del 20 per cento; e, per quanto riguarda il capitale complessivo che li occupa e i prezzi delle merci che essi producono, sarebbe perfettamente la stessa cosa se ciascuno di essi avesse partecipato in eguale misura all’aumento medio dei salari. Nel caso degli operai agricoli, i cui salari normali sono molto differenti nelle singole contee d’Inghilterra e di Scozia, l’aumento si verificò in modo molto disuguale.

Infine, nel periodo in cui ebbe luogo quell’aumento dei salari si manifestarono delle influenze contrarie, come ad esempio le nuove imposte in conseguenza della guerra contro la Russia [4], la vasta distruzione delle case d’abitazione degli operai agricoli e così via.

Dopo tutte le premesse che ho fatto, passo a constatare che dal 1849 al 1859 si verificò nella Gran Bretagna un aumento di circa il 40 per cento del livello medio dei salari agricoli inglesi. Potrei citarvi molti particolari a prova della mia asserzione, ma per lo scopo che mi propongo ritengo sufficiente rimandarvi alla esposizione coscienziosa e critica fatta dal defunto signor John C. Morton nel 1860 alla società londinese delle Arti sulle Forze impiegate nell’agricoltura [5]. Il signor Morton espone tutti i dati statistici che egli ha raccolto esaminando i conti e altri documenti autentici di circa cento coltivatori di dodici contee scozzesi e trentacinque contee inglesi.

Secondo l’opinione del nostro amico Weston, e tenuto conto dell’aumento contemporaneo dei salari degli operai di fabbrica, nel decennio 1849-59 avrebbe dovuto prodursi un enorme aumento dei prezzi dei prodotti agricoli. Invece, che avvenne in realtà? Malgrado la guerra contro la Russia e i cattivi raccolti successivi dal 1854 al 1856, il prezzo medio del grano, che è il principale prodotto agricolo dell’Inghilterra, cadde da circa tre sterline al quarter per gli anni dal 1838 al 1848, a circa due sterline e dieci scellini al quarter per gli anni dal 1849 al 1859. Ciò significa una caduta del prezzo del grano di più del 16 per cento, parallelamente a un aumento medio dei salari degli operai agricoli del 40 per cento. Durante lo stesso periodo, se ne confrontiamo la fine con il principio, cioè il 1859 con il 1849, il numero dei poveri registrati ufficialmente cadde da 934.419 a 860.470, con una differenza di 73.949; diminuzione lo confesso assai lieve, e che scomparve nuovamente negli anni seguenti, ma pur tuttavia una diminuzione.

Si potrebbe dire che in seguito alla abolizione delle leggi sul grano l’importazione di grani esteri è raddoppiata nel periodo dal 1849 al 1859 in confronto al periodo dal 1838 al 1848. Ma che significa questo? Secondo il modo di vedere del cittadino Weston si sarebbe dovuto attendere che questa domanda improvvisa, enorme, in continuo aumento, sui mercati stranieri, spingesse i prezzi dei prodotti agricoli a un’altezza spaventosa, dato che gli effetti di una domanda accresciuta sono gli stessi, venga essa dall’esterno o dall’interno.

Che cosa accadde invece? Ad eccezione di qualche annata di cattivo raccolto, la caduta rovinosa del prezzo del grano fu in Francia, per tutto il periodo, oggetto di costanti lamentele; gli americani furono costretti a più riprese a bruciare i loro prodotti esuberanti; e la Russia, se dobbiamo credere al signor Urquhart [6], fomentò la guerra civile negli Stati Uniti perché la sua esportazione di prodotti agricoli sui mercati europei era paralizzata dalla concorrenza degli yankee.

Ridotta alla sua forma astratta, l’argomentazione del cittadino Weston si riduce a quanto segue: – ogni aumento della domanda avviene sempre sulla base di una data quantità di produzione. Essa quindi non può mai aumentare l’offerta dell’articolo richiesto, essa può soltanto aumentarne il prezzo in denaro. L’esperienza più elementare dimostra invece che un aumento della domanda in taluni casi lascia completamente invariati i prezzi di mercato delle merci, mentre in altri casi provoca un aumento temporaneo dei prezzi di mercato, al quale segue un aumento dell’offerta; il che provoca di nuovo una caduta dei prezzi al loro livello di prima e in molti casi anche al di sotto del loro livello di prima. Che l’aumento della domanda dipenda dall’aumento dei salari o da qualsiasi altra ragione, ciò non cambia niente ai termini del problema. Secondo il modo di vedere del cittadino Weston, il fenomeno generale era tanto difficile da spiegare quanto il fenomeno avvenuto durante le eccezionali circostanze di un aumento dei salari. Il suo argomento non fornisce quindi la minima prova, in rapporto col tema che stiamo trattando. Esso esprime soltanto il suo imbarazzo allorché egli deve spiegare le leggi secondo le quali un aumento della domanda provoca un aumento dell’offerta e non un aumento definitivo dei prezzi sul mercato.

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