Se c’è una cosa che permane dall’inizio della stagione del terrorismo targato “Stato Islamico” a oggi è la constatazione che esso si configura come “baco” del sistema. Ovunque ci sia una falla, arriva il terrorismo.

Sono molte le riflessioni che sono state espresse in merito a questa tematica. Una di queste, ad esempio, fa una distinzione all’interno della stessa organizzazione terroristica. L’Isis libico non avrebbe la stessa storia dell’ Isis iracheno e siriano, in quanto sorto successivamente e pertanto combattuto (nella stessa area orientale della Libia da cui viene cacciato) da preesistenti sigle jihadiste e qaidiste. L’Isis iracheno, sostanzialmente, si differenzierebbe da quello libico in quanto emanazione, trasformazione di al-Qaida in Iraq. Le modalità di reclutamento, di scelta dell’attentatore dei tragici fatti di Manchester seguirebbero il tracciato di una nuova generazione in rottura con la precedente. Le motivazioni del gesto assassino del giovane attentatore sarebbero da cercare nell’occidente capitalista avanzato piuttosto che in Libia; nella sua generazione quindi, nel suo ambiente di studente universitario di Manchester.

Quelli che facilmente etichettiamo come “matti” e alienati potrebbero essere solo soggetti particolarmente permeabili alle tensioni sociali. Questi soggetti a rischio possono trovare nel fanatismo religioso un’idea capace di catalizzare un malessere individuale non necessariamente di ordine sociale, ma a volte anche psichico. Secondo tale visione, dunque, la forza di queste sigle terroristiche consisterebbe nel porsi come egida di realtà individuali in cui, altrimenti, difficilmente si vedrebbe un potenziale soggetto politico. Una risposta a ciò riguarderebbe il fatto che l’Isis non catalizza del tutto in occidente il malessere individuale, ma in buona parte. Altrove queste organizzazioni attirano altre tipologie di persone. L’Iraq e Siria lo confermano nei fatti, essendo piene di combattenti mercenari dello Stato Islamico.

Un ulteriore spunto riflessivo riguarderebbe la tipologia degli attentati terroristici, differenti tra di loro e incentrata sul tipo di bersaglio selezionato, che trascenderebbe gli occidentalismi di Al Quaeda per andare a pescare in una precisa configurazione di integrato. Un’estensione del ragionamento relativo al modo in cui questi alienati percepiscono il nemico in senso molto più sofisticato della mera simbolizzazione del’Occidente – ricordando le torri gemelle a tale proposito – anche in funzione del tipo di personale rancore che li anima.

Ma le polarizzazioni, cifra della nostra epoca, si ordinano su punti polemici irrazionali, tagliano a metà le riflessioni e i ragionamenti sensati, distruggono le opzioni ragionevoli.

La soluzione al problema del terrorismo, evocata a gran voce da tutte le prime pagine dei giornali borghesi, presupporre la militarizzazione della società, non essendoci sostanzialmente luogo di incontro in Europa che non sia potenzialmente sotto attacco. La guerra di religione non attecchisce più tra le masse; si è capito oramai che inneggiare alla crociata non funziona. Tuttavia molti in Occidente la vorrebbero, accodandosi di fatto ai fanatici del Califfato che a loro volta incitano ad una nuova guerra santa ai miscredenti. Tutto grasso che cola per il sistema borghese e per chi, in un mondo in cui solo produzione e consumo precoce hanno senso, vede nella distruzione di vite umane e nella visione di una faida tra il bene e il male che torna sotto forma di terrore una semplice occasione di profitto.

Terrorismo dell’Isis accostato al terrorismo di stampo brigatista e alla mafia, il tutto inserito nello stesso calderone senza remore o preoccupazioni di sorta. Come se la dialettica in questo caso non c’entrasse proprio nulla. Come se i morti di chi rivendica l’instaurazione del Califfato, i morti che solo una determinata ideologia che sta dietro quel tipo di bomba può causare non li conoscessimo, non sapessimo a priori chi siano. Proletari, donne, bambini, civili rèi solo di appartenere a una “nazione”, a una “fede” nemica.

Vale la pena, a tal proposito, riportare un brano dallo scritto di Trotsky La loro morale e la nostra.

Il procedimento del filisteo moralizzatore consiste nell’identificare la condotta della rivoluzione con quella della reazione.
Analogie formali garantiscono il successo di un simile procedimento. Si possono pure scoprire dei gemelli nel fascismo e nel comunismo […].
Da parte loro, Hitler e Mussolini, valendosi di un metodo del tutto analogo, dimostrano che il liberalismo, la democrazia e il bolscevismo non sono che manifestazioni diverse di uno stesso male.
Questi accostamenti e queste similitudini sono essenzialmente caratterizzate dall’ignoranza completa dei presupposti materiali delle diverse tendenze, cioè della loro natura sociale e, per conseguenza, del loro ruolo storico oggettivo. Le diverse tendenze sono valutate e classificate secondo indici esteriori e secondari, più spesso secondo il loro atteggiamento nei confronti di questo o di quel principio astratto cui il classificatore attribuisce professionalmente un significato particolare. Per il Papa, i massoni, i darwinisti, i marxisti e gli anarchici sono fratelli nel sacrilegio perché respingono tutti i dogmi dell’immacolata concezione. Per Hitler, il liberalismo e il marxismo, che ignorano entrambi “il sangue e l’onore”, sono gemelli. Gemelli sono, per il democratico, il fascismo e il bolscevismo poiché rifiutano di inchinarsi al suffragio universale. E così via. Ma lo sviluppo della specie umana non si esaursice né nel suffragio universale né “nel sangue e nell’onore”, né nel dogma dell’immacolata concezione; la questione è tutta qui. Il divenire storico è anzitutto lotta di classe e accade che classi diverse si valgano a scopi diversi di mezzi analoghi. Non potrebbe essere altrimenti.

Il punto cruciale consiste proprio nell’avere una visione rivoluzionaria in antitesi ad una reazionaria, volta a prendere il potere per un cambio di sistema.

Trotsky, così come Lenin, condannava il terrorismo individuale, denunciando l’impotenza politica degli attentatori. Questo perché la rivoluzione non è fatta di disperati gesti individuali che indeboliscono le masse, esponendole incautamente ad un’iper reazione.
Ancora Trotsky, nel suo celebre saggio La rivoluzione tradita: «la burocrazia nel suo insieme sfrutta con successo il terrorismo per giustificare le sue violenze, non senza accusare i suoi avversari politici. Il terrorismo individuale è l’arma di elementi isolati impazienti o senza speranza, appartenenti essi stessi, il più delle volte, alla giovane generazione della burocrazia».

All’efficacia di un atto terroristico segue una diminuzione dell’interesse delle masse per propria auto-organizzazione e auto-educazione e, una volta diradatosi il fumo della confusione, le ruote dello sfruttamento capitalista tornano a girare come prima.

Di Kenzo