Mettetevi in contatto con un curatore, incidetevi sulla mano con un rasoio e inviate una foto al curatore. Alzatevi alle 4;20 del mattino e guardate video dell’orrore che il curatore vi invierà, poi tagliatevi il braccio con un rasoio lungo le vene senza far tagli troppo profondi e inviate nuovamente le foto al curatore. Ora disegnate una balena su un pezzo di carta e inviate sempre la foto al vostro curatore. Se siete pronti a “diventare una balena” incidetevi yes su una gamba, in caso contrario tagliatevi molte volte per punirvi. A questo punto vi spetterà una sfida misteriosa. Incidetevi sulla mano con il rasoio e inviate sempre una foto, scrivete “#i_am_whale” nel vostro status sul sito VKontakte e successivamente dovrete superare la vostra paura, […].

Frasi da film dell’orrore? No, è realtà purtroppo. Si chiama Blue Whale, ed è un “gioco” autolesionistico che ha preso vita su un sito online molto diffuso in Russia. Non si hanno cifre certe sulle persone coinvolte (al momento non sono allarmanti i numeri sui casi emersi) in questo fenomeno, ma le azioni riportate qui sopra sono solo alcune delle pratiche previste da questa sorta di gioco perverso e macabro. Il gioco infatti prevede tutta una molteplicità di sfide che mostrano e inculcano nell’adolescente un’idea positiva del suicidio, visto in come una sfida a superare i propri limiti e le proprie paure. E suicidarsi vuol dire proprio aver terminato con successo il Blue Whale. Negli adolescenti, infatti, la propensione alla sfida e al superamento dell’ostacolo è molto forte e il curatore, colui che dà le istruzioni del gioco, fa proprio leva su questo, sul meccanismo della sfida, sul bisogno di affrontare ciò che ci viene proibito dalla società e sull’emulazione di persone viste come modello trasgressivo. Ed esempi di ciò ne abbiamo in gran numero, basti pensare anche alla moda delle droghe chimiche, dei giochi con gli alcolici, dei selfie impossibili.

Mode che in realtà la società proibisce e considera amorali, mode a cui gli psicologi e i sociologi dei salotti borghesi han cercato di trovare delle risposte nel fallimento delle pratiche educative dei genitori di oggi, negli effetti negativi del web e in una società troppo buonista che non impartisce più una ferrea disciplina ai giovani. E allora con tutti i loro consigli da professorini non han tardato a raccomandare a genitori e scuola quali comportamenti preventivi attuare per fermare il fenomeno.

In realtà però, andando oltre le semplici cause psicologiche e individuali e dando uno sguardo addietro nella storia, il fenomeno dell’autolesionismo e dell’automutilazione per “gioco” non è un qualcosa di nuovo e sconosciuto. Basta pensare ad esempio a certi movimenti religiosi e laici sorti negli USA negli anni ’50 (People’s Temple Agricultural Project) o ad alcuni gruppi rock e metal degli anni ’60, ’70, ’80, padri di una cultura esasperata della trasgressione che ha portato anche a casi di suicidio. Ma la pratica del suicidio ha in realtà origini anche più lontane nella storia, derivanti in qualche caso da pratiche ascetiche e mistiche delle società tribali. La troviamo nella letteratura decadentista europea e persino nei famosi kamikaze giapponesi durante la seconda guerra mondiale, una versione distorta nell’etica samuraica, che prevedeva forme di suicidio rituale per riscattare l’onore o, più anticamente, anche per seguire il proprio sovrano anche nel trapasso. E il capitalismo non ha fatto altro che riprendere queste pratiche brutali e atroci della società facendole passare sotto il medesimo velo della morale borghese. È una delle sue tante contraddizioni, da una parte la promozione della vita e la condanna di tutto ciò che è amorale, dall’altra la promozione di tutto ciò che porta alla trasgressione, al rischio, allo sprezzo per il pericolo, all’autodistruzione mentale e fisica dell’individuo. Del resto l’individuo in sé nel capitalismo è considerato solo come un numero che deve consumare e produrre il più possibile. Se analizziamo molte forme di controcultura non troviamo che, in un’analisi economica e materialistica, anche queste si risolvono nella vendita di merci? L’industria discografica, della moda e dell’intrattenimento non hanno che da trarne profitto. Stimolare una diversificazione dei gusti del consumatore vuol dire creare un mercato più variegato e, in definitiva, “piazzare” più merci. In quest’ottica, le mode così dette alternative e le varie culture della trasgressione ricadono in pieno nel concetto di sovrastruttura. E in effetti, dirottare un bisogno di ribellione verso forme alternative di consumo vuol dire distogliere dalla vera natura economica del disagio sociale. E tutto ciò avviene tramite la promozione di mode o modelli sociali da imitare e idolatrare.

Quante volte del resto si è sentito attribuire l’aggettivo “rivoluzionari” ai Beatles o ai Rolling Stones o ad altri gruppi musicali? O quante volte si sente parlare di religioni alternative a quella cattolica ? Tantissime volte purtroppo. E così si rischia di confondere la vera causa rivoluzionaria del comunismo con il semplice e normale “progresso” borghese, che in casi estremi come questo conduce alla morte tramite un “gioco” basato su una sorta di ideologia della perversione. Si fa l’errore, forse più grossolano, di non comprendere fino in fondo qual è la radice sociale che si nasconde dietro a tutto ciò che si ritiene essere semplice moda, ma in realtà è espressione di un sistema economico basato sull’alienazione e sullo sfruttamento.

 

Lorenzo De Girolamo

Nato a Rimini nel 1995. Laureato in Scienze della Formazione all'Università di Bologna. Vive e lavora come rider di Just Eat a Roma.